Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/04/2022, a pag. 1, con il titolo "Il mosaico di Xi per rafforzare il Dragone", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Vladimir Putin
Adue mesi dall’inizio dell’invasione militare russa dell’Ucraina il maggior elemento di incertezza globale resta la posizione della Cina. Ma facendo attenzione ad azioni e dichiarazioni di Pechino si arriva alla conclusione che il presidente Xi Jinping abbia scelto con grande cura una posizione terza rispetto ai contendenti, in maniera da trarre il massimo vantaggio dalla guerra. È una sfida certo difficile ma lascia intendere che l’interesse primario di Pechino è uscire vincente dal brutale conflitto che sta ridisegnando gli equilibri internazionali. Per arrivare a comprendere il mosaico di mosse cinesi bisogna partire dalle dichiarazioni pubbliche: il 4 febbraio Xi incontra Putin al termine dei Giochi Invernali e parla di alleanza “senza limiti”, dando l’impressione di aver dato luce verde all’attacco iniziato 20 giorni dopo, e dall’inizio delle operazioni militari il ministro degli Esteri Wang Yi ed il vice Le Yucheng sottolineano le “legittime istanze di sicurezza russe” accusando Nato e Usa di aver “causato giustificati timori a Mosca”. I giornali di Pechino, dal Quotidiano del Popolo al Quotidiano dell’Esercito Popolare hanno dato grande evidenza a tali posizioni e sui social media locali le espressioni di solidarietà con l’Ucraina sono rapidamente scomparse.
Con i voti all’Onu a favore della Russia — contro la condanna dell’invasione e contro l’espulsione dal Consiglio dei Diritti Umani — che hanno suggellato la narrativa pubblica di Pechino. Il cui intento è duplice: imporre una versione pro-russa in tutte le comunicazioni ufficiali e interne, dirette ai cinesi, per evitare che il conflitto ucraino favorisca pericolosamente il dissenso anti-regime; far comprendere ai Paesi della regione dell’Indo-pacifico che la presenza della Nato e dei suoi alleati — come il “Quad” — è percepita come ostile e pericolosa per tutti. Ma c’è anche un altro approccio cinese all’Ucraina perché quando Xi ha parlato via video con il presidente americano Joe Biden ha detto che “priorità sono i negoziati per far cessare le ostilità il prima possibile” e gli stessi capi della diplomazia cinese ribadiscono la necessità di “rispettare la sovranità delle nazioni” (dunque anche dell’Ucraina) mentre Pechino ancora non ha consegnato armamenti a Mosca, le sue maggiori aziende energetiche hanno sospeso i progetti russi per non incorrere nelle sanzioni occidentali e l’ “Asia Infrastructure Investment Bank” — controllata dai cinesi — assieme alla “New Development Bank” di Shanghai hanno congelato ogni operazione nella Federazione russa. In questo caso dunque Pechino dimostra di non voler sfidare le sanzioni internazionali, di non voler diventare un alleato militare di Mosca e, più in generale, di non volersi isolare dai commerci globali con l’Occidente a causa delle decisioni del Cremlino. Si spiega così anche la scelta di mandare l’inviato speciale Huo Yuzhen in missione in Polonia, Lettonia, Estonia, Slovenia, Croazia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca per rispondere alle accuse di essere filo-Putin al fine di salvare la “Piattaforma 17 più 1” creata negli ultimi dieci anni da Pechino con le nazioni dell’Europa Centrale e Orientale al fine di aprire la strada alla “Nuova Via della Seta”. “I nostri Paesi sono molto irritati con Pechino per la mancata condanna dell’aggressione all’Ucraina — afferma Justyna Szczudlik, analista cinese all’Istituto polacco di Affari Internazionali — e la Piattaforma creata rischia il collasso”. Per questo Wang Yiwei, docente di affari europei all’Università Renmin di Pechino, osserva: “La visita serve a spiegare che Cina e Russia hanno un forte legame ma sono Paesi diversi, e dunque dovremo illustrare la nostra posizione sul conflitto perché la partnership strategica con Mosca genera profonde incomprensioni”. Ovvero, essere un partner di Mosca non implica per Xi diventarne un alleato globale.
Da qui il valore del recente intervento di Xi al “Boao Forum” sull’isola di Hainan — la “Davos asiatica” — per ribadire la “necessità del dialogo per risolvere i conflitti” e l’ “opposizione alle sanzioni ed alla mentalità da Guerra Fredda” al fine di promuovere un’ “iniziativa di sicurezza globale” con la quale Pechino sembra volersi ritagliare un ruolo tutto suo, affiancando per la prima volta una dimensione geopolitica alla proiezione economica intercontinentale della “Belt and Road Initiative”. Insomma, se finora Pechino ha affidato la ricerca della propria leadership globale a commerci, infrastrutture e alta tecnologia adesso Xi lascia intendere che potrebbe intervenire nella diplomazia internazionale. Per smarcarsi dal rischioso apparentamento con un Vladimir Putin incendiario e isolato senza però spingersi fino a favorire il rivale strategico americano. Ma non è tutto perché ciò che rimbalza da fonti diplomatiche a Pechino è l’attenzione con cui l’Esercito popolare cinese sta esaminando i fallimenti dell’Armata russa. Non è un mistero che le riforme militari varate nel 2015 mirano a recuperare lo svantaggio tecnologico con gli Stati Uniti e gli evidenti ritardi russi nel coordinamento fra reparti, controllo del cielo e alta tecnologia sono fonte di preoccupazione anche perché si uniscono al basso morale dei soldati di leva che è la maggior preoccupazione di Pechino. Se l’influente generale cinese Zhang Youxia auspica “misure innovative per rafforzare il combattimento” è perché incompetenza ed errori russi in Ucraina fanno temere il rischio di incorrere nello stesso flop in caso di conflitto su Taiwan. Soprattutto in presenza di due timori convergenti che trapelano da Pechino: che anche qui, come in Russia, la corruzione abbia eroso la Difesa e che anche qui, come al Cremlino, i capi dell’intelligence esitino a dare brutte notizie ai leader politici. Serve dunque tempo a Pechino per accertarsi della qualità reale dei propri militari come, sul fronte finanziario, serve pazienza per realizzare un “Sistema di pagamento interbancario cross-frontaliero” indipendente per emanciparsi dalla dipendenza dal sistema “Swift” con cui Europa e Stati Uniti stanno assediando l’economia russa. Ecco perché Xi, guardando allo “storico evento” del XX Congresso del Partito comunista cinese in programma in autunno, affronta la guerra in Ucraina come un’inattesa opportunità per rafforzarsi sul fronte interno ed essere più competitivo su quello globale. Facendo solo gli interessi di una Cina che vuole imporsi su ogni rivale: a Mosca, Washington o Bruxelles.