Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/04/2022, a pag. 4, con il titolo "La mossa di Zelensky per i soldati di Mariupol: 'Liberateli e trattiamo' ", l'analisi di Paolo Brera.
Tutti al tavolo, i massimi ranghi della politica e della difesa ucraine: e adesso come se ne esce, signori, da questo dramma epico, da questo massacro senza speranza sulle rive del mar d’Azov? Dopo quasi due mesi di guerra, è a Mariupol che si scrive il copione di una possibile pace o di una drammatica rottura. Chiuso a Istanbul l’accordo di massima sulle garanzie di sicurezza e la rinuncia alla Nato, resta il nodo dell’Est. Il nodo di Mariupol. Finché i resistenti resistono, gli invasori impiegano qui armi e mezzi che potrebbero servire alla “fase due” dell’invasione, la presa del Donbass e poi chissà. Mosca non si fermerà. Dichiarare l’obiettivo simbolico della disfatta del reggimento Azov, accusato di crimini di guerra nel Donbass e considerato il nemico pubblico numero uno dai russi; e della vendicativa riconquista della città che tennero per un mese, nel 2014, e da cui vennero cacciati, è il minimo sindacale per non perdere ulteriormente la faccia. Poi, forse, Putin potrebbe accettare di completare la “fase due” anche nel negoziato di pace, scrivendo con Kiev le regole di convivenza nel Donbass: per essere accettate dagli ucraini, deve restare nella loro sovranità, si può partire da forme di autonomia e tutela delle minoranze. Zelensky ha ribadito di essere «pronto a discutere anche dello status della Crimea». Ma il braccio di ferro ora è militare: arrivare al tavolo con il massimo vantaggio, e Mariupol è la chiave.
«Ci sono diversi cerchi di assedio intorno alla città e le forze nemiche sono sei volte più grandi», spiega il presidente Zelensky incontrando un gruppo di giornalisti ucraini. «Nonostante ciò — continua — i soldati si difendono eroicamente anche se mancano cibo, acqua e medicine. Siamo grati, e si stanno sviluppando piani e processi negoziali. Ma a essere onesti, non abbiamo fiducia nei negoziatori russi». Gli accordi sui corridoi umanitari, per esempio, sono regolarmente saltati «volevamo prendere i feriti, le nostre donne e i nostri bambini», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan li aveva mediati personalmente «ma a un certo punto la Russia ha rifiutato». Per salvare Mariupol, sostiene il presidente, l’unica via sono le armi occidentali. La guerra, dunque, e niente altro: per certo, nessuna resa. Si punta semmai a «un regime di cessate il fuoco, almeno nel sud, almeno a Mariupol, per portare via i feriti», dice Zelensky. Tutto quello che hanno ottenuto, da Mosca, è la richiesta di una resa dei difensori della città: «Ma i russi trattano i nostri militari lì in modo diverso, lo sappiamo benissimo. Ci sono militari che odiano», quelli del reggimento Azov, «ed è improbabile che si salveranno la vita». Non hanno opzioni se non combattere. Ma anche per gli altri soldati è un rischio, come i marinai del 36esimo: un migliaio si sono già arresi, gli altri uniti a Azov nell’acciaieria. Ma anche per loro c’è lo spettro «di Ilovaisk», dice Zelensky: nel 2014 i soldati ucraini assediati trattarono una resa con la mediazione del Cremlino, prevedeva di passare tra le linee filorusse. Fu un massacro. Il len to epilogo della città martire demolita dalle bombe, in cui decine di migliaia di civili sono ancora intrappolati, è un incubo per le vittime, per l’Ucraina che osserva attonita e dolente, ma anche per il governo. Insieme al suo capo di gabinetto Andriy Yermak, venerdì sera Zelensky ha riunito il capo delle forze armate, il generale Valery Zaluzhny; il capo di stato maggiore Shaptala, il direttore dell’intelligence Budanov, il capo dei Servizi Bakanov, il comandante della guardia nazionale Yuri Lebed, il ministro dell’Interno Monastyrsky, il segretario del Consiglio di sicurezza Danilov e il capo della delegazione ucraina ai negoziati, David Arakhamia.
All’ordine del giorno c’era un solo punto: quale strategia per Mariupol? L’assedio, l’eroismo della difesa a oltranza nei sotterranei dell’immensa acciaieria in cui sono rintanati gli ultimi superstiti, poco più di duemila soldati secondo il ministero della difesa russo. Il resto della città è praticamente caduto. I russi rivendicano di avere ammainato la bandiera ucraina, per loro «tutta Mariupol è ormai libera»: si naviga nella propaganda, ma certo non è uno scenario inverosimile. Il conto da pagare enorme come enormi sono i rischi e le eventuali conseguenze: di un’azione o di una mancata azione. Di quel che si è deciso al tavolo, «i dettagli non possono essere resi pubblici ora. Ma stiamo facendo di tutto per salvare la nostra gente», ha detto Zelensky. In realtà, per settimane la battaglia di Mariupol è uscita dai radar del governo, mentre i difensori della città combattevano e morivano insieme ai civili, intrappolati e fatti scudo. Ventimila morti, calcola Kiev. Una tragedia biblica da libri di storia. La politica ci ha abbandonato, aveva denunciato in un video nei giorni scorsi il comandante di Azov: «Dicono “li sosteniamo, siamo in costante contatto con loro”, ma per più di due settimane nessuno ci risponde al telefono». Era intervenuto il generale Zaluzhny per spegnere le polemiche: i contatti erano ristabiliti. «Mariupol può essere come dieci Borodyanka — dice Zelensky — e la distruzione del nostro esercito, dei nostri ragazzi, può porre fine a tutti i negoziati». Come potrebbe essere scritta la pace su un martirio? Eppure è alla pace che si continua a pensare. «Un trattato con la Russia — dice Zelensky — può consistere in due documenti diversi. Garanzie di sicurezza di coloro che sono pronti a darcele. E un documento separato con la Russia». Tra i Paesi pronti ci sarebbe «una manifestazione di interesse dalla Gran Bretagna, dagli Usa, dall’Italia, dalla Turchia».
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