Fake news e propaganda putiniana: il caso delle tv italiane Commento e 'Periscopio', di Diego Gabutti
Testata: Italia Oggi Data: 05 maggio 2022 Pagina: 2 Autore: Diego Gabutti Titolo: «»
Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi, 05/05/2022, il commento e "Periscopio" a cura di Diego Gabutti.
Michele Santoro
Ecco gli articoli:
"Propaganda"
Fateci caso: a denunciare lo scandalo delle fake news e le menzogne della propaganda sono gli stessi energumeni da talk show che diffondono fake news e fanno della propaganda ogni volta che aprono bocca. Guai a contraddirli: soffiano fiamme dal naso e gli si gonfiano le vene del collo, come agli ospiti dell’Aria che tira, o di Dritto e rovescio, per non parlare di Cartabianca e di Omnibus, che sono invitati e pagati apposta per farsi salire la pressione (oltre, naturalmente, che per fingere indignazione). Tipica del propagandista – o «agente d’influenza», nel gergo di Segretissimo – che strepita contro la propaganda altrui è l’idea che niente sia reale se non ciò che reca il «visto, si stampi» del suo datore di lavoro. Nel nostro caso, il datore di lavoro è Vladimir Putin, il nipote del cuoco di Lenin e Stalin che sta provando, fortunatamente con scarso successo, a cucinarsi il mondo. Si sente spesso dire (a dirlo, beninteso, sono i propagandisti putiniani) che non c’è una propaganda sola ma che ci sono «due propagande contrapposte e speculari», e che l’una vale l’altra. Naturalmente è una sciocchezza, come tutte le iperboli dei propagandisti e degli agenti d’influenza. Propaganda e fake news sono al servizio esclusivo di chi ha torto. Cioè, sempre nel caso presente, dei generali russi, gli aggressori. Chi ha ragione, gli aggrediti, non ha bisogno di ricorrere a propaganda e fake news. Per gli ucraini sotto attacco parlano i fatti. Fatti evidenti e incontestabili, salvo che agli occhi degli ospiti e dei conduttori di talk show che, nella curiosa illusione d’alzare l’audience, se la tirano da scettici blu. Mostrare alle telecamere i cadaveri delle vittime dei bombardamenti russi, raccontare gli stupri e i saccheggi, documentare le devastazioni, le violenze, le torture, non è propaganda: è informazione. Propaganda è sostenere che gli orrori sono una messinscena. Fake news è dire che Hitler era ebreo. Stupisce che i gazzettieri alla guida dei talk show, ogni giorno più rintontoniti e inaffidabili, non sappiano distinguere l’informazione dalla propaganda. Eppure è l’abicì del mestiere, e anche un sicuro test d’intelligenza: chi non lo supera può sempre insegnare sociologia del terrorismo alla Luiss. Con «propaganda», ma soprattutto con «narrazione», parola tra le più orribili e perciò tra le più usate nei talk show, il propagandista di professione e il costruttore d’inverosimili riscritture della storia non intendono la propaganda né la «narrazione», come mostrano di credere i talk show che disonorano la tivù italiana. Con «propaganda» e «narrazione ostile» intendono la verità. È contro la verità, e a favore della propaganda, che si battono le testate sedicenti equidistanti e pacifiste, e con loro gli Orsini, i Belpietroff, i Travaglioski.
"Periscopio"
In ogni circostanza si rinvia alla necessità d’usare le armi. Nella tv italiana regna il pensiero unico e la parola pace è bandita. Michele Santoro, globalist.it.
Il fronte guerrafondaio e bellicista si deve rassegnare [al fatto] che esiste un fronte mondiale pacifista, vasto e in costante crescita. Luigi De Magistris, ilmattino.it.
Alla fine degli anni ’40 del Novecento l’Unione Sovietica fece un largo uso [come oggi la Fed] dello slogan «pace». Il Cominform sotto la direzione di Andrej Zdanov convocò una conferenza internazionale per lanciare il Movimento mondiale dei partigiani della pace. La presidenza fu assegnata al Nobel francese Frédéric Juliot-Curie e la vicepresidenza al frontista italiano Pietro Nenni. La nostra delegazione comprendeva 60 membri tra cui Salvatore Quasimodo, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Antonio Banfi, Renato Guttuso, Alberto Moravia, Eduardo De Filippo, Giulio Einaudi, Giulio Carlo Argan, Gianni Rodari, Massimo Bontempelli. Pablo Picasso disegnò una colomba bianca quale simbolo del Movimento. Massimo Teodori, HuffPost.
Non la sopportavo quella cazzo di colomba. Dmitrij Dmitrievič Šostakovič.
«Ci ricordiamo bene chi ha organizzato l’assedio di Leningrado. Erano gli eserciti di 13 Paesi europei, gli stessi che oggi, insieme agli Usa, vogliono stringere d’assedio tutto il nostro Paese, forniscono le armi ai nazisti in Ucraina esattamente come i loro padri e nonni le fornivano alle truppe di Hitler». La lezione di «storia» viene da Aleksandr Beglov, il governatore di Pietroburgo. Anna Zefesova, La Stampa.
