Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/04/2022, a pag. 1-35, con il titolo "Tra onore e indegnità", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
Marine Le Pen, Emmanuel Macron
Dunque: Emmanuel Macron è in testa. Nobili dichiarazioni di Pécresse, Hidalgo e Jadot, che invitano i loro elettori a votarlo. E sollievo per l’appello di Mélenchon che, pur non avendo il fegato d’ingiungere ai suoi votanti di fare la stessa cosa, pur senza spingersi ad auspicare la vittoria dell’Europa, dell’Ucraina e del senso della democrazia, mantenendo insomma la sua prudente manfrina di voler in primo luogo consultare le basi del partito, batte tuttavia con insistenza su un solo chiodo: nessuno dei suoi voti deve finire a Marine Le Pen. Non pone ostacoli. Ma il fatto è che, come temevo, un elettore su tre ha scelto l’estrema destra. E uno su due ha scelto il partito di chi non vuole darla vinta né a Putin né ai giustiziati di Bucha, mettendo nello stesso sacco il fascismo e le sue vittime. E dal posto in cui sto scrivendo, da questo treno immerso nella notte e strabordante di rifugiati, nel cuore dell’Ucraina martirizzata, ogni volta che ricevo notizie sullo smartphone, assai frammentarie, ho la strana sensazione che il fatto che Macron sia in testa sia solo un’illusione ottica, e che se finalmente quegli uomini e quelle donne di buona volontà smetteranno di esitare di fronte al regno dell’odio, agli ordini di Putin, al disastro, non avranno un secondo da perdere per esprimere un netto rifiuto a tutto ciò, domenica 24 aprile, tornando alle urne. Per renderlo possibile sarà necessario che gli elettori di Pécresse rispondano al suo accorato invito e si oppongano a quelli che, invece, negli ultimi quarant’anni si sono impegnati a smantellare il partito del generale de Gaulle, Valéry Giscard d’Estaing e Jacques Chirac. Agli ecologisti che hanno votato Jadot, come a chi non ha votato affatto, è il momento di ricordare — e questo è l’ultimo treno che passa — quanto sia estrema l’urgenza della lotta al cambiamento climatico: con Le Pen scettica sul clima, con i complottisti e gli ignari No Vax che la circondano perderemmo cinque anni preziosi. Gli elettori di Jean-Luc Mélenchon che volevano dimostrare che la sinistra non era morta dovranno farsi un esame di coscienza e chiedersi cosa significhi essere di sinistra: fare la politica peggiore o del male minore? Astenersi e, di conseguenza, servire da predella a una candidata razzista, o apportare il loro sostegno critico a un discepolo centrista di Paul Ricoeur? Fare come l’estrema sinistra tedesca degli anni 30 del secolo scorso che, a forza di ripetere che tra Hitler e i socialdemocratici c’era appena una differenza di grado, ha finito per spianargli la strada? Oppure votare Macron senza se e senza ma, perché non c’è altro modo di costruire uno sbarramento alla donna che fino a poco fa ballava il valzer a Vienna con i neonazisti? Può darsi che ci siano elettori di Zemmour davvero sinceri nel definirsi attaccatissimi alla «fierezza francese»: a loro consiglio, prima di tornare a votare, di rivedere, a mo’ di penitenza, le immagini di Madame Le Pen in visita a Mosca nel 2015, tutta sorrisi al cospetto di Putin, ossequiosa, mentre approvava in modo servile l’invasione della Crimea. Le elettrici di qualsiasi partito, invece, dovrebbero rileggere le dichiarazioni della leader del Rassemblement National, quando ha più volte affermato, nelle campagne precedenti, di condannare «la comodità dell’aborto». Gli ebrei che credono nel cielo, ma anche quelli che non ci credono, dovrebbero rileggere le sue prese di posizione sulla kippa, ridotta a dozzinale segno distintivo religioso e quindi vietata, come il velo islamico, negli spazi pubblici. I cattolici avranno forse modo di interrogarsi sulla confessione della candidata, quando rivelava di conoscere bene i «neopagani» che ora si accalcano attorno al rivale Zemmour, e che se li conosce bene è perché prima avevano il loro quartier generale nel Rn. A chiunque abbia visto nel matrimonio per tutti e tutte un progresso sociale e politico, bisognerà ripetere che il programma di Le Pen prevede, per la legge votata nel 2013, una moratoria di tre anni: il tempo necessario ad abrogarlo. A chi si è lasciato ingannare dall’apparente svolta di questa «realista» che in teoria ha rinunciato a uscire dall’Europa dovremmo ripetere che quando, su certe questioni, afferma il predominio del diritto francese sul diritto comunitario sta in realtà incitando a un’inconfessata Frexit e che ci caccerebbe in una situazione difficile quasi quanto quella dell’Ungheria di Viktor Orbán. Chi dirige un’azienda sa che percentuale del proprio personale proviene dall’immigrazione? C’è da sperare che gli imprenditori abbiano capito cosa intende dire la candidata quando annuncia che, sotto la presidenza Le Pen, l’immigrazione non sarà tollerata se mette in discussione «i fondamentali del popolo francese». Eravamo contenti di vedere che il tasso di disoccupazione iniziava a scendere? Ebbene, la Francia di Le Pen sarebbe declassata, snobbata dagli investitori, in difficoltà nel finanziare il proprio debito e risucchiata dalla spirale di dirigismo, crisi, perdita di potere d’acquisto e disoccupazione di massa. Le persone a cui Macron causa irritazione, quelle che lo trovano «altero» o «lontano dal popolo» dovrebbero ricordare che essere eletto presidente non costituisce uno sfogatoio. Coloro a cui non dispiacerebbe dargli una lezione, punire «le élite» per la loro «arroganza», e che quindi sono tentati di trascorrere il fine settimana fuori o di andare a pesca, sono pregati di tenere a mente che a essere in gioco non sono le élite, ma le classi popolari, che pagano i cocci. In realtà la sfida è tra due logiche: quella del fronte repubblicano — mai come ora degno di questo nome — e quella di un fronte anti-Macron, che ha in serbo per noi solo sventure. Repubblica o barbarie. Onore o indegnità. È questo il punto. Ancora una volta.
(Traduzione di Monica Rita Bedana)
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