Crimini di guerra in Ucraina: la posizione dell'Unione Europea Cronaca di Claudio Tito
Testata: La Repubblica Data: 09 aprile 2022 Pagina: 3 Autore: Claudio Tito Titolo: «La rassicurazione a Zelensky e la sfida a Putin nella capitale: 'Dobbiamo dare un segnale'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/04/2022, a pag. 3, con il titolo "La rassicurazione a Zelensky e la sfida a Putin nella capitale: 'Dobbiamo dare un segnale' " la cronaca di Claudio Tito.
Ursula Von Der Leyen
«Di fronte a questi orrori, non possiamo rimanere fermi. Dobbiamo mostrare da che parte sta l’Europa. Dobbiamo dare un segnale ». Quando l’altro ieri, alla vigilia della partenza per l’Ucraina e mentre il vertice della Nato esaminava le barbarie delle truppe russe a Bucha, qualcuno le ha chiesto se davvero fosse opportuno questo viaggio, la presidente della Commissione, Ursula von Der Leyen, ha risposto con queste parole. E con un gesto: dalla sua scrivania ha preso la copia del settimanale tedesco Der Spiegel , lo ha sfogliato e ha indicato le parti più orribili. Ecco la spiegazione. Ed ecco gli obiettivi proposti. Un modo, quindi, per dire che dinanzi alle crudeltà della storia e della cronaca nessuno può tirarsi indietro. Certo, oltre ai sentimenti c’è inevitabilmente di più. Questa guerra, è stata l’analisi fatta pure nel corso dell’ultima riunione della Commissione, si combatte anche a colpi di “simboli”. L’aspetto della comunicazione, dell’informazione e, purtroppo, della disinformazione ha un ruolo senza precedenti. È la variante del XXI secolo su un conflitto combattuto con le armi del XX secolo. E allora il viaggio di Von der Leyen e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha cercato di essere un fattore di questa variante. Rappresentare un “simbolo”. L’obiettivo è dunque di elevare l’immagine dei vertici comunitari in Ucraina e in particolare la loro presenza nel luogo dell’eccidio più crudele, a emblema dell’Europa. Della posizione assunta dall’Unione, della vicinanza manifestata nei confronti del presidente Zelensky. Offrire un “simbolo” in una battaglia di simboli. Far capire che se due figure istituzionali sono in grado di compiere un gesto del genere e di visitare liberamente un territorio belligerante, allora l’attacco russo è davvero fallito. Oppure è sull’orlo del fallimento. In questo quadro, è l’interpretazione data dal vertice dell’esecutivo comunitario, non c’è bisogno di formulare una proposta sulle armi o sui finanziamenti, oppure inviare un segnale di novità. Il gesto vale per il messaggio che intrinsecamente trasmette.
Poi, certo, in questa scelta hanno avuto un peso anche altri elementi. Che non possono essere trascurati. E che nei giorni scorsi hanno preso in alcuni momenti il sopravvento. Il primo è l’indecisione che l’Unione Europea ha evidenziato nelle ultime ore sulle sanzioni più delicate, quelle sull’energia. Il timore – in tutti i rappresentanti della Commissione – era che quella prudenza venisse scambiata per distanza. E che la linea europea si identificasse in una debolezza o in una unità incrinata. Che il colore del petrolio e del gas fosse più brillante della sovranità dello Stato ucraino. La presenza a Kiev aveva quindi l’obiettivo di coprire anche quella difficoltà o di non identificarla con un’amicizia troppo blanda verso Kiev. Anche per quanto riguarda la richiesta di adesione all’Ue formalizzata dal governo Zelensky. Il secondo elemento è la Francia. O meglio: le elezioni francesi. Emmanuel Macron si sta giocando proprio in questi giorni una parte rilevante della sua scommessa. I sondaggi non sono rassicuranti. L’ipotesi di un testa a testa con Marine Le Pen non è più remota. E poiché il presidente francese ha puntato molte delle sue carte sull’Europa, il rischio di trasmettere agli elettori francesi un messaggio contraddittorio doveva essere evitato anche in questo modo. Del resto, se l’Eliseo ha costruito in parte la sua campagna sull’europeismo, per Bruxelles perdere la sponda francese e ritrovarsi con unìinterlocutrice sovranista equivale quasi a far crollare in un istante il castello comunitario. Un “Orbán” a Parigi potrebbe determinare la fine del progetto europeo. Il terzo elemento è la presidente del Parlamento, Roberta Metsola. Questa stessa missione lei l’ha compiuta una settimana fa. E la domanda che è iniziata circolare in tutti gli uffici più autorevoli di Bruxelles è stata: «A Kiev doveva andare lei o la presidente della Commissione? Metsola oppure il presidente del consiglio europeo Charles Michel? Chi rappresenta davvero l’Ue?». Interrogativi che certo non sono stati graditi a Palazzo Berlaymont. E che hanno imposto una risposta in tempi brevi. Perché i “simboli”, appunto, in questa guerra contano. Più di quanto si immagini.
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