Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/04/2022, a pag. 19, con il titolo 'La guerra è sempre sul corpo delle donne' l'intervista di Stefania Parmeggiani.
Marta Sanz
Quando in Ucraina sono cominciate ad affiorare fosse comuni e si è iniziato a parlare dei civili uccisi e seppelliti dai soldati russi come prove da portare davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia, la scrittrice spagnola Marta Sanz dice di avere provato angoscia e poi sconcerto: «No, non doveva accadere di nuovo».
Lei, infatti, sa bene cosa significa occultare i crimini di guerra e negare dignità alle vittime, che conseguenza ha tutto questo non solo sulla vita dei sopravvissuti ma sul futuro stesso di un Paese. Lo ha raccontato nel suo ultimo libro, Piccole donne rosse (Sellerio), un noir che chiude la trilogia del detective Arturo Zarco, ma soprattutto un romanzo politico – femminista e antinazionalista che affronta il tema della violenza di genere e della memoria di una terra che non ha ancora fatto del tutto i conti con la propria storia. «Di fronte alle immagini e alle testimonianze arrivate da Bucha la prima cosa che ho pensato è stata: l’orrore. Ho poi ricordato i 114.226 scomparsi a causa della repressione della dittatura franchista. Il silenzio dell’Europa durante e dopo la guerra. Ferite dimenticate e non rimarginate».
Le donne ucraine affrontano la minaccia dello stupro come arma di guerra. Perché i crimini sessuali, argomento trattato anche nel suo romanzo, si ripetono in tutti i conflitti? «Diciamo, in condizioni “di normalità”, che il corpo delle donne è un campo di battaglia per la discriminazione economica, per il rischio di esclusione e povertà, per la somatizzazione di uno sforzo che si raddoppia nella sfera pubblica, per come le nostre differenze diventano svantaggi. Per la realtà dei femminicidi che non sono violenza domestica, ma sistemica. In guerra, la metafora non solo diviene realtà, ma è esacerbata: le donne sono considerate pezzi di carne su cui esercitare la brutalità. Oggi vediamo come, oltre agli stupri in Ucraina, nel nostro primo mondo civile ci siano già reti preparate per ingannare, sfruttare e prostituire queste donne. Per sfruttarne il dolore e la fragilità».
Di fronte a tanto orrore si può essere equidistanti? «Essere equidistanti in una guerra è spesso immorale. Ma per non esserlo serve la consapevolezza di due elementi che a volte entrano in contraddizione: chi sono i deboli, chi soffre, e di fronte a questa certezza considerare come nelle guerre si mettano in moto meccanismi propagandistici estremamente violenti che spesso ci impediscono di vedere. Per raccontare una guerra bisogna avere molto coraggio e molta audacia; allo stesso tempo, ci sono immagini che con il passare del tempo ci sembreranno imbarazzanti. Credo anche che non essere equidistanti non significhi per forza essere manichei».
Cosa pensa di Putin? «È un criminale, ma non è l’incarnazione di un male astratto, piuttosto di un male razionale e perfettamente contestualizzato. Per questo, dovrebbe essere processato per i suoi crimini. Perché non è pazzo».
L’invasione russa ha colto di sorpresa la maggior parte delle persone. Era davvero imprevedibile? «Penso che sia stata imprevedibile perché non eravamo abbastanza informati o perché a volte non siamo troppo interessati a guardare certi luoghi. Le guerre non sono mai giustificate, anche se spesso si cercano argomenti filantropici per argomentare una violenza la cui origine è solitamente economica e lo possiamo identificare nei falsi rapporti sulle armi di distruzione di massa che giustificarono “moralmente” la guerra in Iraq. Le guerre non hanno giustificazione e dovrebbero essere sradicate dalla faccia della terra, di solito hanno una causa. Quando qualcosa ha una causa, non credo sia del tutto imprevedibile».
Rischiamo di tornare alle logiche del Novecento? «Mi sembra che la nostra memoria vacilli e non mi sorprende perché diffidiamo persino della memorizzazione nei curriculum educativi. Abbiamo dimenticato che Putin è un erede degli schemi imperiali della Russia neoliberista di Eltsin. Credo che, nonostante ciò che dice Fukuyama, la storia non è finita, e ci sono lotte economiche e di potere, interessi geostrategici e una confusione di ideologia e pensiero critico».
Chi sono per lei gli eroi, chi le vittime e chi i carnefici, in questa guerra? «I carnefici sono tutti coloro che hanno promosso questa guerra, che l’hanno incoraggiata. Coloro che non hanno fatto nulla per evitarla, che danno l’ordine di uccidere e distruggere, che giocano con il fuoco sapendo che non bruceranno direttamente. Le vittime sono tutti gli altri. Soprattutto e come sempre, le persone che hanno meno».
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