Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/04/2022, a pag.9 con il titolo "Quando Canfora lodava Stalin" il commento di Giovanni Sallusti; dal GIORNALE, a pag. 17, con il titolo "Da raffinato filologo a bar sport: la china discendente di Canfora", il commento di Luigi Mascheroni.
Ecco gli articoli:
Luciano Canfora
Giovanni Sallusti: "Quando Canfora lodava Stalin"
Giovanni Sallusti
Non commettete l'errore di pensare che Luciano Canfora stia parlando con Giorgia Meloni, quando le dà ripetutamente della «neonazista». Per il filologo cossuttiano (venne eletto nel comitato centrale del Pci con la corrente di Armando Cossutta, giudicata troppo filorussa perfino da quelle parti) l'offesa greve, molto più da bar sport che da aula universitaria, alla leader di Fratelli d'Italia è solo l'ultimo pretesto per coltivare l'unico dialogo che persegue. Quello allo specchio, quello con se stesso e le proprie ossessioni. Se per il classicista canuto è infatti normale descrivere un'avversaria politica come «neonazista nell'animo» durante una conferenza in un liceo barese, e ribadirlo con la massima disinvoltura anche il giorno dopo a mente (?) fredda, è perché per lui il Mostro novecentesco, il totalitarismo, non è tale. Lo teorizzo proprio, in un'intervista al Riformista: «Una parola che voleva abbracciare talmente tante esperienze da risultare vacua. Totalitarismo è un concetto inutile». Con buona pace di Hannah Arendt, Karl Popper, Raymond Aron, Ernst Nolte, e tutti gli studiosi perfino più insigni del compagno Canfora che hanno speso migliaia di pagine per analizzare le caratteristiche comuni della macchina sterminatrice nazionalsocialista e di quella comunista, gemelle siamesi dell'orrore.
LE PERLE DI LUCIANO No, per il nostro l'orrore pub essere polemichetta di retrobottega, un cazzeggio come un altro da scagliare addosso a chi ha idee lontane dalle tue, e per colpa di questa maledetta democrazia liberale le pub persino esprimere. Non ha probabilmente nemmeno percepito l'enormità di accostare alla Meloni il nome di Hitler, visto che non mostrò alcun freno inibitorio a rivendicare per sé il nome di Stalin. Nel 1994, ad esempio, pubblicò un articolo su Limes seriamente intitolato «Grandezza di Stalin e miseria di Gorbaciov». Tra le perle dell'antichista bolscevico: «Uno statista può essere valutato per quello che ha fatto per il suo Paese. L'opera di Stalin è stata positiva, anche se aspra, per la Russia». Massì, un'opera un filo asprina, con una stima al ribasso circa 20 milioni di morti, tra carestie provocate, Grande Terrore, internamenti di massa nei gulag. «Non faccio questioni di tipo ideologico e politico», aggiungeva Canfora (e proprio qui sta il suo problema ieri come oggi, nel non riconoscere la terrificante matrice ideologica delle proprie sentenze, o degli insulti agli altri) «ma l'unico periodo positivo per la Russia è stato quello di Stalin». Nei 2013, sulle colonne del Corriere della Sera, arrivò a lamentare «la rozza equiparazione di Stalin con gli altri dittatori». Insomma signori, qui parliamo di un Macellaio specializzato, mica uno dei tanti. I mucchi di cadaveri accatastati evaporano, nelle dotte riflessioni di Canfora, contano di più cervellotici meriti storici, o l'attacco al nemico di giornata. Se lui pub esplicitare nostalgie staliniste, la Meloni pub ben beccarsi accuse neonaziste, è tutto un grande gioco, un incontro/scontro di categorie svuotate della loro drammaticità carnale, della mattanza epocale che racchiudono.
