Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 03/05/2022, a pag.1, con il titolo "La memoria piegata al culto della vittoria. Così Putin riscrive la lotta al nazismo" l'articolo di Umberto Gentiloni.
Umberto Gentiloni
Non sembri una battuta provocatoria, né una frase a effetto per attirare l’attenzione dei media la dichiarazione del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov sulle presunte origini ebraiche di Adolf Hitler. Si avvicina la data del 9 maggio, resa della Germania nazista, sigillo alla vittoria finale nel secondo conflitto mondiale. La memoria di quel passaggio è stata ripetutamente modellata e adattata agli usi e alle finalità dello scontro di potere interno alla Russia e ai risvolti della competizione internazionale. Non si tratta di una svolta riconducibile al conflitto sul territorio ucraino. In un saggio del 2014 dedicato alle memorie della guerra mondiale una fine studiosa del mondo russo e sovietico come Maria Ferretti scriveva in Russia, la rivoluzione e la memoria 1917-2019 (Viella, 2019): «Nella Russia contemporanea, come già in Unione Sovietica, la memoria della guerra è la sola memoria condivisa da tutta la società.
Lo dimostrano tutti i sondaggi di opinione condotti regolarmente dalla fine degli anni Ottanta. Nel momento della denuncia più aspra dello stalinismo, all’epoca della perestroika , la vittoria sul nazismo rimaneva — agli occhi della maggioranza della popolazione — il solo evento positivo nella storia russa del XX secolo, il solo evento di cui gli abitanti della Russia continuavano a essere fieri». Ma tale memoria non è mai stata unitaria o riconducibile esclusivamente al messaggio dei vertici; persino la scelta di Putin del 2005 (sessantesimo anniversario della vittoria) di ristabilire un culto integrale di quella giornata non ha offuscato il conflitto latente. La memoria non può essere condivisa, per sua natura definisce un campo di scelte soggettive, di oblio più o meno consapevole, di indirizzi e finalità che ne sorreggono i contenuti. Nulla di unitario nella Russia post sovietica se non la scelta politica di far prevalere la memoria del mito, il culto nazionalista della vittoria sulla dimensione di una guerra sofferta nelle trincee e nelle difficili condizioni vissute dai giovani al fronte. Due sfere che si misurano in una dialettica continua: la memoria delle sofferenze, delle tragedie della guerra, delle controverse scelte dei capi, dei tornanti difficili che spezzano vite e sogni e, dall’altra parte, l’edificazione di un rassicurante paradigma vittorioso per celebrare la vittoria, lo spirito patriottico, la potenza dello Stato sovietico, la grandezza del socialismo. Memorie inconciliabili e conflittuali che nel disegno putiniano degli ultimi decenni vengono schiacciate sulla centralità di una vittoria simbolo sacralizzata che cancella tutte le sfumature e i distinguo: «In chiave più ampia, con l’avvento di Putin il culto della vittoria è diventato il fulcro di una nuova lettura dell’intera storia russa. La storia così riscritta è risultata essere una sorta d’inno all’eterna potenza della Grande Russia».
Tutti i nemici veri o presunti diventano nazisti di ieri e di oggi, i territori forzatamente de nazificati, mentre le vittime perdono identità e gli spazi vengono trasformati a uso e consumo di una nuova storia: basti pensare all’eccidio di Babji Jar ai significati cancellati di quel luogo (Anatolij Kuznecov Babij Jar , Adelphi, 2019; Antonella Salomoni Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev , Mulino, 2019), alla sistematica rimozione della memoria della Shoah, delle sue tracce sul suolo. La polarizzazione di oggi nella ricerca del capro espiatorio, nel fantasma nazista riproposto come schema dominante mette da parte e smantella ogni costruzione alternativa sulle memorie differenti o sui tentativi gorbacioviani ispirati dalla sepolta casa comune europea. Nella leadership russa è prevalsa una ricerca ossessiva di certezze e punti fermi per costruire qualcosa capace di opporsi ai costumi degenerati dell’Occidente, alle forme dissacranti della globalizzazione post 1989: «Con la restaurazione del culto della vittoria viene portato a compimento il processo di “invenzione della tradizione” che consente alla Russia post comunista, dopo molti anni d’incertezza e confusione, di trovare finalmente un passato positivo su cui costruire un’identità nazionale, avendo riunito nel nome della santa Russia conservatasi nel corso del secolo, l’eredità dell’epoca pre rivoluzionaria e quella dell’epoca sovietica ».
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