Missili russi vicino alla centrale nucleare Cronaca di Paolo Brera
Testata: La Repubblica Data: 27 aprile 2022 Pagina: 8 Autore: Paolo Brera Titolo: «L’azzardo del Cremlino, missili a bassa quota sulla centrale nucleare»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/04/2022, a pag. 8, con il titolo "L’azzardo del Cremlino, missili a bassa quota sulla centrale nucleare", l'analisi di Paolo Brera.
Ci mancava anche una nuova minaccia di incidente atomico a togliere il sonno agli ucraini: nel giorno della 36esima ricorrenza del disastro di Chernobyl, ieri alle 6,50 del mattino tre missili sono volati sopra la centrale di Energodar facendo prendere un colpo al presidente di Energoatom, Petro Kotin. Volavano bassi, dice: «Il sorvolo di missili a bassa quota proprio sopra il sito della centrale, dove si trovano sette impianti nucleari, comporta rischi enormi. I missili possono colpirli, è una minaccia di catastrofe nucleare e radioattiva per tutto il mondo». Per fortuna del mondo son volati oltre, ma due sono poi venuti giù in picchiata su una fabbrica di Zaporizhzhia e l’hanno distrutta, e insieme alla fabbrica si sono presi una vita. Un altro lo hanno intercettato gli ucraini ed eccolo lì schiantato nei campi, a fumacchiare nelle foto. Ci ha provato pure il “ministro” degli Esteri europeo, Josep Borrell, a dire ai russi che è troppo pericolosa questa guerra che lambisce, lì a Energodar, la più grande centrale nucleare europea. «Nel 1986 — twitta — abbiamo visto a Chernobyl uno dei più orribili incidenti nucleari della storia. Chiediamo a Mosca di restituire il controllo della centrale di Zaporizhzhia e di astenersi da qualsiasi azione contro impianti nucleari ». Mozione respinta. Per ora il mondo pare se la sia cavata anche a Chernobyl, con difficoltà. Il capo dell’Aiea, Rafael Grossi, dice che l’occupazione della centrale a inizio invasione è stata «molto pericolosa» e con «livelli di radiazioni anomali», ma ora «sono tornati normali». Non è tornata affatto alla normalità, invece, la vita quotidiana nel Paese divorato lentamente dall’avanzata russa. Che è progressiva e devastante per i morti di ogni giorno — con o senza una divisa addosso — e per le città sbriciolate. A Mariupol, sui resistenti dell’Azovstal, hanno contato 35 attacchi aerei in 24 ore, e i soldati del reggimento Azov dicono che hanno lambito l’area dei civili. Mostrano una donna anziana ferita. Non hanno più garze per curare i soldati, e non hanno più cibo per tutti, dicono. Chiedono aiuto subito: chissà se la missione in corso del segretario generale dell’Onu riuscirà almeno in questo miracolo, dopo il lungo silenzio. Per ora i corridoi umanitari sono un miraggio, e un dito puntato sulla follia della guerra e su chi la combatte rimpallando la responsabilità del fallimento. Ma il conflitto non è solo Mariupol.
È il martello pneumatico che batte incessante il Donbass; è il ponte saltato sul Dnepr, a ovest di Odessa, per tagliare in due la regione che i russi vorrebbero conquistare sulla via della Transnistria. È l’agonia continua di Kharkiv, ieri tre morti e sette feriti, un elicottero russo abbattuto e il procuratore distrettuale che denuncia il ritorno dei «campi di concentramento in cui torturano i residenti», dice; ma queste denunce per fortuna sono gonfiate dalla propaganda, in guerra è un’arma come le altre. Il fronte del Sud è sempre molto caldo. Missili e artiglieria, ma anche politica. Dove hanno posato l’elmetto, i russi provano a prendere le redini: ecco qui il signor Volodymyr Saldo, nuovo “capo” della Regione di Kherson; ed ecco Oleksandr Kobets, lui è il “capo” dell’amministrazione comunale, insomma il sindaco di Kherson in formato russo. Ma a preoccupare davvero non sono le prove di governo locale di una popolazione tutt’altro che assecondante. Sono i rischi di allargamento del conflitto, i pericoli di un’escalation di cui ci sono continue avvisaglie e minacce. Mentre arrivano le armi occidentali che fanno esultare il ministro degli Esteri Kuleba e fanno arrabbiare molto Mosca, ecco che la delegazione diplomatica americana ricomincia a mettere piede nel Paese: ieri la prima incursione di un solo giorno, a Leopoli e ritorno dalla Polonia; ma presto tornerà a issarsi la bandiera a stelle e strisce anche a Kiev. Dove, minaccia il ministero della Difesa russo, sono «pronti missili ad alta precisione» per colpire «in modo proporzionale i centri decisionali» da cui continuano a partire gli ordini di attacco oltre confine, in Russia. Ormai è una strategia: mirare alla catena logistica che supporta l’invasione, come fa Mosca dentro l’Ucraina. Non ci sono città sicure. Certamente non lo è Kiev, dove anche ieri è arrivato in visita un leader occidentale, il primo ministro romeno Nicolae Chuque: «Ciascuna di queste visite è un importante segnale di solidarietà. Apprezziamo il sostegno», dice il presidente Zelensky.
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