Finire in disgrazia è un attimo. Per tutti i renitenti c’è l’esempio di Aleksej Navalnyj, che sta scontando nove anni di carcere in una colonia di regime severo per essersi opposto a Vladimir Putin. Durante l’ultima udienza ha gridato: «Sono contro questa guerra. Voglio che la Corte metta per iscritto che sto chiedendo che la guerra sia fermata. Le persone che hanno scatenato la guerra sono gangster e ladri». Navalnyj è la punta di un’iceberg. [Basti pensare] alla coraggiosa lettera di mille accademici: «La Russia non ha bisogno di una guerra con l’Ucraina o con l’Occidente». Carlo Valentini, Italia Oggi.
Benché Sergej Lavrov, intervistato da Rete 4, abbia espresso il suo rammarico nel vedere l’Italia «in prima linea tra chi adotta sanzioni anti-russe», non è un caso che abbia concesso la sua prima intervista a un media europeo a una rete italiana. Una «Rete Mediaset», come segnalato sul sito del ministero degli esteri russo, ossia dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, vicinissimo a Putin. Rosalba Castelletti, la Repubblica.
Secondo Toni Capuozzo, ospite in studio di Quarta Repubblica, è lecito sospettare che «i corpi di Bucha» siano il «frutto maledetto» di un’operazione speciale della polizia ucraina. Viene sottolineato, sia da Capuozzo sia dal conduttore Nicola Porro, che i crimini [crimini?] commessi dagli ucraini andrebbero ad aggiungersi ai crimini commessi dai russi, che non sono giustificati come non lo sono i primi [i primi?]. iltempo.it.
Certi imbecilli diventati improvvisamente famosi non vengono invitati nei talk show «perché bisogna sentire tutte le opinioni» ma perché alzano lo share. E il risultato è che non si riesce più a distinguere nulla, si mescolano verità e menzogna, fatti e propaganda. Ha vinto ovunque la strategia dei social: uno vale uno. Che sia un premio Nobel o un ubriaco, una vittima o un assassino, un uomo libero o un Lavrov. Michele Brambilla, QN.
Il ministro Lavrov appartiene a un Paese in cui non c’è libertà d’espressione. L’Italia permette di esprimere le proprie opinioni liberamente, anche quando sono palesemente false, aberranti. Quello che il ministro Lavrov ha detto è aberrante. Mario Draghi.
«Pretendo che il presidente Draghi riferisca in parlamento circa l’evoluzione della guerra», dice Conte. [E aggiunge, sibillino, che siamo] «una democrazia e non un sistema autarchico». Francesco Curridori, repubblica.it.
Giorgia Meloni è stata in questi anni, quanto Matteo Salvini, un’infaticabile propagandista delle più indecenti panzane nazionaliste: dal cosiddetto «piano Kalergi» per la sostituzione etnica degli italiani all’accusa di depredazione economica dell’Italia da parte dell’Europa delle banche. Non c’è capitolo di questo enorme Protocollo dei Savi di Sion populista e sovranista che FdI abbia mancato di sposare. Carmelo Palma, linkiesta.it.
[Con lo sciopero populista] l’antipolitica può colpire anche la categoria delle toghe e la stessa Associazione Nazionale Magistrati. Cataldo Intrieri, linkiesta.it.
Lo sciopero è legittimo e la magistratura va ascoltata. Giulia Sarti, M5S, già presidente della Commissione giustizia della Camera.
Ciò che sconcerta maggiormente di questo sciopero [dei magistrati] è la scarsa rappresentatività di chi lo ha deciso. All’assemblea – che si è espressa a favore dello sciopero con 1.081 voti favorevoli, 169 contrari e 13 astenuti – hanno partecipato 1.400 dei 9.149 iscritti: il 15 per cento dell’Associazione. È come se un Parlamento fosse stato eletto con l’85 per cento di astensionismo. A votare a favore dello sciopero è stata una maggioranza pari a meno del 9 per cento della categoria. Francesco Damato, graffidamato.com.
Ci si attendeva giustizia e sono arrivati giustizieri. Sabino Cassese, Il governo dei giudici.
Landini ha chiesto lavoro a tempo indeterminato e aumenti salariali. Niente di tutto ciò è nelle mani del governo e, realisticamente, nemmeno nelle mani dei datori di lavoro. L’idea di trasformare i lavoratori in impiegati pubblici è estranea alla competitività. Andava bene nell’Urss e ha prodotto il collasso economico dell’impero sovietico. Domenico Cacopardo, Italia Oggi.
Cattivo politico non è solo chi cambia troppo spesso idea ma anche chi non la cambia mai. Roberto Gervaso.