Le voci di Chernihiv, la città che ha fermato l'armata di Putin Cronaca di Daniele Raineri
Testata: La Repubblica Data: 04 aprile 2022 Pagina: 7 Autore: Daniele Raineri Titolo: «Nella città che ha fermato i russi: 'Assediati, un mese senza acqua'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/04/2022 a pag.7 con il titolo "Nella città che ha fermato i russi: 'Assediati, un mese senza acqua' " la cronaca di Daniele Raineri, che comincia oggi a collaborare con il quotidiano.
A destra: Chernihiv
Daniele Raineri
L’onda di piena dell’invasione russa ha investito da nord la città di Chernihiv l’ultima settimana di febbraio – il confine con la Russia è soltanto a otto chilometri – ma il piano militare prevedeva una guerra lampo e l’avanzata diretta verso la capitale Kiev, così le colonne di mezzi corazzati non si sono fermate. Non c’era tempo per prendere la città, ci si sarebbe pensato dopo, così due terzi dei trecentomila abitanti hanno avuto modo di fuggire. Poi però i militari russi ci hanno ripensato, l’operazione speciale che doveva portare verso Kiev ha perso velocità, è diventata una guerra di posizione, hanno deciso che non potevano lasciarsi alle spalle una bolla così grande di territorio che non era ancora sotto il loro controllo. È cominciato un assedio in stile guerra balcanica, che riporta ai tempi di Sarajevo negli anni Novanta: dentro Chernihiv i civili a resistere, tutt’attorno una forza militare schiacciante che bombarda ogni giorno, isola la città e prova a entrare, metro per metro. Nessuna speranza all’orizzonte di ricevere rinforzi, perché le forze ucraine sono occupate a combattere nelle aree a nord-ovest di Kiev e le perdono una dopo l’altra – Hostomel, Irpin, Bucha, le stesse dalle quali in questi giorni arrivano le immagini dei massacri di civili dopo il ritiro dei russi.
«Gli amici e i conoscenti che correvano via in macchina venivano da me e mi lasciavano il cibo che avevano in casa e le chiavi, ti serviranno dicevano », racconta Andrey Ilyin, un lavoro da bancario, russo di etnia e di lingua «come il novanta per cento delle persone in questa città» che dice però di non avere nessuna voglia «di fare parte di questa Russia». «Adesso ho le chiavi di decine di appartamenti e posso prendere tutto il cibo che mi serve». Chernihiv è rimasta isolata dal 5 marzo, quando un raid aereo russo al sesto tentativo ha fatto saltare il ponte su fiume Desna che con una grande ansa avvolge il sud della città – di solito i ponti li facevano saltare i genieri ucraini per rallentare l’avanzata dei russi, ma non questo. Per un po’ la gente ha provato a uscire in macchina attraverso i campi, ha funzionato quando faceva molto freddo e il terreno era gelato ma poi, come si sa, lo stesso fango che fermava i carri e i camion russi ha bloccato anche questi tentativi. Gli abitanti di Chernihiv hanno costruito un ponte di barche per evacuare i feriti gravi, ma è finito sotto il tiro dell’artiglieria russa. Entrare era impossibile. A sud c’era un varco largo due chilometri, ma erano troppo pochi e in uno spazio troppo aperto per proteggere dai colpi dei russi che facevano cordone attorno alla città. Ci hanno provato con alcuni convogli, non ha funzionato. Sulla strada ci sono colpi precisi di mortaio e di cannoni. Il 30 marzo una studentessa universitaria di Kiev che portava aiuti umanitari è stata uccisa. Il giorno dopo un parlamentare ucraino che con un convoglio di cinque bus ha tentato di sfidare il blocco russo è stato ucciso anche lui nello stesso modo. La città è rimasta dunque inaccessibile fino a ieri, quando i russi si sono ritirati verso il confine a Nord e questa è la prima testimonianza di un media da Chernihiv. «Hanno usato la tattica di distruggere tutte le infrastrutture civili, per costringerci alla resa. Prima hanno bombardato la centrale del riscaldamento e adesso il sindaco dice che ci vorranno tre anni per rimetterlo in funzione. Hanno distrutto la centrale elettrica e sono tre settimane che non abbiamo la luce e l’abbiamo rivista soltanto ieri sera – c’era un punto ancora collegato e andavamo lì a ricaricare i telefoni. Ma pure quelli erano inutili. Non c’era connessione quasi da nessuna parte, soltanto adesso sta tornando. Hanno colpito l’acquedotto e siamo senza acqua», dice Andriy nel centro della città. Indica la facciata rosa dell’hotel Ukraine, gli ultimi piani sfondati e fatti sparire da un missile Iskander. «La televisione russa ha fatto vedere la partenza del missile, ha detto che era una base di combattenti stranieri ma in realtà era vuoto » . Arriva una famiglia traumatizzata, tira fuori i documenti per identificarsi, ma Andriy non è un soldato è soltanto un passante. «Troppo tempo passato nelle cantine dei palazzi per questa gente». Mostra un altro angolo. «Qui c’era una coda per il pane, è arrivato un missile, trenta tra morti e feriti». Ci sono due crateri pieni di pioggia che potrebbero nascondere un’utilitaria. «Laggiù c’è l’ospedale psichiatrico, colpito. Hanno colpito anche l’ospedale normale e quello oncologico». C’è un palazzo pericolante, non ci si può entrare, ora che la luce è tornata alcune lampade ai piani alti restano accese ma così è pericoloso perché violano la regola dell’oscuramento. La polizia arriva con il kalashnikov a tracolla, spara quattro colpi alle luci irraggiungibili. «I russi hanno bombardato anche il deposito dei camion della nettezza urbana». Però alcune strade sono pulite. «Hanno ripreso a pulire appena i russi hanno smesso di bombardare». Lo fate per orgoglio, perché volete provare che siete resistenti? «Lo facciamo perché tutti hanno bisogno di lavorare il doppio adesso, le famiglie sono all’estero ».
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