Testata: La Repubblica Data: 11 aprile 2022 Pagina: 10 Autore: Daniele Raineri Titolo: «I blindati di Mosca verso il Donbass, l’assedio scatena il grande esodo - Sabotaggi e cyberguerra, così i partigiani bielorussi aiutano la resistenza»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 11/04/2022 a pag.10 con il titolo "I blindati di Mosca verso il Donbass, l’assedio scatena il grande esodo" la cronaca di Daniele Raineri; a pag. 11 il suo commento dal titolo "Sabotaggi e cyberguerra, così i partigiani bielorussi aiutano la resistenza".
Ecco gli articoli:
"I blindati di Mosca verso il Donbass, l’assedio scatena il grande esodo"
Daniele Raineri
Alla pompa di benzina non si paga ed è un fatto eccezionale nel Donbass assetato di carburante, che serve alla popolazione per salire in macchina e scappare in massa verso ovest e verso la sicurezza. C’è da lasciare tutta questa zona in fretta perché i russi stanno arrivando o comunque tentano di arrivare, sono a trenta chilometri di distanza, e questo vuol dire che faranno due cose: entreranno in città oppure bombarderanno. E quindi un civile con in mano le sue taniche prende la tanica di benzina da dieci litri dalle mani e riempie pure quella e quando gli si chiede dove si paga lui e la cassiera fanno spallucce entrambe. Il tempo in cui le cose funzionavano è passato, adesso è il tempo di riempire i serbatoi. Il viaggio verso Dnipropetrovsk, la prima città considerata sicura, con le sue luci e i suoi negozi ancora aperti, è di almeno tre ore. Arrivando era il contrario: un benzinaio aperto ogni dieci e pure quello al massimo vende con riluttanza venti litri di benzina a testa. Code lunghissime di auto riempiono le strade e aspettano ai posti di blocco, con i bagagli sui tetti. Sembra di vedere quello che accadde a Kiev nei primi giorni dell’invasione, quando moltissimi si misero in macchina o presero treni verso Leopoli. Adesso tocca all’Est. La gente del Donbass raggiunge gli altri dieci milioni (almeno) di sfollati ucraini che hanno già fatto la stessa cosa dall’inizio della guerra. Qui l’invasione russa non è mai è stata un’ipotesi remota come nel resto dell’Ucraina, è sempre stata una minaccia reale, le città sono già cadute in mano ai separatisti filorussi e poi sono state riprese di nuovo. A Kramatorsk no, i separatisti tentarono di prendere il palazzo del governo locale con un colpo di mano nell’aprile 2014 e non ci riuscirono, ma tutti sanno che adesso sognano la rivincita grazie alle armi dell’esercito russo e grazie alla frustrazione del presidente Vladimir Putin, che in quasi cinquanta giorni non ha ancora ottenuto risultati da questo conflitto. Sotto la tettoia del benzinaio assieme ai civili ci sono anche i soldati ucraini in piedi sul cassone dei mezzi, riempiono i serbatoi enormi, ce ne sono pure un paio in passamontagna — gli unici due a volto coperto — che parlano in inglese ma non vogliono essere intervistati. Il governo ucraino ha annunciato la preparazione di almeno cinque corridoi umanitari per facilitare l’esodo del Donbass in sicurezza, ma non c’è fiducia nei soldati russi, non è scontato che li rispetteranno. Potrebbero, com’è successo in passato, trasformare i corridoi in materia di negoziato. Come se non fossero bastati gli appelli del governo a spingere i civili a lasciare le città del Donbass ucraino, da dieci giorni ci sono le notizie di quello che è accaduto a Bucha e nelle altre aree occupate dai soldati russi attorno a Kiev — i crimini di guerra contro la popolazione. E poi ci sono stati i due missili balistici Tochka sparati tre giorni fa contro la stazione ferroviaria e le quattromila persone che aspettavano i treni verso ovest. Il piazzale della stazione è vuoto come il resto d i Kramatorsk. Soltanto un nastro di plastica che dondola e il segno sull’asfalto di tre automobili bruciate restano come segno che un bombardamento russo ha ucciso cinquantasette civili in questo spazio. Le carcasse delle automobili sono state portate via, gli ucraini hanno regole severe, i resti della guerra devono essere rimossi al più presto per non demoralizzare la popolazione. È la ragione che spiega perché delle centinaia di carri russi distrutti è raro vederne uno ancora per strada, niente carcasse distrutte in stile Afghanistan. Il missile Tochka è una strana arma disegnata per fare strage di persone con schegge minuscole e lasciare in piedi le strutture e infatti le vetrate della stazione sono intatte come se non fosse successo nulla. Anche il motore del Tochka caduto sul prato è sparito, quello dove si leggeva “per i bambini”. Resta soltanto la sagoma stampata nel terreno soffice. Kramatorsk con i suoi centocinquantamila abitanti per due giorni è stata la capitale dell’esodo ucraino, ora è vuota. Un soldato ucraino mostra su un laptop cosa è successo negli ultimi due giorni. I soldati russi sono avanzati da nord verso Barkinkove, un piccolo centro da ottomila abitanti vicino a Kramatorsk, ma sono stati respinti sabato sera. Più a nord c’è un convoglio russo con centinaia di mezzi che si muove piano verso sud, lungo dieci chilometri. Inoltre, spiega, hanno creato una grande area di sosta ancora più a nord per piazzarci tutti i rifornimenti, dalle munizioni al carburante, ma sabato sera è stato colpita. «Fuochi d’artificio come fosse una festa», dice il soldato. Come è stata colpita? Non risponde e non c’è modo di verificare, dice però anche lui come tutti che ci saranno battaglie violente nei prossimi giorni. Gli analisti spiegano che i reparti russi sono stretti tra la necessità di ridiventare di nuovo pronti al combattimento (dopo avere subito perdite pesanti di mezzi e uomini) e gli ordini dall’alto che dicono di fare in fretta e prendere il Donbass — in tempo per la celebrazione della Giornata della Vittoria il 9 maggio.
