Riprendiamo da ITALIA OGGI, oggi 28/04/2022, a pag. 6, con il titolo "In Russia vita dura per i pacifisti: una legge vieta le bandiere arcobaleno e la propaganda gay e Lgbt", l'analisi di Tino Oldani.
Nei talk show sulla guerra in Ucraina non mancano mai i pacifisti senza se e senza ma, quelli che per distinguersi indossano una sciarpa arcobaleno o una spilla dello stesso colore. Nulla di male. Siamo in democrazia, e ciascuno è libero di manifestare il proprio pensiero, principio garantito dalla costituzione. La stessa libertà è però vietata nella Russia di Vladimir Putin. I pacifisti arcobaleno di casa nostra sembra che non ne abbiano mai sentito parlare. Ma a ricordarlo al mondo intero ci sono due tribunali russi, che hanno appena condannato Meta (ex Facebook) e TikTok per non avere cancellato dalle loro piattaforme alcuni post che i giudici hanno ritenuto «espressione di propaganda Igbt».
Un reato previsto da una legge, voluta da Putin nel 2013 e votata a larga maggioranza dalla Duma, che vieta di parlare in pubblico di amori gay, vieta la propaganda e le manifestazioni Igbt, e vieta anche l'esposizione di bandiere arcobaleno. Le due condanne sono il segnale di una crescente repressione russa sui siti web dopo l'aggressione militare dell'Ucraina, definita da Putin «operazione militare speciale», con il divieto per tutti i media di chiamarla «guerra», pena la condanna fino a 15 anni di carcere. Una mano dura giudiziaria, tipica di un regime autoritario, che sta colpendo anche i contenuti dei siti web che non parlano in modo esplicito del conflitto armato, ma sono sospettati di diffondere in modo subdolo un pacifismo dannoso per Putin. Per questo, un tribunale di Mosca ha condannato Meta-Facebook a una multa di quattro milioni di rubli (circa 50 mila euro) per non avere cancellato alcuni contenuti di «propaganda Lgbt». E un altro tribunale, sempre a Mosca, ha condannato per lo stesso motivo TikTok a pagare una multa di due milioni di rubli. Le libertà sessuali non hanno mai avuto vita facile in Russia. Nel 1943 una legge imposta da Stalin stabilì che l'omosessualità era un reato da punire con cinque annidi carcere. Tale legge è rimasta in vigore fino al 1993, ma l'avversione per gay, Lgbt e pacifisti arcobaleno è rimasta radicata nella parte più conservatrice e culturalmente arretrata della società russa, la stessa a cui Kirill I, primate della chiesa ortodossa, si è rivolto benedicendo la guerra di Putin in Ucraina come un'azione «giusta», perché «contro i gay».
Lungi da noi l'idea di mettere in un unico mazzo gay, Lgbt e pacifisti arcobaleno. Ma nella Russia di Putin è così che la pensano, ed è così che giudicano i tribunali russi, piegati all'obbedienza da un regime che ha invaso, bombarda e uccide da 70 giorni un paese confinante, l'Ucraina, dove da vent'anni anni funzionano democrazia e libertà, e gli elettori possono votare e mandare a casa un presidente della repubblica sgradito, soprattutto se corrotto e servile con Mosca come l'ex presidente Viktor Yanukovich, fuggito in Russia nel 2014. Un modello di democrazia pericoloso per l'autocrate Putin, che per liberarsi degli oppositori di solito li avvelena o li manda in prigione, come Alexej Navalny. Ecco perché l'Ucraina si considera vicina all'Europa e ai valori dell'Occidente, ecco perché a Kiev nessuno fa conto sui pacifisti arcobaleno di altri paesi per potersi difendere dall'aggressione in modo efficace, fino a costringere l'aggressore alla pace. Certo, la sfida non è facile, la guerra, ancor più quando è di difesa, costa sacrifici enormi e perdite umane, militari e civili. Ma la pace è un bene prezioso, come lo sono la democrazia e la libertà. Un bene che un popolo aggredito può recuperare solo con l'uso delle armi. E fornirle, come stanno facendo i 43 paesi del «gruppo di contatto» costituito nel vertice di Ramstein, giova alla costruzione della pace, assai più che l'esibire bandiere arcobaleno nei talk show.
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