I palestinesi non sono contenti
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
Abu Mazen con Vladimir Putin
All’inizio, presso i palestinesi si sarebbe applaudito volentieri Putin. Molti leader, compreso il presidente Abbas, hanno studiato a Mosca. Durante la Guerra Fredda, l'Unione Sovietica aveva fornito una preziosa assistenza all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Negli ultimi dieci anni la Russia si è avvicinata ad Hamas a Gaza, ma solo in parte perché il principale sostenitore è il suo alleato, l’Iran. Tanto che il signor Fayez Abu Shamala, scrivendo su “Falastin”, ha augurato una vittoria decisiva al padrone del Cremlino prima di twittare “Spero che la città di Londra incappi nella stessa sorte.”
A Ramallah, dapprima hanno scelto prudentemente di rimanere in silenzio. E poi, vedendo che non solo l'Occidente aveva scelto da che parte stare, ma che anche l'attenzione del mondo era tutta rivolta al dramma ucraino e alla lotta di quel Paese contro l'invasore russo, i palestinesi hanno capito che dovevano fare qualcosa. La soluzione ? Proclamare “Ucraina Palestina stessa lotta” e indignarsi per l'indifferenza dei Paesi occidentali che rifiutano di riconoscerlo. Per La cronaca della Palestina : “Perché ciascuno di loro non applica lo stesso principio alla Palestina e ai palestinesi? Il popolo di questa terra occupata non ha diritto alla propria integrità territoriale e alla propria sovranità senza dover subire la realtà delle incursioni armate quotidiane dell'aggressivo Stato coloniale di Israele, un Paese che non ha mai dichiarato i suoi confini perché la sua fondante ideologia sionista esige la sua costante espansione nei Paesi vicini, e non solo nella terra di Palestina?”
Un’argomentazione che non ha avuto seguito. Il peggio doveva ancora venire. L'immensa ondata di solidarietà suscitata dalle immagini che girano sui canali televisivi occidentali – donne, bambini, anziani in fuga dagli orrori della guerra – contribuisce a “depriorizzare” i profughi palestinesi, per usare le parole di Philippe Lazzarini, l'uomo che da due anni è a capo dell’Unwra. Una situazione catastrofica, soprattutto perché l'organizzazione soffriva da tempo di una grave crisi finanziaria. Le donazioni che tengono a galla questa organizzazione cominciano a esaurirsi poiché ora deve affrontare la concorrenza dei rifugiati ucraini. Philippe Lazzarini non esita più a vederne la fine. Secondo lui, i suoi compiti potrebbero essere ripartiti tra diverse altre agenzie delle Nazioni Unite, ed in particolare dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Una soluzione che avrebbe dovuto essere adottata molto tempo fa per porre fine a un'anomalia che dura da quasi tre quarti di secolo. Lungi dall'aiutare i sette-ottocentomila profughi palestinesi del 1948 a reintegrarsi nei Paesi arabi vicini, di cui condividevano la cultura e la lingua, e spesso dei legami familiari, questa istituzione ha contribuito a tenerli confinati nei campi da responsabili arabi che li hanno strumentalizzati nella loro lotta contro lo Stato ebraico. Per la cronaca, gli 800.000 ebrei espulsi dai Paesi arabi non hanno mai beneficiato di tale sollecitudine eppure oggi sono tutti integrati nei Paesi che li (ospitano) hanno accolti. Tuttavia, possiamo aspettarci una levata di scudi da parte di tutte le organizzazioni palestinesi per combattere contro quello che non mancheranno di descrivere come un sinistro complotto sionista. Alla prossima puntata…