Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 01/05/2022, a pag. 9, con il titolo "Volkov: 'Navalny indica 6 mila personaggi medi da sanzionare subito' ", l'intervista di Gianni Vernetti; con il titolo "L'Alleanza globale", la sua analisi.
Ecco gli articoli:
"Volkov: 'Navalny indica 6 mila personaggi medi da sanzionare subito' "
Gianni Vernetti
Leonid Volkov, braccio destro di Navalny
Aleksej Navalny lo aveva annunciato in tribunale durante l’udienza farsa che lo ha condannato a nove anni di carcere: «La Fondazione Anticorruzione estenderà il proprio lavoro a livello internazionale». E così, un paio di giorni fa è stato lanciato il sito in inglese con una nuova sezione: “Sanzioni”. E quella lista è rivolta a noi, all’Occidente, alla comunità dei Paesi democratici per agire in fretta. Sono 6mila nomi: giudici, generali, politici, oligarchi, propagandisti del regime, che in vario modo hanno contribuito alla folle avventura bellica in Ucraina. Ne parliamo con Leonid Volkov, braccio destro di Navalny e coordinatore della Fondazione Anticorruzione.
Proponete dunque di estendere le sanzioni a oltre 6mila esponenti chiave del regime di Vladimir Putin? «Sarò a Bruxelles la prossima settimana per chiedere che il regime di sanzioni venga esteso in modo massiccio a tutti coloro che hanno avuto responsabilità nel promuovere la guerra ingiustificata e atroce contro l’Ucraina».
L’Europa dovrebbe fare dì più? «Finora le sanzioni hanno colpito solo i livelli più alti del regime o pochi grandi oligarchi. Bisogna colpire invece l’infrastruttura del regime, i dirigenti intermedi: vice-ministri, giudici, governatori delle regioni, generali, dirigenti del Fsb (l’ex Kgb, ndr ) ».
E le sanzioni sul gas e il petrolio russo? «Vanno adottate senza ulteriore indugio. Non c’è nulla che possa essere considerato sbagliato o esagerato per fermare questa guerra».
Secondo lei perché Putin ha invaso l’Ucraina, scatenando un conflitto dagli esiti imprevedibili? «In tutti questi 22 anni di regime Putin ha avuto soltanto due momenti nei quali la sua popolarità ha raggiunto vette importanti: durante l’annessione della Crimea nel 2014 e lo scorso autunno del 2021 quando è iniziata la retorica aggressiva contro l’Ucraina».
Quindi una guerra nata per motivi sostanzialmente “domestici” e una serie impressionante di errori di calcolo? «Assolutamente sì. È da molto tempo che Putin vive in una “bolla” con pochi contatti con la realtà: non guarda internet, non legge i media internazionali. Legge soltanto la famosa “Cartella rossa” che ogni mattina gli viene preparata da un drappello di funzionari zelanti del Fsb: bugie, disinformazioni, distacco dalla realtà, peggiorati nei due anni del Covid. Da qui la folle aspettativa che le città di lingua russa, come Kharkiv e Odessa, avrebbero accolto i soldati russi come liberatori e la certezza che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sarebbe fuggito dopo poche ore».
La tenace resistenza ucraina e le perdite molto elevate dell’esercito russo avranno un impatto a Mosca? «La chiusura di ogni media indipendente e l’assenza di sondaggi fanno sì che sia difficile parlare di “pubblica opinione” nella Russia di oggi. I veri dati sulle perdite russe in guerra non sono ancora conosciuti, ma la dura realtà del conflitto cambierà a breve radicalmente i sentimenti nel Paese».
Fino a dove si spingerà Putin? «Continuerà nella sua folle avventura bellica. Non ha alternative se non accrescere il conflitto fino a che non sarà riuscito a giustificare una qualche “ success story ”. Mi aspetto un aumento delle atrocità, dei morti, dei feriti. Ma quasi nessun piano di Putin ha successo. Voleva uccidere Navalny con il Novichok, voleva prendere Kiev in 72 ore… I piani di Putin tendono a fallire. Lo avete sopravvalutato in Occidente».
È possibile un cambio di regime in Russia dopo la guerra? «Ho studiato matematica e le do una risposta probabilistica: la probabilità che ci sia un cambio di regime in Russia è cresciuta in modo esponenziale dopo l’inizio della guerra in Ucraina».
Come sta Aleksej Navalny? «Lavora tutto il giorno in carcere e mentalmente e moralmente sta bene. Siamo in contatto quotidiano attraverso i legali e partecipa a tutte le nostre scelte strategiche, inclusa quest’ultima campagna».
