Testata: La Repubblica Data: 05 aprile 2022 Pagina: 2 Autore: Santi Palacios Titolo: «Al 123 di Vokzal’na i corpi torturati dentro la cantina»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 05/04/2022, a pag.2, la cronaca di Santi Palacios dal titolo "Al 123 di Vokzal’na i corpi torturati dentro la cantina".
Bucha
C’è un’apparente calma a Bucha, il cielo è limpido. All’indomani della scoperta degli orrori la situazione sembra diversa. Ma è solo un’illusione, nuovi dettagli dell’inferno emergono ad ogni angolo. Ci dirigiamo a documentare le fosse comuni, nella zona della chiesa. All’arrivo ci sono solo alcuni giornalisti e poche persone che si avvicinano per cercare famigliari. La fossa è aperta e si vedono emergere ammassate le borse che contengono i cadaveri di circa otto persone. Si intuisce che sotto la sabbia ci sono vari strati, quello che appare è solo quello più superficiale. Ci sono tre tombe che qualcuno ha improvvisato. La luce bianca delle dieci di mattina evidenzia l’orrore in tutta la sua violenza. Un uomo di 59 anni si avvicina e ci racconta che sta cercando suo fratello di 57 anni che era scomparso il 12 marzo. Era andato a prendere i documenti nella macchina parcheggiata tra Bucha e Hostomel e non era più tornato. L’uomo è convinto che suo fratello si trovi li, ma non c’è nessuno a cui chiedere, nessuno che sappia con certezza se i familiari di Bucha potranno mai godere del lusso di riconoscere i propri cari finiti nelle fosse comuni nell’ambito di una spirale di violenza che in questi giorni solo inizia a delinearsi. Quando torniamo su via Yabulanka vediamo che i cadaveri che giacevano lì fino a ieri sono stati rimossi. C’è più gente in giro. Si vedono molte donne e bambini.
Ci sono altre distribuzioni di viveri. Arrivati alla zona del centro commerciale su via Vokzal’na, i vicini ci invitano a entrare in un edificio che ha l’aria di essere stato disabitato anche prima del conflitto. Scopriamo subito un altro cadavere. I vicini insistono che si tratta di un civile dei gruppi di autodifesa. Il corpo è coperto dalle bruciature, il volto non riconoscibile. Secondo i sopravvissuti è stato sequestrato, torturato e ucciso dalle truppe russe. Nelle piccole strade a est di Vokzal’na la distruzione è massiccia. Un uomo ci invita a entrare in un edificio di 10 piani. Lo spettacolo toglie il fiato. Tutte le porte sono state divelte, gli appartamenti sono aperti e distrutti come se fossero stati oggetto di perquisizioni violente. All’interno tutto è distrutto. Televisioni in frantumi come colpite a martellate, bottiglie di alcolici, vetri rotti ovunque. Letti, divani e tavoli sono stati rimossi e piazzati nei corridoi dei primi due piani. Ci sono mitragliate e colpi di artiglieria alle pareti. Ci troviamo nel bivacco degli invasori, stando ai locali sopravvissuti alle settimane nere di Bucha. Non ci sono corpi privi di vita nel rifugio dei soldati russi. Uscendo osserviamo un convoglio ufficiale che si dirige verso le fosse comuni. Sappiamo che la visita di Volodymyr Zelensky è prevista per queste ore. Proseguiamo verso il luogo che le autorità ucraine indicano come la cantina delle torture. Ci sono state fornite le coordinate. Di nuovo è su Vokzal’na all’altezza del numero 123. È un edificio di appartamenti circondato da un parco. Intorno si nota quel che resta delle trincee perché, pare, i carri armati russi erano parcheggiati in questo luogo. Dal parco si accede a un seminterrato ma i militari di guardia ci chiedono di aspettare. In quel momento arriva un bus del ministero degli Interni con giornalisti al seguito. Un portavoce informa i presenti che questo sarebbe stato un luogo di tortura e che 5 cadaveri giacciono ancora al suolo. Entriamo e iniziamo a scattare. Il luogo è inabitabile e scuro. I corpi sono ammassati uno sopra l’altro. Solo grazie a una luce artificiale riusciamo a vedere con chiarezza i cinque cadaveri. Senza dubbio alcuni hanno le mani legate, di altri le mani non sono visibili. Cerco di ricostruire le date parlando con le persone che incontriamo per strada. Tra tutte le persone che mi hanno indicato cadaveri, il più antico che ricordo risale al 4 marzo. Oggi vari civili sembrano d’accordo nell’indicare il 30 marzo come giorno della ritirata. Io ho messo piede a Bucha per la prima volta il 2 aprile. Mentalmente colloco l’escalation finale di violenza in questo arco temporale. Proseguiamo a sud verso Irpin lasciandoci Bucha alle spalle. Appena attraversato il confine della cittadina ci imbattiamo in un nuovo cadavere con una fascia bianca al braccio. Nella simbologia della guerra la banda bianca indica i civili che vogliono fuggire. La devastazione è totale, ancora carri armati abbandonati. Il cielo è limpido, il sole è alto. Lascio Bucha con la sensazione che ci vorrà molto tempo e un’indagine seria per capire cosa hanno sofferto gli abitanti della città.
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