Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, aprile 2022, a pag.14, con il titolo "Italia, crocevia d’Europa e della contesa tra le potenze globali", l'intervista di Francesco Paolo La Bionda.
Le grandi crisi globali, dalla pandemia allo scontro tra Stati Uniti e Cina, contraddistinguono il periodo storico contemporaneo e delineano uno scenario internazionale in rapida evoluzione. L’Italia si ritrova al centro di queste contese, una posizione complessa ma ricca di opportunità se sapremo compiere le mosse giuste per coglierle. Questa è in sintesi la lucida analisi offerta da Maurizio Molinari nel suo ultimo libro “Il campo di battaglia. Perché il Grande Gioco passa per l’Italia”, pubblicato da La nave di Teseo nella collana I fari (18,00 euro). Mosaico ha intervistato l’ex corrispondente dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente, ex direttore de La Stampa e oggi direttore del quotidiano La Repubblica, per approfondire i temi del volume e raccogliere i suoi commenti sui più recenti sviluppi.
La copertina (La nave di Teseo)
Perché l’Italia è diventata oggi il crocevia della contesa tra le potenze globali? L’Italia ha acquisito un ruolo strategico sullo scacchiere internazionale grazie alla sua risposta alla pandemia. Rispetto agli altri paesi europei, ciò è avvenuto per due motivi: primo, la nostra risposta al morbo è stata in media più efficace; secondo, abbiamo subito danni economici maggiori, ricevendo quindi una quota più ampia di aiuti comunitari. Di conseguenza, il nostro successo è centrale per la buona riuscita della risposta pandemica di tutta l’Unione Europea, sia sul fronte sanitario sia su quello economico. Poiché l’equilibrio internazionale sarà ridefinito sulla base di chi saranno i vincitori e chi i perdenti nel confronto con la pandemia, questa dinamica ci pone al centro del Grande Gioco. Nella contesa tra Stati Uniti, Cina e Russia è inoltre fondamentale il Mediterraneo, di cui Mosca e Pechino hanno bisogno, per ragioni diverse, per cambiare a proprio vantaggio l’equilibrio strategico uscito dalla fine della Guerra Fredda. Ciò passa oggettivamente anche per l’Italia: nessuna delle due potenze può insediarsi e rafforzarsi nella regione senza conquistare spazio nel nostro Paese.
Come possiamo leggere in quest’ottica la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica e la permanenza di Mario Draghi alla guida del governo? I partiti hanno tentato di eleggere un nuovo nome come Presidente della Repubblica, ma hanno fallito. Il risultato però ha degli elementi positivi: il ruolo attuale dell’Italia, conquistato nell’ultimo anno grazie a stabilità politica interna e credibilità internazionale, si deve alla presenza simultanea di Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi. È evidente ormai come non ci sia alternativa a questo assetto, che andrà avanti almeno fino alle elezioni del prossimo anno e che è destinato a rafforzare ulteriormente il Paese.
Come possiamo interpretare la presenza del populismo all’interno sia della coalizione di governo sia dei movimenti di protesta contro Green Pass e vaccini? Dal 2018 a oggi le forze politiche del populismo italiano, Lega e Movimento 5 Stelle, hanno vissuto un’evoluzione, seppur tortuosa, verso una maggiore moderazione ma, come in tutti i processi rivoluzionari, hanno anche prodotto per differenza delle minoranze estremiste. Questo processo è stato condizionato dalla pandemia, in cui si è avuto bisogno di una maggiore presenza dello Stato: una maggioranza all’interno di quelli che erano i partiti di protesta si è quindi ricreduta, mentre una minoranza si è radicalizzata, sposando anche le ragioni dei No Vax.
I manifestanti No Vax hanno esibito idee e comportamenti antisemiti. Questa commistione è frutto solo della comune mentalità complottista o vi sono altre ragioni? I No Vax in Italia a oggi sono probabilmente meno di quattro milioni e credo che al 90% siano persone che devono solo essere raggiunte e rassicurate. Il restante 10% è invece ideologico, estremista e delegittima completamente le istituzioni: è questo manipolo molto aggressivo e molto vocale che arriva ad abbracciare la retorica antisemita. Per rispondere ai fenomeni di antisemitismo che si succedono di generazione in generazione è necessario comprenderli nella propria specificità. In questo caso stiamo parlando di una minoranza di estremisti antidemocratici che giustificano le proprie posizioni estreme contro le istituzioni anche sfruttando teorie antisemite, come quella di un complotto ebraico dietro ai vaccini o con paragoni delegittimanti tra le vaccinazioni e la Shoah.
