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Il Foglio Rassegna Stampa
18.04.2022 L'Europa di fronte alla guerra in Ucraina saprà essere davvero unita?
Analisi di David Carretta

Testata: Il Foglio
Data: 18 aprile 2022
Pagina: 1
Autore: David Carretta
Titolo: «L’inerzia europea»

Riprendiamo dal FOGLIO a pag. 1, con il titolo "L’inerzia europea", il commento di David Carretta.

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David Carretta

Consiglio di associazione UE-Ucraina, 28 gennaio 2020 - Consilium

Bruxelles. Complici le elezioni in Francia, l’Unione europea è entrata in una fase di inerzia nella risposta alla guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina. Lunedì i ministri degli Esteri dei ventisette hanno avuto una discussione sulle prossime sanzioni senza affrontare i dettagli delle scelte difficili. La Commissione sta lavorando al sesto pacchetto, che potrebbe essere presentato dopo le vacanze di Pasqua, ma tra veto dell’Ungheria e opposizione della Germania, l’embargo immediato su petrolio è tornato a essere una prospettiva remota (in caso di accordo ci saranno deroghe per gli oleodotti e periodi transitori molto lunghi). I 500 milioni aggiuntivi stanziati dall’Ue per la fornitura di armi all’Ucraina rischiano di esaurirsi rapidamente, come il precedente miliardo. I governi di grandi paesi, come Germania e Francia, sono cauti sugli armamenti, in termini di quantità e di qualità. L’impatto della guerra sulla crescita economica e l’inflazione sta tornando a prendere il sopravvento. Il prossimo vertice dei capi di stato e di governo è previsto solo tra un mese e mezzo, quando i leader cercheranno soprattutto di risolvere i loro dilemmi sugli acquisti comuni di gas e il disaccoppiamento tra prezzo del gas e prezzo dell’elettricità. Gran parte dell’Ue non sembra essersi resa ancora conto che la guerra in Ucraina è entrata in una nuova fase, completamente diversa rispetto al Blitzkrieg che il 24 febbraio tutti ritenevano avrebbe avuto successo. Sul piano diplomatico ormai è chiaro che Putin non è disposto a trattare fino a quando non sarà in grado di rivendicare una vittoria. Sul piano militare l’offensiva russa nel sud-est dell’Ucraina sarà più lunga e più intensa, con crescente bisogno di armamenti da parte degli ucraini. Sul piano delle sanzioni l’approccio graduale dell’Ue sta mostrando tutti i suoi limiti. Sul piano del sostegno a Kyiv, Volodymyr Zelensky ha fatto sapere a Ursula von der Leyen di avere bisogno di 7 miliardi al mese solo per pagare stipendi e pensioni. Sul piano energetico Putin continua ad avere il vantaggio di poter chiudere i rubinetti del gas e ieri ha accusato le banche occidentali di non effettuare correttamente i pagamenti. Sul piano geopolitico il paventato utilizzo dell’arma nucleare in caso di adesione di Finlandia e Svezia alla Nato mostra che la minaccia di Putin è esistenziale. Per quanto non vogliano essere definiti cobelligeranti, l’Ue e i suoi stati membri devono decidere se coinvolgersi pienamente, anche se non militarmente, nella lunga guerra dell’Ucraina. Tra i paesi dell’Ue, quelli dell’est hanno abbandonato ogni remora. In visita a Kyiv mercoledì con i suoi omologhi di Lituania, Lettonia ed Estonia, il presidente polacco, Andrzej Duda, ha detto che quella di Putin “non è una guerra. E’ terrorismo”. La Slovacchia ha inviato un sistema di difesa aerea S-300 in Ucraina ed è pronta a mettere a disposizione i suoi MiG-29. La piccola Estonia ha fornito aiuti militari per 220 milioni. E’ più del doppio di quanto fatto finora dalla Francia. La campagna elettorale distrae non solo Macron, ma anche l’Ue che, in caso di vittoria di Marine Le Pen, teme di trovarsi con un problema molto più grande dell’Ucraina. La società di armamenti Rheinmetall ha detto di essere pronta a consegnare 50 carri armati Leopard 1 alle Forze armate ucraine in sei settimane, ma sta ancora aspettando il via libera del cancelliere tedesco, Olaf Scholz. La classe politica in Germania è impegnata in un esercizio di introspezione per gli errori compiuti con Putin, che non si è ancora trasformato in determinazione né sulle sanzioni né sulle armi. Per quanta pressione faccia il quartetto formato da Polonia e Paesi baltici, Francia e Germania rischiano di trascinare l’Ue nella compiacenza.

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