"L'Alleanza globale"
Dopo 62 giorni dall’inizio del conflitto scatenato da Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina, la giornata di ieri ha registrato una novità di grande rilevanza politica e strategica: la nascita di una coalizione internazionale di Paesi democratici che sosterrà lo sforzo bellico dell’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Il Gruppo di Contatto sulla Sicurezza dell’Ucraina si è riunito per la prima volta ieri nella base aerea statunitense di Ramstein in Germania, su iniziativa di Lloyd Austin, Segretario alla Difesa degli Stati Uniti. Austin ha aperto i lavori rivolgendosi direttamente al ministro della Difesa dell’Ucraina Oleksij Reznikov: «La vostra resistenza ha ispirato il mondo libero». Per poi proseguire: «Oggi siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia. L’Ucraina ha fatto un lavoro straordinario nel difendersi dalla aggressione russa e la battaglia di Kiev entrerà nei libri di storia. Ma ora la situazione sul campo è cambiata, con l’offensiva nel Sud e nel Donbass dobbiamo capire di cosa ha bisogno l’Ucraina per combattere». Il Gruppo di Contatto fra i ministri della Difesa e i Capi di Stato Maggiore di 43 Paesi democratici si riunirà mensilmente e rappresenta già l’embrione di qualcosa di più di un semplice coordinamento fra alleati per incrementare le forniture belliche all’esercito di Kiev. E basta scorrere l’elenco degli invitati per cogliere più di una novità geo-strategica. Accanto all’Ucraina si sono riuniti i trenta Paesi membri della Nato insieme alle democrazie dell’Indo-pacifico (Giappone, Australia, Corea del Sud e Nuova Zelanda); a tre Paesi del Medio Oriente (Israele, Qatar e Giordania); a un quartetto africano composto da Kenya, Liberia, Marocco e Tunisia; e a Finlandia e Svezia, la cui d’adesione all’Alleanza Atlantica potrebbe concretizzarsi in poche settimane, come confermato nei giorni scorsi dalle due premier Sanna Marin e Magdalena Andersson. L’incontro fa seguito alla missione a Kiev di Antony Blinken e dello stesso Lloyd Austin, la prima visita statunitense di alto livello in Ucraina dall’inizio del conflitto, e ha già prodotto un primo risultato concreto: l’annuncio da parte di Christine Lambrecht, ministro della Difesa della Repubblica federale tedesca, di fornire un primo lotto di 50 mezzi pesanti Gepard, carri armati dotati di sistemi antiaerei. La scelta d’un maggiore impegno tedesco in sostegno del governo di Kiev rappresenta una prima risposta alle molte critiche rivolte nei giorni scorsi al cancelliere Olaf Scholz per la sua riluttanza a un maggiore impegno di Berlino nella crisi ucraina. La presenza di Israele e di alcuni Paesi firmatari degli Accordi di Abramo rappresenta poi una novità sostanziale: da un lato l’apertura, in particolare con il Qatar, di azioni di lungo periodo per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, dall’altro un primo segnale da parte di Gerusalemme di abbandono dell’equidistanza fra Mosca e Kiev, e una prima risposta anche al crescente avvicinamento fra Iran e Russia, sempre più coordinate nell’aggiramento delle sanzioni occidentali. La presenza dei Paesi dell’Indo-pacifico e del quartetto africano rappresenta infine un chiaro segnale nei confronti di Pechino e della sua “alleanza senza limiti” siglata fra Xi e Putin lo scorso 4 febbraio, poco prima dell’inizio del conflitto: l’alleanza fra le autocrazie non solo non è attrattiva, ma rappresenta una minaccia alla stabilità globale. Il monito che giunge da Ramstein alla Cina è chiaro: Pechino rischia un crescente isolamento internazionale se proseguirà nell’azione costante di promozione della narrativa russa sul conflitto in Ucraina e se vorrà garantire uno sbocco economico e finanziario a una Russia sempre più isolata dopo le articolate sanzioni adottate dall’Occidente. E in una giornata con una tensione crescente, scandita dall’autorizzazione britannica all’uso delle proprie armi per colpire le retrovie logistiche in territorio russo, alle minacce russe di estensione del conflitto in territorio Nato, agli attentati in Transnistria, plausibili false-flag per estendere il conflitto alla Moldavia, non sfugge il forte valore anche simbolico della nascita di una “Nato globale” per sostenere la guerra di liberazione in Ucraina e rappresentare nel prossimo futuro l’architrave di sicurezza della sempre più necessaria Alleanza fra le Democrazie.
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