Una democrazia vera Ecco come Israele può insegnare la pratica democratica ad una Europa che sa solo criticare.
Testata: La Stampa Data: 11 gennaio 2003 Pagina: 24 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Democrazia in guerra»
L'Europa che sta sempre col dito puntato contro Israele guardi come si comporta uno stato democratico. E ne tragga lezione. Lo racconta con la consueta professionalità Fiamma Nirenstein sulla Stampa del 11.1.2003 Sul medesimo argomento invitiamo i lettori di Informazione Corretta a leggere l'editoriale che compare oggi, 11.1.2003 sul Foglio,esemplare per la chiarezza con la quale descrive cos'è democrazia nello stato ebraico. Un plauso a Fiamma Nirenstein e al Foglio. Israele, l'unico Paese democratico dell'area, è sull'orlo delle elezioni, ma anche sull'orlo di una probabile guerra che in un modo o nell'altro lo investirà sicuramente, e persino nel pieno di uno scontro in cui gli attentati terroristici hanno un carattere catastrofico e continuo.
Eppure il paese democratico applica il rule of law come pochissimi. La Corte Suprema ha riammesso alla gara elettorale tre candidati, due arabi e un ebreo, che erano stati esclusi perché sospettati di minacciare lo Stato ebraico, di razzismo e di essere a favore della lotta armata: la materia delle accuse è stata ascritta al diritto di esercitare la libertà di opinione.
Non finisce qui: un giudice della Corte Suprema, Michael Cheshin, ha tranquillamente interrotto la diretta tv (lungamente richiesta dai media) del primo ministro con l'accusa di farsi propaganda fuori degli spot programmati. Sharon si difendeva veementemente dalle accuse di aver preso un enorme prestito impropriamente.
Una conferma della vocazione democratica di Israele, uno sberleffo alle accuse di essere «uno Stato di apartheid», come ripetono i palestinesi e come echeggia la propaganda antisemita inaugurata a Durban due anni fa. Israele è solo uno Stato in guerra, e qui sta il secondo punto.
Sharon, che era il candidato strafavorito per le elezioni del 28 gennaio, cala a vista nel consenso pubblico, e cresce Mitzna, il suo rivale di sinistra, che promette la pace con un programma sostanzialmente identico a quello di Camp David, rifiutato da Arafat. La democrazia israeliana dà buona prova, il pubblico è mobile come si conviene, la magistratura è imparziale, i giudici ferrei, la stampa feroce con i potenti.
Chi se ne rallegra, certo vuole il bene di Israele e della pace in generale: ma il primo punto per dimostrarlo è guardare alle prossime elezioni senza logica di schieramento alcuna, senza quel nobile acting out psicologico in cui si rischia di dimenticare i pericoli che corre lo Stato ebraico, anche se magari vince Mitzna invece di Sharon.
Sul risultato elettorale si giocano questioni di vita e di morte; non è affatto chiaro, se non per placarsi la coscienza, che oggi come oggi, fermo restando l'orizzonte di due popoli per due Stati, una linea remissiva sia quella giusta. Israele con i suoi bravi giudici e i suoi sospetti di corruzione è in questi giorni un luogo meno lontano, meno sull’orlo dell'abisso: eppure l'Iraq è dietro l'angolo, quattro giorni or sono 23 persone sono morte in un attacco suicida, gli Hezbollah incombono.
Tanto più, dunque, ci rallegriamo dell'applicazione della legge; ma chi apprezza Israele in quanto unica democrazia mediorientale, capisce anche che una crisi politica come questa in piena campagna elettorale conferma all’estremismo arabo l'idea che Israele sia debole. La gravità dei problemi travalica gli schieramenti tant'è vero che Sharon promette «penose concessioni» e uno Stato Palestinese, e Mitzna promette di difendere Israele con il fuoco, se del caso.
Una buona magistratura è una grande gioia democratica, ma Israele fa il funambolo fra una miriade di satrapie collegate con il terrorismo. Le elezioni dovrebbero mandare al governo semplicemente chi sa misurarsi con questo problema: come mantenere la democrazia combattendo per la propria sopravvivenza. Dopo gli applausi alle dimostrazioni di virtuosismo sul primo tema, cerchiamo di tifare per la risoluzione del secondo. Altrimenti, non vale.
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