Guardando all’estero, la crisi tra Russia e Ucraina ha suscitato un grandissimo allarme. Quali sono le ragioni profonde dietro questo scontro e cosa può fare l’Italia insieme ai suoi alleati? Il desiderio della Russia, come della Cina, di cambiare l’ordine internazionale e di affermare i propri interessi nazionali è legittimo. Tali ambizioni non possono però realizzarsi a spese della sovranità di altri stati, come l’Ucraina. Soprattutto in uno spazio umano come quello europeo, in cui le minoranze sono compenetrate per ragioni storiche, se si accetta che i confini possano essere ridisegnati su base etnica si lascia spazio alla genesi di nuovi conflitti. L’interesse dell’Italia, dell’Unione Europea e più in generale delle democrazie deve essere la difesa del principio di sovranità nazionale, che è la chiave della stabilità internazionale creata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale per impedire che si verificassero nuove aggressioni come quelle che avevano scatenato i due conflitti globali. Affermato questo principio, è legittimo che i singoli paesi europei abbiamo relazioni con la Russia e con la Cina e che vogliano conservare buoni rapporti con loro, nel rispetto però degli impegni di fedeltà con l’Alleanza atlantica o con l’Unione Europea.
Come si sta evolvendo invece lo scenario politico mediorientale? La percezione di un distacco americano dal Medio Oriente, successiva al ritiro statunitense dall’Afghanistan, ha innescato una stagione in cui tutti dialogano con tutti, partendo dalla Turchia che ha ripreso a confrontarsi con gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, suoi acerrimi rivali negli ultimi anni. Forse, e sottolineo forse, l’unica assenza di rapporti è tra Israele e Iran. Lo Stato ebraico però parla ufficiosamente con i sauditi; recentemente ha stretto un accordo con la Giordania e gli Emirati per costruire un impianto di desalinizzazione per fornire acqua potabile alla prima. Si relaziona persino col Qatar, aiutandolo a far arrivare a Gaza milioni di dollari in contanti con cui Hamas paga gli stipendi pubblici. Questa situazione non significa né che i paesi mediorientali siano diventati tutti amici né che abbiano abbandonato i propri interessi nazionali. È un approccio di dialogo molto interessante, una convivenza tra nemici che appartiene alla cultura storica della regione: in Medio Oriente non si convive come in Europa, firmando trattati di pace, ma come nella Città Vecchia di Gerusalemme dove etnie diverse, pur odiandosi, convivono una accanto all’altra.
Quali opportunità si presentano per l’Italia di recuperare e accrescere influenza nell’area? Questa cornice offre una straordinaria opportunità ai paesi al di fuori dell’area, come l’Italia, per coltivare i rapporti con le diverse nazioni mediorientali, facilitando il processo di dialogo e affermando i propri interessi economici e commerciali. Lo stato europeo che finora si è speso maggiormente in tal senso è la Francia ma noi potremmo non essere da meno. La dinamica di dialogo schiude poi nuovi orizzonti anche in Libia, dove Tripoli è sostenuta dalla Turchia e Tobruk dall’Egitto e dagli Emirati, che già si parlano nel Golfo. Potrebbe essere un legittimo interesse italiano investire su questi contatti già esistenti.
Resta sullo sfondo la minaccia del terrorismo jihadista: come possiamo combatterlo all’estero? Nel fronteggiare ciò che resta dei jihadisti all’estero, credo non ci sia alternativa alle operazioni militari come quella svolta in Siria il 3 febbraio scorso dagli americani per uccidere Al-Quraishi, il comandante dello Stato Islamico. Il maggiore rischio per l’Europa viene dal Sahel, dove lo Stato Islamico controlla del territorio attorno al lago Ciad e dove i paesi che lo combattono hanno ripiegato sull’assistenza russa al posto di quella occidentale. Una scelta che rischia di aumentare ulteriormente l’instabilità regionale.
Al nostro interno come possiamo impedire invece la radicalizzazione delle seconde generazioni di immigrati musulmani, come avvenuto già in altri paesi europei? La migrazione di per sé è un fenomeno positivo: la storia ci insegna che il Mediterraneo è divenuto culla della civiltà grazie alla commistione tra i popoli. Le migrazioni però hanno successo se chi accoglie riesce a integrare e credo non ci sia alternativa a questo. L’unico modo per assicurarsi che il processo d’integrazione abbia successo è stabilire un patto sociale, in cui si offre al migrante l’opportunità di usufruire della parità assoluta dei diritti ma si chiede in cambio il rispetto assoluto della legge e della cultura del paese ospitante.
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