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La Repubblica Rassegna Stampa
27.04.2022 La nuova sfida di Macron
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 27 aprile 2022
Pagina: 35
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «La sfida di Macron»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/04/2022, a pag. 35, con il titolo "La sfida di Macron", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy

Aanvallende Le Pen profiteert niet van debat | BNR Nieuwsradio
Marine Le Pen, Emmanuel Macron

Innanzitutto il sollievo, certo. La soddisfazione assoluta quando la mannaia della ghigliottina ha preso un’altra strada rispetto alle nostre teste. La gioia, nonostante il suo risultato elettorale sia notevole, di veder sconfitta Marine Le Pen proprio quando, per la prima volta, la possibilità della sua vittoria era da mettere seriamente in conto. Per quella maschera di rispettabilità che aveva fatto aderire perfettamente al volto. Per le parole chiave del dibattito repubblicano, che con grande cura ha spesso ripetuto, nel tentativo di occuparvi un posto. Per la sua ambizione di arrivare a essere la prima Dottoressa Stranamore di stampo illiberale a prendere il potere nell’Europa occidentale. Un nuovo mostro, insomma, ancora con i denti da latte ma dotato di elementi del linguaggio, di forme d’odio xenofobo e, soprattutto, di vuoto intellettuale; un mostro pronto a inserirsi nel nostro paesaggio ideologico disponendo di un avatar tutto suo, dopo gli Erdogan, i Trump e gli Orbán. Ebbene, ha fallito. Non assisteremo all’abrogazione di quella legge del 1905 che protegge — non dobbiamo stancarci di ripeterlo — anche la libertà religiosa. Non assisteremo all’assimilazione dell’intero islam all’islamismo, né al divieto di indossare il velo negli spazi pubblici, e neppure, nel momento opportuno — come aveva annunciato la leader di Rassemblement national — alla proibizione della kippah . Non assisteremo alla persecuzione dei musulmani praticanti, che equivarrebbe a mettere al bando, a bollare pubblicamente d’infamia un decimo della popolazione. Abbiamo scampato la distruzione del binomio Francia-Germania; il braccio di ferro permanente con l’Europa; il ridurci a satellite dell’orbita di Putin, di cui Le Pen sarebbe stata ministro plenipotenziario. È la grande notizia di domenica sera.

Resta però il fatto che l’estrema destra, forte di questo storico risultato, è poderosa e rimarrà in agguato. Resta, all’altro estremo del campo ideologico, Mélenchon con la sua fobia per la Germania, le ossessioni bolivariane, lo spirito renitente, tranne che con i dittatori; resta l’errore che anche lui ha commesso, sia in Ucraina che in Siria, di non condannare apertamente Putin e di giocare alla roulette russa con il destino dell’Europa; resta questa sinistra regressiva, reazionaria, arcaica, che Mélenchon incarna e che si è schierata a denti stretti con il candidato Macron, che avrà un grosso peso da qui alle elezioni legislative e oltre. Restano certi studenti che si vedono come nuovi sessantottini ma in realtà non hanno imparato da quella generazione ad avere i riflessi pronti quando si tratta di saper distinguere il democratico dal fascista. Restano i segnali di emergenza dei Gilet gialli; gli anni del Covid hanno abbassato la fiamma al minimo ma è pronta a riavvampare sulle rotonde delle città francesi. Restano anche tutte le intollerabili sofferenze e la desolazione piena di dignità di tante persone, e queste ingiustizie mai potrà abolirle solamente il dado tratto da una giornata elettorale. Resta, infine, il disamore che nel corso di questi cinque anni si è sviluppato nei confronti di un giovane presidente; non ha certo aiutato alla necessaria identificazione — sotto forma di repubblicana monarchia — del popolo con la sua figura sovrana. Ho sempre pensato che la causa non fosse tanto la supposta «arroganza» di Macron, quanto un misterioso straniamento, senza dubbio insuperabile. Tutto ciò rimarrà. Tutto ciò creerà una congiuntura politica inedita, che è difficile definire come stato di grazia. Anzi, sarà un muro massiccio contro cui il nuovo — ma un po’ meno giovane — presidente si troverà sbattuto di spalle. Saranno necessarie scelte forti, nel quinquennio che sta per iniziare. Audaci misure economiche e di giustizia sociale. Bisognerà ritrovare il vigore, l’intensità, il desiderio dei primi tempi, di cinque anni addietro, che ora sembrano lontani un’eternità. Ma bisognerà anche compiere, senza indugio, due gesti: tendere innanzitutto la mano, in un modo o nell’altro, a tutti coloro che hanno contribuito alla vittoria. La settimana scorsa scrissi che un voto antifascista o, se si preferisce, repubblicano, poteva essere soltanto incondizionato; ciò tuttavia non impedisce, ora che il voto è stato dato, che venga il tempo delle condizioni da porre, degli impegni da prendere e delle grandi coalizioni da formare. In secondo luogo, riallacciare i rapporti con la politica, quella vera, quella che non viene confusa con la comunicazione né con il biliardo a tre sponde e nemmeno con la cosiddetta governance.

Alla disfatta dell’idea di politica, alla sfiducia senza precedenti che un popolo quasi allo sfascio nutre nei confronti dei propri rappresentanti, la sinistra ha contribuito: lo ha fatto con i suoi vecchi partiti, con il balletto delle ambizioni e con l’incapacità di scegliere tra la cultura di governo e il coltivare la demagogia. La destra, dal canto suo, non sempre ha saputo esprimere in modo chiaro, senza servirsi di tattiche e calcoli infinitesimali, il proprio progetto conservatore, il proprio stato civile repubblicano e quei solidi valori e principi che le avrebbero risparmiato di doversi giustificare di continuo per i rapporti che ha mantenuto con una destra estrema che voleva solo la sua estinzione. È vero che si tende ad addossare al presidente Macron qualsiasi colpa; tuttavia è altrettanto vero che non è estraneo a questo sgretolamento e che sarà lui, in ogni caso, a dover stare in prima linea per ricucire la Repubblica, reinventarsi come rapsodo e avere la meglio su quel battito di morte che ormai sembra pulsargli dentro. E far sì che l’avventura chiamata Francia continui ad avere un senso, a esprimere un desiderio, una forma di nobiltà, il patrimonio di una memoria o forse, più semplicemente, una lingua: sarà questa la sfida.
(Traduzione di Monica Rita Bedana)

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