LA FISSA DEI MIGRANTI Nella precisazione successiva, l'accademico rosso aggiunge sofisma a sofisma, forse spaventato dalle minacce di querela di Giorgia (che vivendo nella realtà ha dato alle parole il loro peso storico, morale, umano): «Il termine neonazista è un'altra cosa rispetto a nazista». Ad esempio, ci spiega, «neonazista è l'atteggiamento di chi usa le navi da guerra per respingere i migranti». Quindi, l'Australia è chiaramente una nazione neonazista, visto che schiera la marina militare per contrastare l'immigrazione clandestina, non un Paese di cultura e diritto anglosassone che lasciò migliaia di ragazzi a un emisfero di distanza per combatterlo, il nazismo. Maneggiata dallo storico comunista, la Storia diventa arbitrio, delirio, tavolozza bianca su cui proiettare le proprie allucinazioni ideologiche. Pensa che siano tutti come lui, Canfora, non avverte alcuna stortura nell'elogiare o nel tirare dentro la cronaca la tragedia ultima, i nomi di comprovati genocidi, lo spettro di Auschwitz o quello della Kolyma, il terribile lager staliniano. Del resto poche settimane fa, commentando al Corriere le immagini degli ucraini massacrati e ridotti a profughi dal signore che vuole restaurare la sua vecchia, mai dimenticata Unione Sovietica, affermò tranquillamente: «La storia di una Irina che perde il bambino è un caso particolare e basta». Verissimo, e per noi è più che sufficiente, è per questo che non siamo neonazisti, non siamo neostalinisti, non siamo Canfora.
Luigi Mascheroni: "Da raffinato filologo a bar sport: la china discendente di Canfora"
Luigi Mascheroni
Arguto, mai banale, polemikos, figlio di un filosofo e di una insigne grecista, nipotino di Togliatti, «ribelle in cerca di libertà», e del glorioso Pd, Luciano Canfora - filologo emerito e internazionalista militante - sa bene che una delle armi più micidiali, al pari della propaganda, è la Storia. Studiandola, insegnandola, spiegandocela, il Professore - 80 anni e una bibliografia che incute timore, fra demokratía, eleutheria e gramscismo - è diventato, veterocomunista nostalgico della grande Madre Urss, uno dei pesi massimi dell'intellighenzia italiana. Seguitissimo all'Università e ascoltato dai politici, padrone e amante della «parola», da cui philologhía, «filologia», è sempre stato un raffinato pensatore che mortificava la Destra e spronava la Sinistra. Poi, come tanti intellos in debito con la postcontemporaneità: Cacciari, Freccero e non solo... ha infilato la china discendente: dal demos al populismo. Ed è facile, ma malinconico, passare dall'elogio di Cleofonte all'insulto da cloaca. La deriva senile da bar sport dire tutto, troppo, a caso. Ospite in una scuola di Bari, sua città universitaria, ha liquidato Giorgia Meloni «neonazista nell'animo» perché «schierata con i neonazisti ucraini». Poi, ieri, ha cercato di correggere la frase. Canfora è un filologo, conosce l'arte dell'interpretazione. Ha spiegato che il termine «neonazista» è un'altra cosa rispetto a «nazista». Schematizzando ad uso degli studenti, fra il bigino geopolitico e la provocazione radicale: Hitler era un nazista, Meloni e Salvini che vogliono fermare gli immigrati sono neonazisti. Ecco. Per la Sinistra che una volta era filo Stalin («Sempre meglio di Gorbaciov» disse Canfora nel '94) e adesso è semplicemente intollerante, è sempre «uri altra cosa». Ma il vizio rimane quello. Condannare l'avversario politico come fascista, o nazista. Si dice reductio ad Hitlerum, o reductio ad nazium, ed è una squisita sebbene un po' stuccevole tattica oratoria che mira a squalificare l'interlocutore comparandolo al Male assoluto. Difficile poi però collocare il Bene fra quanti continuano a minimizzare i crimini del comunismo ma accusano un'intera nazione sotto le bombe di essere nazista. Poi il problema sono le scritte «DVX» sugli edifici del Ventennio... La degradazione della gloriosa Sinistra italiana, dagli intellettuali organici all'Anpi 4.0. Dalla Resistenza alla desistenza. C'eravamo tanti armati... Desistere, desistere, desistere. E alla fine il dittatore «democratico» - Cesare, Bonaparte Stalin o Putin che sia - piace sempre di più alla vecchia Sinistra di quanto non piaccia alla giovane Meloni. La quale, quando diventerà la politica più votata dagli italiani, alla fine lo dovrà anche a Canfora. L'elettore si chiede: ma può uno stalinista non pentito rilasciare patenti di democrazia? E in un liceo? Canfora resterà comunque impunito. Ed è curioso. Un quindicenne (va ripetuto: quin-di-cen-ne) butta in burla un saluto romano e viene radiato dai circuiti di kart, sospeso dalle corse, gli viene confiscata la licenza, la carriera distrutta e denazificata. Bene bene. E Canfora, nazificando una intera nazione, resterà dov'è: nella scuola, nell'editoria (la democratica casa Laterza non dice niente?), in tv, sui giornali. Del resto nell'antica Grecia, così come da noi, la democrazia non è mai stata perfetta.
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