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La Repubblica Rassegna Stampa
03.04.2022 Russia, Cina e l'asse anti-Occidente
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 03 aprile 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Mosca e l'alleanza anti-Occidente»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/04/2022, a pag. 1, con il titolo "Mosca e l'alleanza anti-Occidente", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

Russia-Italia, Trani:
Vladimir Putin

E' significativa la presa di posizione con cui il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha respinto la richiesta dell’Ue di unirsi alle sanzioni «perché rifiutiamo di porci rispetto al conflitto in Ucraina con un’impostazione amico-nemico che riflette la mentalità della Guerra Fredda». E affinché il messaggio fosse inequivocabile, il portavoce di Pechino ha aggiunto: «Nel corso di venti anni, la Nato ha eseguito cinque allargamenti a Est, mettendo la Russia con le spalle al muro». Sebbene la Cina non abbia espresso ancora esplicitamente sostegno all’invasione dell’Ucraina e si sia astenuta all’Onu nel voto del 2 marzo scorso, sceglie dunque di non schierarsi con l’Occidente e — fatto ancor più significativo — di addebitare alle scelte compiute dall’Alleanza Atlantica la vera genesi dell’attuale momento di grave instabilità globale. Quando Lavrov da Pechino è volato a New Delhi, ha raccolto anche qui frutti non indifferenti. Perché l’India, alleata strategica di Washington nello scacchiere dell’Indo-Pacifico, non solo ha deciso di non condannare l’invasione ma anche di studiare un accordo finanziario bilaterale basato sul rapporto rupia-rublo grazie al quale gli scambi commerciali con Mosca continueranno. Ovvero, New Delhi non partecipa alle sanzioni proprio come Pechino. La soddisfazione di Lavrov è stata tale da ipotizzare un rafforzamento di questa convergenza trilaterale fino alla convocazione «entro la fine dell’anno» di un «summit fra i presidenti di Russia, India e Cina» per suggellare la nascita di un nuovo Club di Grandi che escluderà l’Occidente e ha già un acronimo: “Ric”, dalle iniziali dei tre Paesi fondatori. Poiché anche l’India all’Onu si astenne nel voto dell’Assemblea Generale sull’invasione dell’Ucraina bisogna chiedersi se dietro la scelta dei 35 Paesi che decisero di non schierarsi c’è dell’altro. «Non possiamo escludere che l’alto numero di astensioni alle Nazioni Unite sull’Ucraina — afferma uno stretto collaboratore del presidente francese Emmanuel Macron, chiedendo l’anonimato — celi sentimenti di ostilità nei confronti dell’Occidente con cui prima o poi dovremo fare i conti». Il timore di Parigi è che stia nascendo sulla scena globale una importante “area grigia” con conseguenze difficili da prevedere. In effetti fra i leader dei Paesi che si stanno dimostrando più prudenti davanti alla guerra in Ucraina ci sono anche quelli di Brasile, Sud Africa e Pakistan. Ovvero vere e proprie potenze regionali. Con il premier pakistano Imran Khan che si è spinto fino a dire che «qualcuno a Washington ce l’ha con me solo perché non mi ha perdonato una visita a Mosca». E ancora: i Paesi dell’Opec — i maggiori produttori di greggio — hanno respinto la richiesta americana di aumentare le estrazioni per far fronte all’uscita dal commercio delle quote russe, facendo sapere a Washington che avrebbero «rispettato gli accordi con Mosca» siglati nel gruppo “Opec +”. E anche qui, come nel caso dell’India, sono stati i leader di due nazioni del Golfo molto vicine agli Stati Uniti — Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti — a dare la maggiore delusione all’amministrazione Biden. Nulla da sorprendersi dunque se Lavrov esprime «forte fiducia» sulla progressiva nascita di un fronte internazionale contrapposto all’Occidente, guardando con fiducia al fatto che «la simultanea presenza al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di Russia, Cina e India offre molte possibilità».


Volodymyr Zelensky

Sono le avvisaglie di un’offensiva diplomatica russa che ha in comune con l’invasione dell’Ucraina la volontà di creare in tempi stretti una nuova architettura internazionale tesa a ridimensionare drasticamente il ruolo degli Stati Uniti e dei loro alleati, a cominciare da quelli della Nato. Quando viene chiesto a Lavrov di definire l’obiettivo diplomatico del Cremlino, risponde parlando della necessità di «far emergere un ordine multipolare» capace di premiare non solo Russia e Cina ma tutte quelle nazioni, medie o piccole, che in ogni Continente sentono di avere il diritto di pesare di più di quanto non avviene oggi. «L’ordine internazionale multipolare è assai più democratico di quello attuale» aggiunge Lavrov, con uno spregiudicato uso del termine “democratico” teso a cavalcare lo scontento di chiunque — per una ragione o per l’altra — rimprovera a Stati Uniti ed Europa di perseguire politiche tese soprattutto a premiare i propri interessi nazionali. Per infondata e pretestuosa che possa essere, la narrativa di Lavrov sembra destinata a far breccia in più Continenti: dall’Africa dove l’ugandese Yoweri Museveni afferma che «per capire cosa succede a Kiev bisogna ricordare gli interventi militari americani in Afghanistan, Iraq e Libia» ai Balcani, dove il presidente uscente serbo Aleksandar Vucic conta di essere rieletto proprio perché cavalca i sentimenti filo-russi che albergano nella sua opinione pubblica. Davanti a questo scenario in rapida evoluzione, le democrazie occidentali impegnate a sostenere l’Ucraina aggredita devono prendere atto che la sfida russa con cui hanno a che fare va ben oltre Kiev. L’intervento militare ordinato da Putin il 24 febbraio appare infatti solo come il tassello iniziale — il drammatico evento spartiacque — di un ben più ambizioso intento di ridefinire l’ordine globale assumendo l’iniziativa su ogni possibile fronte. In attesa di vedere quali frutti il tandem Putin-Lavrov riuscirà a cogliere nel tentativo di ricostruire — con un’impronta assai più aggressiva — quel Fronte dei non-allineati che durante la Guerra Fredda spalleggiava Mosca e Pechino contro l’Occidente, per le democrazie si impone la necessità di dare in fretta una risposta unitaria e coesa alla sfida diplomatica del Cremlino. Senza dare per scontata la fiducia di alcuna nazione.

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