Ucraina, le voci della resistenza: 'Il nostro futuro non lo deciderà Putin' Commento di Tonia Mastrobuoni
Testata: La Repubblica Data: 28 marzo 2022 Pagina: 9 Autore: Tonia Mastrobuoni Titolo: «Le donne con il fucile: 'Non lasceremo a Putin il futuro dei nostri figli'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/03/2022, a pag. 9, con il titolo "Le donne con il fucile: 'Non lasceremo a Putin il futuro dei nostri figli' , la cronaca di Tonia Mastrobuoni.
Tonia Mastrobuoni
Sua nonna portava occhiali spessi. «Quando era ancora una bambina, l’ “holodomor”, la grande carestia degli anni 30 provocata dalla collettivizzazione di Stalin, fece milioni di morti. E la fame rese mia nonna quasi cieca», racconta Yaryna. Prima dell’invasione di Putin la 32enne insegnava all’Accademia delle Belle Arti di Leopoli. I rapporti tra gli ucraini e i russi, scuote la testa, sono «una maledizione che dura da trecento anni». E Yarina non ha dimenticato la lezione della nonna: quando è scoppiata la guerra si è immediatamente iscritta al gruppo locale dei “Guerrieri”, alla scuola di autodifesa fondata a Leopoli da un imprenditore giovanissimo, Nazarij Bresizksij. «I russi non ci piegheranno mai. Quindi saranno costretti a costruire dei campi di concentramento, a fare cose atroci come quelle che fecero ai miei nonni. Io non cadrò mai nelle loro mani. Non mi avranno mai viva ». Quando le chiediamo se non preferisce andare all’estero, ci risponde indignata. «Al cimitero di Leopoli sono sepolte sei generazioni della mia famiglia. Io non me vado. Però mai avrei pensato di imbracciare un fucile. La prima volta, mi tremavano le ginocchia». Le donne sono il 15% dell’esercito ucraino. E altre migliaia si stanno iscrivendo alle Guardie territoriali per non abbandonare l’Ucraina ma anche per paura di finire prigioniere dei russi. L’organizzazione paramilitare di volontari sovvenzionata dallo Stato per molti rappresenta una scorciatoia per imparare a usare un’arma e contribuire a respingere il nemico. Le donne ucraine hanno una tradizione secolare di straordinarie combattenti che ora stanno ingrossando le truppe a Dnipro, Kiev o Zaporizhzhia. Il giorno che i russi hanno attaccato il suo Paese, Marharyta Rivchanchenko si è messa in fila per iscriversi alle Guardie territoriali. «C’era talmente tanta gente che ho dovuto aspettare un giorno». Fino ad allora lavorava come assistente universitaria a Kiev: «La mia vita consisteva in fare sport, imparare il francese, incontrare amici, viaggiare. Il 24 febbraio è finito tutto». Per lei, che non voleva lasciare il Paese «non c’erano alternative» alla vita da soldato. La famiglia è a Kharkiv. Quando ha detto ai genitori che si sarebbe arruolata «sono rimasti scioccati, ma hanno capito». Le donne in guerra come lei, sostiene al telefono, dove la raggiungiamo in una località segreta, “non sono ladies ”, sono militari. Sono coraggiose, forti e non fanno storie ».
Per Marharyta uomini e donne «sono fratelli e sorelle, in guerra». Julia, 46 anni, sergente della Marina, si è arruolata nell’esercito già nel 2017. È accuratamente truccata, le mani con le unghie laccate stringono il berretto con l’effigie dorata dell’Ucraina. «L’ho visto arrivare, Putin. Aveva già invaso la Crimea otto anni fa: sapevo che sarebbe tornato ». Anche il figlio maggiore Vadim, 24 anni, è impegnato al fronte, nelle forze speciali che stanno tentando di accerchiare le truppe russe vicino a Kiev. «Se il nemico arriverà qui a Leopoli, sono pronta ad accoglierlo ». La incontriamo al centro di addestramento dei “Guerrieri”, dove abbiamo incrociato anche Yarina. Ha appuntamento con altri soldati. Il centro è stato allestito in una vecchia scuola elementare. In tutte le aule i giocattoli e gli abbecedari giacciono dimenticati negli angoli. Sui banchi delle maestre, al posto dei libri e dei gessi, giacciono fucili e munizioni. In una delle aule maggiori, il tenente colonnello Aleksey Chizhenko sta mostrando a una classe di giovanissimi come puntare un fucile. Tra le allieve c’è anche la ventottenne Anastasia. Prima della guerra faceva l’assistente in uno studio dentistico. «Questo è il mio Paese, è in guerra, e l’unico modo per aiutarlo è imparare a sparare e arruolarmi». Poi è il suo turno, e Chizhenko le mostra come infilare le pallottole rapidamente in un caricatore. Dopo un po’ Anastasia ha la fronte imperlata di sudore, le dita le si intrecciano. Ma sorride. Svetlana Prokhorova ha interrotto un master in Relazioni internazionali per seguire il suo compagno, arruolato a forza. Anche lei, come Marharyta, non può rivelarci la località da cui ci parla al telefono. «Questioni di sicurezza», taglia corto. È al fronte. E racconta che al momento è in fase di addestramento, è tutto il giorno al poligono «con istruttori americani», e per il resto è sul campo, ad assorbire «tattiche da combattimento ». Dagli istruttori ha imparato «che l’arma non è il fucile, ma sono io, la mia rabbia e la mia spinta radicale a battere il nemico». Ma Svetlana ha anche un sogno. «Dopo la vittoria voglio sposarmi, avere un bambino. Ma solo dopo. Non vorrei mai che mio figlio soffrisse per colpa di un tiranno pazzo. È il motivo per cui noi donne, spesso, siamo più motivate degli uomini in questa schifosa guerra».
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