La Russia a un passo dal crollo? Commento di Rosalba Castelletti
Testata: La Repubblica Data: 26 aprile 2022 Pagina: 4 Autore: Rosalba Castelletti Titolo: «Putin prigioniero della sua propaganda: 'In Ucraina non si può tornare indietro'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/04/2022, a pag.4, il commento di Rosalba Castelletti dal titolo "Putin prigioniero della sua propaganda: 'In Ucraina non si può tornare indietro' ".
Rosalba Castelletti
Prigioniero della sua stessa propaganda, il Cremlino porta avanti la sua “operazione militare speciale” in Ucraina senza però una strategia d’uscita. Non può puntare su un accordo di pace perché élite e popolazione lo interpreterebbero come una resa, ma non ha ancora definito un obiettivo da vendere come onorevole fine delle ostilità, né deciso quale sarà il futuro di quelle che chiama “regioni liberate”. Non è un caso che nei giorni scorsi il vicecapo dell’amministrazione presidenziale Sergej Kirienko sia andato nel Donbass. Una visita non troppo pubblicizzata. Obiettivo: tornare a Mosca con un pacchetto di opzioni da consegnare a Vladimir Putin. Ma non ci sarà alcuna decisione del presidente russo senza un’ennesima lotta bizantina alla sua corte tra il “Partito della Pace” e il “Partito della Guerra”, come sono stati soprannominati. Intanto solo una cosa è certa, dicono nei corridoi del potere: «Indietro non si torna». Per due mesi, media di Stato e autorità hanno fomentato la popolazione presentando l’offensiva in Ucraina come una nuova “lotta al nazismo” e, grazie alla martellante propaganda, sono riusciti a convincerla. Almeno stando alle conclusioni di ricerche demoscopiche e focus group condotti dal Cremlino a partire dallo scorso marzo per sondare gli umori dei cittadini. Risultati confermati anche da un sondaggio commissionato dall’oppositore Roman Junemann. «I membri della classe media credono che, una volta iniziata l’offensiva, bisogni andare avanti fino alla vittoria. Fino a Kiev o persino Leopoli», ha riferito a Meduza una fonte dell’amministrazione presidenziale a conoscenza delle rilevazioni classificate. «Questi trigger sono troppo forti. Risvegliano la memoria della Grande Guerra Patriottica ». Benché sia possibile che, visto il clima di censura e propaganda in Russia, queste ricerche non riflettano la realtà, il Cremlino ci crede. E ci crede anche Putin che ha visto schizzare i suoi indici di popolarità. «Crede sinceramente alle sciocchezze che ascolta alla tv russa e vuole una grande vittoria», ha detto al Financial Times una fonte informata sui recenti colloqui bilaterali del presidente che sarebbe oramai convinto — soprattutto dopo l’affondamento della Moskva — che i colloqui siano in un «vicolo cieco». Il problema adesso è come uscirne, senza intaccare il sostegno del popolo e delle élite. Il Cremlino, sostiene ancora Meduza , «ha soppesato, macchinato, ma non ha un quadro ben chiaro in vista.
Perciò ha deciso di non preparare l’opinione pubblica a negoziati o accordi. Lascia che tutto segua il suo corso». Del resto, ogni volta che qualcuno prospetta la possibilità di una pace negoziata con Kiev, qualcun altro evoca i fantasmi degli “Accordi di Khasavjurt” siglati da Boris Eltsin nel 1996 alla fine della prima guerra cecena che in Russia sono sinonimo di “capitolazione”. È oramai una lotta aperta tra il “Partito della Pace” e il “Partito della Guerra”. O, per usare la definizione ancora più oltranzista adottata da Sergej Mardan, opinionista del Komsomolskaja Pravda , tra il “Partito della Resa” e il “Partito della Vittoria”. E quest’ultimo è sempre più nutrito. Complici i sondaggi, molti politici credono che criticare le affermazioni “pacifiste” possano aiutarli ad aumentare la loro popolarità e a ottenere più voti. Nel “Partito della Pace” non sarebbe rimasto quasi più nessuno. Tanto che il politologo Aleksandr Morozov lo ha ribattezzato il “Partito dei Danneggiati”: «E questi danneggiati lasciano semplicemente il gioco, lasciano le posizioni. Alcuni sono già partiti, come molti della Banca Centrale o l’ad di Yandex. Al posto del Partito della pace, a Mosca sta crescendo una struttura mentale che permette ai “danneggiati” di allontanarsi dagli eventi: “Il conflitto non è stato iniziato da noi, ma dagli Usa”. Così con canti e balli, rotoliamo tutti insieme verso la morte ». È la stessa amara conclusione a cui è giunto il politologo Kirill Rogov: «Le élite russe sono piene di persone consapevoli della prospettiva del crollo, ma nessuno ha non solo il diritto, ma la volontà di fermare o rallentare questo incredibile harakiri nazionale. I passeggeri sventolano bandiere ricoperte di slogan idioti (“denazificazione” o “sostituzione delle importazioni”), guardando con cautela e rispetto la testa del pilota, che ha risolutamente mandato l’aereo a sbattere sul fianco della montagna».
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