"Sabotaggi e cyberguerra, così i partigiani bielorussi aiutano la resistenza"
Mercoledì 6 aprile tre sabotatori bielorussi hanno tentato di far deragliare uno dei treni che, appena a nord del confine con l’Ucraina, fanno funzionare la macchina bellica della Russia. Si erano portati dietro uno speciale finto binario di metallo che posato sui binari veri fa deviare il treno e lo getta fuori. La polizia però ha teso loro un agguato, era nascosta nei paraggi dentro due furgoni e con i passamontagna sul volto, è saltata fuori e li ha presi. Poi secondo alcuni testimoni ha sparato loro nelle ginocchia come punizione, perché la Bielorussia è una dittatura e il suo leader Alekjandr Lukashenko è alleato o meglio vassallo del presidente russo Vladimir Putin (si incontreranno domani). Le foto dell’azione confermano questa storia. Le operazioni di sabotaggio contro i militari russi intraprese da cellule segrete di bielorussi, che fra loro si chiamano “partigiani” come nella Seconda guerra mondiale, sono state almeno ottanta in quarantacinque giorni e sono un lato poco raccontato del conflitto. Franak Viacorka, che è consigliere della leader dell’opposizione bielorussa in esilio Sviatlana Tsikhanouskaya e conosce l’ambiente, dice al telefono che «i russi si aspettavano che la Bielorussia fosse una retrovia comoda della loro guerra per prendere Kiev. Hanno portato decine di migliaia di soldati nel Paese con il pretesto di esercitazioni e poi ordinato loro di circondare la capitale ucraina. Non è successo anche perché, senza nulla togliere al coraggio degli ucraini, c’è un movimento underground di bielorussi che ha raccolto informazioni minuto per minuto sui movimenti dei militari russi in Bielorussia — c’è un canale Telegram anonimo dedicato, il Progetto Belaruski Hajun, dove si possono caricare foto e segnalazioni — e che ha sabotato le ferrovie». A volte non si trattava di sabotaggi clandestini, ma di atti di resistenza civile compiuti in pubblico da parte del personale delle ferrovie. «Le ferrovie sono una delle più grandi aziende del Paese e una delle più insofferenti con il potere di Lukashenko ». Questa opposizione interna e il fatto che i russi non si fidano è uno dei motivi dello spostamento della guerra verso Est, verso il Donbass: così le retrovie del fronte e i gangli logistici non sono più in Bielorussia, ma in Russia. «Sono cellule orizzontali, non centralizzate, che agiscono per le stesse motivazioni e con la stessa ispirazione ma senza un leader e infatti si vede che gli attacchi sono sparsi in tutto il Paese — dice Viacorka — I sabotaggi dei partigiani bielorussi contro i treni dei nazisti sono materia di orgoglio nazionale, questa punta a essere una replica». C’è coordinamento con i soldati ucraini dall’altra parte del confine? «Non diretto, ma gli ucraini vedono e sfruttano la massa di informazioni raccolta dagli anonimi volontari bielorussi e il blocco delle ferrovie li ha aiutati molto ». I sabotatori sono in contatto con un gruppo di “cyber partigiani” (è il nome che si sono dati) ci spiega Yuliana Shemetovets, che dagli Stati Uniti si è presa l’incarico di loro portavoce. Anche i partigiani hacker hanno bloccato del tutto le ferrovie per almeno tre volte entrando nell’obsoleto sistema bielorusso, ma le loro operazioni più importanti sono state «l’accesso all’archivio nazionale dei passaporti, che contiene ogni genere di dato e ha permesso di scoprire informazioni importanti a proposito di uomini del regime e la verità sul numero reale di morti per Covid e il database completo della polizia, incluso l’accesso alle loro telecamere e i file su ogni singolo poliziotto. Sono operazioni che mirano a spezzare la cortina di anonimato che ripara gli agenti della polizia speciale e che fa pensare loro di potere fare quello che vogliono ai bielorussi ». Si possono misurare le conseguenze di queste azioni nella realtà? «È stato lo stesso Lukashenko a dire che gli attacchi informatici possono essere peggio di quelli nucleari». Sono operazioni che possono avere effetti pesanti sui cittadini. «Secondo gli esperti indipendenti di attivismo hacker, i partigiani bielorussi sono tra i gruppi hacker più attenti al lato etico in quello che fanno. L’obiettivo è fare attenzione a non colpire i bielorussi normali». Chi ha ottenuto i video dei soldati russi che mandano a casa i beni saccheggiati? «Penso le compagnie che gestiscono quei servizi ».
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