Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/03/2022, a pag.6, con il titolo "La grande paura di Varsavia: 'E se la Russia ci invade?' ", la cronaca di Brunella Giovara.
Tutto è già successo, tutto potrebbe succedere di nuovo. Perciò il programmatore informatico Piotr P. ha cercato di comprare un giubbotto antiproiettile, e non c’è riuscito. Sul sito Olx sono spariti, «ma per 1.000 zloty, cioè 212 euro, si trova ancora un kit di piastre di acciaio che si montano sulla giacca, e così uno sta più sereno». Piotr lamenta che le case di Varsavia sono state costruite male, «senza cantine, invece gli ucraini hanno quei rifugi naturali sottoterra… E noi? Ci vorrebbe un bunker per ogni famiglia ». E sul perché a Varsavia non ci sono le cantine, la spiegazione è facile: alla fine del 1944 la capitale era rasa al suolo per l’85 per cento, prima il ghetto, poi la città. I bombardamenti tedeschi avevano lasciato un deserto di rovine come oggi è Mariupol, e le immagini che passano sulle televisioni fanno sospirare i polacchi, che sanno cosa vuol dire ricostruire da zero. Così, passeggiando sulla Nowy Swiat, la Strada Reale che attraversa il centro storico, si capisce che tutto è finto, rifatto dopo la guerra. Sembra antico, è degli anni Cinquanta e oltre, basato sui dipinti di quel Giacomo Bellotto che aveva ritratto la città del Settecento. «E se la distruggessero di nuovo? Mai fidarsi dei russi», che pure liberarono e poi sovietizzarono Varsavia. La gente ha paura? Sì, visto che l’estetista Monika ha preparato la «borsa dell’emergenza», dentro ci sono i documenti, le fotografie vecchie di famiglia, i medicinali, «gli assorbenti, i fazzoletti, cibo non deperibile… Ho consigliato alle amiche di fare lo stesso. Basta un piccolo trolley, dentro ci sarà la tua vita».
Varsavia
La mattina lo mette nel bagagliaio, la sera lo porta a casa. «E non sono matta. Ma mi fa stare più tranquilla». Perché «metti che vogliono colpire i rifornimenti di armi all’Ucraina, sbagliano la mira e colpiscono noi? Potrebbe allargarsi la guerra». Assieme a Monika, la Polonia intera vive una sindrome da invasione, scioccata com’è dall’attacco all’Ucraina, i vicini di casa contro cui peraltro ha combattuto guerre, con stragi reciproche, nei secoli. Ma da un mese l’ucraino è più che un fratello. È un simbolo di resistenza contro il nemico di sempre: il russo. «Gli ucraini stanno lottando anche per la mia libertà. Se ci riescono, io sono salva», spiega la filologa Luiza M. nel caffè più elegante della città che è il Blikle (anche questo ricostruito). Poi, non si contano i casi di insonnia e depressione, la frontiera è così vicina, e la fiumana dei profughi così evidente, 2 milioni e 200mila ucraini sono arrivati in Polonia fino a ora, 300mila solo a Varsavia, moltissimi ospitati in case private. Oggi a te, domani a me. Luiza segue il profilo Instagram di Zelensky, «e come me migliaia di polacchi. È molto bravo, sa parlare, sa trascinare la sua gente. Avessimo un presidente come lui…». La città è imbandierata di giallo e azzurro, si aspetta Biden come un liberatore, o un assicuratore, l’uomo che garantisce la libertà di essere la Polonia che si è. Al Barbakan, la vecchia fortezza della città, ieri molti cercavano di farsi una foto con i soldati americani in libera uscita, in mimetica e basco amaranto, e forse stupiti da tutto quell’affetto. Ma non è solo una sindrome, questa. «Ci sono stati segnali concreti», dice Krzysztof Czyzewski, direttore della Fondazione Pogranice, oltre che docente a Bologna. «L’ex presidente russo Medvedev ha minacciato la Polonia. Poi, sappiamo che nel confronto con la Nato, la Russia è debole», e se c’è una cosa buona che ha fatto Putin, attaccando l’Ucraina, è che «ha eliminato negli ucraini la distinzione tra Ucraina Est e Ovest. Li ha coalizzati. E se in passato ci sono state pretese polacche – di minoranze, certo – sulla Galizia, ecco che sono sparite».
Professore, ma lei ha paura? E Stanislaw Szuro, docente di storia a Cracovia e membro dell’Instytut Pileckiego, risponde che «essendo io vecchio, non ho paura. Se dobbiamo combattere, lo faremo. Nella mia famiglia abbiamo sempre lottato per la Polonia libera». Un prozio morto ad Auschwitz, uno a Katyn. Un padre deportato a Sachsenhausen, liberato e poi imprigionato in un lager comunista per 10 anni. Una madre Giusta tra le nazioni perché nascose una famiglia ebrea per un lunghissimo anno. «Vede, noi polacchi sappiamo fin dal 1600 che la Russia è pericolosa. È il nostro nemico naturale». Intanto, ci si fanno foto patriottiche davanti alla statua di Sigismondo III, che nel 1618 conquistò Mosca assieme ai cosacchi di Zaporizhzhia. Intanto, Piotr confessa di voler imparare a sparare, «so che fanno dei corsi per i civili ». Non sa dove, ma ci sono.
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