Testata: Il Foglio Data: 04 maggio 2022 Pagina: 1 Autore: Luciano Capone Titolo: «Il fallimento di Putin»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/05/2022, a pag. 1 l'analisi di Luciano Capone dal titolo "Il fallimento di Putin".
Vladimir Putin
Roma. “Dopo due mesi di uccisioni di ucraini, cosa ha ottenuto Putin? Niente. Assolutamente niente. La Russia è più sicura? Assolutamente no. Più ricca? No. Ha ottenuto un maggiore rispetto nel mondo? No”. E’ la sintetica analisi, in un tweet, di Michael McFaul, ex ambasciatore americano in Russia e professore di Relazioni internazionali a Stanford. Che questo sia il punto di vista di un ex diplomatico dell’èra Obama, per giunta inserito nella lista dei sanzionati del Cremlino e bandito dall’ingresso in Russia, è comprensibile. Molto più sorprendente è che il futuro di Mosca venga descritto con toni più cupi, quasi apocalittici, nelle analisi del Russian international affairs council (Riac). Gli choc prodotti dalla guerra in Ucraina “possono incidere sia sulla società sia sulla statualità della Russia”, scrive Ivan Timofeev, direttore del Riac: “L’Unione sovietica è crollata in circostanze internazionali molto più favorevoli”. Prima di addentrarsi nelle argomentazioni e negli scenari descritti, è utile qualche informazione di contesto su cosa sia il Riac e chi sia Timofeev. Il Russian international affairs council è probabilmente il più importante think tank russo sulle questioni internazionali, sicuramente uno dei più seguiti all’estero e in patria. E’ un centro studi creato nel 2010 dal Cremlino con un decreto presidenziale e ha tra i suoi fondatori il ministero degli Esteri, il ministero dell’Istruzione, l’Accademia russa delle scienze, l’Unione degli industriali e l’agenzia di stampa Interfax. Si tratta, insomma, di un’istituzione accademica e di policy sui temi della politica internazionale che include tutto l’establishment russo, statale e privato: è partecipato da università e da colossi finanziari come Alfa Bank e industriali come Lukoil. E’ presieduto da Igor Ivanov, predecessore di Sergei Lavrov come ministro degli Esteri prima sotto Boris Eltsin e poi sotto Vladimir Putin. Lo stesso Lavrov fa parte del Consiglio della fondazione. Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, è membro del Presidium del Riac, insieme ad altri politici e oligarchi come Petr Aven. Ne fanno parte anche generali, diplomatici, accademici ed ex agenti dei servizi segreti. Insomma, ci sono i livelli più alti della classe dirigente russa. L’autore del lungo articolo, che parla di una sfida senza precedenti nella storia del paese, una “tempesta perfetta” per l’effetto cumulato di choc e minacce che la Russia deve affrontare come conseguenza dell’intervento militare in Ucraina deciso da Putin, si chiama Ivan Timofeev. Timofeev è lo storico direttore dei programmi del Riac e uno degli analisti russi di politica internazionale più stimati in patria e all’estero. E’ anche il direttore dei programmi Valdai discussion club, la cosiddetta Davos di Putin, una delle più importanti esibizioni del soft power russo. Timofeev è quindi, ovviamente, molto inserito nelle strutture di potere e nelle discussioni di policy del regime putiniano, tanto da essere stato uno dei protagonisti del Russiagate, ovvero l’inchiesta americana sui rapporti tra la Russia e la campagna elettorale di Trump. Conosceva il misterioso professore maltese della Link Campus di Roma, Joseph Mifsud, che aveva rivelato a un collaboratore di Trump che il governo russo era entrato in possesso di migliaia di mail compromettenti su Hillary Clinton. Inoltre Mifsud, ora scomparso nel nulla, aveva messo in contatto Timofeev con la campagna elettorale di Trump per organizzare un incontro con i russi. Non si tratta, quindi, di un “dissidente” ma di un esponente di quella parte del regime putiniano che voleva evitare la guerra, suggeriva di “mettere in un angolo la questione ucraina”, perché conscio delle ricadute negative per la Russia. Senza mai citare Putin, e pur sostenendo che il paese ha le risorse per venire fuori da questa crisi, secondo Timofeev la guerra in Ucraina ha amplificato e sovrapposto tre minacce esistenziali per la Russia: la minaccia esterna che vede, come non mai, l’occidente ostile e unito oltre che in possesso di un potenziale economico e militare notevolmente superiore alla Russia; lo storico sottosviluppo dell’economia e dell’amministrazione russa che verrà acuito dalle sanzioni occidentali, rendendo più complicato qualsiasi sforzo di modernizzazione; il rischio di un collasso istituzionale, a causa di un contrasto nell’élite o di disordini e rivoluzioni interne. “Le pagine più drammatiche della nostra storia sono arrivate in momenti in cui il paese ha affrontato simultaneamente tutte e tre insieme queste minacce”, scrive Timofeev rievocando il periodo 1917-1920, con la sconfitta nella Guerra mondiale, il crollo dell’Impero zarista e la rivoluzione Bolscevica. “Nella nostra storia, è difficile trovare periodi simili di ‘tempesta perfetta’, quando le ‘tre minacce’ si sono abbattute sulla Russia contemporaneamente”. Persino quando è crollata l’Unione sovietica, quella che Putin ha definito “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, secondo l’analista, il contesto internazionale era “molto più favorevole”. Non è un caso che in un altro articolo di metà aprile il Riac, stavolta firmato dal direttore generale Andrey Kortunov, invitava la leadership russa a cercare una soluzione di compromesso con Zelensky invece di una “vittoria a tutti i costi”. Il problema, sottolineava Kortunov, è che “oggi la società russa è in uno stato di estrema eccitazione e persino di esaltazione. Dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi i falchi si sentono molto più forte delle colombe”.
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