Makariv: caccia ai civili. È strage Cronaca di Fabio Tonacci
Testata: La Repubblica Data: 10 aprile 2022 Pagina: 1 Autore: Fabio Tonacci Titolo: «Uccisi casa per casa: stupri, spari, torture, è il martirio dei civili»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 10/04/2022, a pag. 1-2, con il titolo "Uccisi casa per casa: stupri, spari, torture, è il martirio dei civili", la cronaca di Fabio Tonacci.
Fabio Tonacci
La caccia all’innocente, a Makariv, è stata un orrendo servizio a domicilio offerto dalle truppe occupanti. Sono andati a cercarli casa per casa. Nella città e nei villaggi del distretto a ovest di Kiev si raccolgono le prove di decine e decine di omicidi a sangue freddo. Cittadini comuni, erano inermi, impauriti e supplicanti. I russi sono entrati sfondando le porte, hanno sparato alle rotule di chi non si voleva inginocchiare, li hanno finiti con un colpo alla nuca. E in almeno due casi hanno fatto precedere la morte dalla lenta agonia della tortura. Ci sono le prove e i testimoni, non sono le esagerazioni emotive di un Paese aggredito. Al civico 70 di via Sloboda, nel sobborgo di Andriivka, una donna in tuta piange mentre scalda il tè sulla vecchia stufa a legna e si scusa per il disordine della cucina. Si chiama Olena Kybukhevec, ha compiuto 45 anni il 27 febbraio. Suo marito Vitaly è in giardino, sotto quaranta centimetri di terra e di ondulati di cemento. «L’abbiamo seppellito lì in attesa che il becchino lo porti al cimitero». L’aia dove vagano i polli risparmiati dal saccheggio è la scena di un delitto. «Il 12 marzo sono arrivati in tre, due russi e un bielorusso. Vitaly era vicino al trattore. Era senza armi, in famiglia non abbiamo neanche il fucile per tirare ai fagiani. Gli hanno legato i polsi dietro la schiena e hanno sparato al telefono. Vitaly portava un cappello, gliel’hanno abbassato sugli occhi. L’hanno fatto inginocchiare vicino alla motocicletta e uno dei tre gli ha sparato alla nuca». Serhij Mihalchuk era nascosto dietro la staccionata e ha visto tutto. È un uomo pratico, ha 54 anni e sa come costruire muretti e aggiustare cancelli. Ha mani callose, indurite da chissà quanti tagli cicatrizzati. «Hanno giustiziato Vitaly senza motivo. E non hanno ammazzato solo lui…». Sloboda è una viuzza di neanche cento metri, eppure gli omicidi di civili sono tre. Sei case più sotto, sono andati a prendere Vadyn Ganyuk, 33 anni. «Stessa modalità di esecuzione », racconta l’uomo dalle mani callose. «Però Vadyn si è rifiutato di inginocchiarsi, allora quelli gli hanno fatto saltare la rotula della gamba destra. Sentivo le urla di dolore, poi un botto secco, e il silenzio». Il terzo l’hanno fatto fuori in un fienile, aveva 45 anni. L’armata del Cremlino è apparsa sull’unica strada che attraversa Andriivka il 27 febbraio. Alle 12.22 Alexander, uno degli abitanti, ha ripreso col telefonino i primi carri armati e i blindati con la “v” sulla corazza. Alexander e suo figlio sono stati rapiti, di loro non si sa più nulla. Quattro sono le colonne russe che scendono, quel giorno: tre puntano verso Makariv, una si ferma. Il pescatore Mikola Shulga, 59 anni, all’ora del tramonto del 18 marzo era nel capanno delle canne da pesca davanti allo stagno. I militari russi lo hanno notato perché, per fare il sentiero verso l’abitazione che affaccia sulla strada Vulytsya Shevchenka, usava una lampadina. Dal tank sono scesi in due, convinti che il ponte fosse stato minato dagli ucraini. «Hanno costretto Mikola a percorrerlo più volte, per fare la prova», racconta Oksana Butrimenko, che andava a scuola con la figlia del pescatore. «Gli hanno bucato la pancia con un proiettile, Mikola si è trascinato fino a casa dove è rimasto agonizzante per due giorni». Il 20 marzo la signora Valentyna Chyzhevsky, ottant’anni e otto figli, ha attraversato il prato fangoso per preparare il cadavere del vicino alla sepoltura. «Hanno sparato anche a lei. Subito dopo un carro armato ha rivolto il cannone verso la casa di Mikola». Adesso è un moncherino di mattoni su un tappeto di macerie. Rientrando a Makariv, non lontano dal campo da golf che ora di buche non ne ha diciotto ma cento, le cento trincee scavate dai russi, si incontrano le carcasse carbonizzate di cinque automobili in fila. In una, sul sedile del guidatore, i resti di un torace umano. Stavano fuggendo e li hanno assaltati con gli elicotteri. Cinque famiglie, due bambini. Nell’intero distretto di Makariv (9 mila abitanti prima della guerra) polizia e amministrazione hanno censito, sinora, 132 civili uccisi. «Molti hanno ferite da arma da fuoco, non sono vittime di bombardamenti o dei crolli», spiega il sindaco Vadymir Tokar, un passato da avvocato e calciatore. I suoi concittadini raccontano di «granate lanciate negli scantinati dove ci nascondevamo». Il giovane capitano di polizia Sasha Solar aggiunge orrore all’orrore: «Abbiamo due casi di sevizie e torture, entrambi avvenuti vicino alla vecchia fabbrica di mattoni all’altezza di Vasylya Stusa». Durante i furiosi giorni della liberazione della città, riconquistata il 30 marzo, era la linea di contatto, quindi la terra di nessuno. «Una donna di quarantanni è stata stuprata e sgozzata. Abbiamo scoperto il corpo nel bosco ma non possiamo recuperarlo perché è minato. Un uomo sulla cinquantina, invece, era supino nel salotto. Aveva le mani legate e le costole spezzate». Nella Makariv liberata col sangue si incontrano prove di crimini di guerra e cadaveri lasciati a marcire. Sulla strada che collega la città a Andriivka c’è uno sterrato, da lì si va a un grosso casolare grigio e rosa. Il tetto non c’è più. Si entra da un uscio scardinato con la sensazione di violare qualcosa. Le scale del primo piano scricchiolano, i passi nel corridoio gelido rimbombano. Sulla sinistra una camera. Una donna di 95 anni, vestita e con le scarpe ai piedi, è avvolta in una coperta nello spazio tra il letto e il muro. Sta lì da almeno una quindicina di giorni. Non è chiaro se sia stato un fucile o una bomba ad ammazzarla. La morte, a domicilio.
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