Assecondare l’Iran non avrà più successo che assecondare la Russia
Analisi di Emanuele Ottolenghi
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Vladimir Putin ha aperto le porte dell'inferno invadendo l'Ucraina, al termine dei 23 anni del suo impegno per distruggere l'architettura di sicurezza dell'Europa post-Guerra Fredda e per ristabilire la gloria imperiale perduta della Russia. Mentre il mondo civile si sta confrontando con una minaccia che avremmo dovuto accorgerci stava già per piombare su di noi più di 20 anni fa, quando Putin aveva trasformato Grozny in Stalingrado e l'aveva fatta franca, la nostra risposta è limitata dal fatto che la Russia di Putin ha un formidabile arsenale nucleare, che il tiranno russo si è dichiarato disposto ad utilizzare. Le scene scioccanti e orribili a cui assistiamo sui nostri schermi televisivi - e la nostra incapacità di fare qualsiasi cosa al riguardo - dovrebbero essere al centro dell’attenzione dei leader occidentali mentre abbracciano ciecamente un nuovo accordo nucleare con Teheran.
Dovremmo saperlo bene. Come la Russia di Putin, la Repubblica islamica è una potenza senza status quo, le cui azioni sono guidate più che altro dall'ideologia. Prima o poi, una potenza rivoluzionaria mira ad esportare la sua rivoluzione, sia come strumento di cambiamento radicale sia come strumento per stabilire la sua supremazia egemonica. In un articolo intitolato “Una polveriera chiamata Islam”, pubblicato sul Corriere della Sera il 13 febbraio del 1979, pochi giorni dopo che dal suo esilio parigino, il fondatore della Rivoluzione Islamica, il defunto Imam Ruhollah Khomeini, era tornato in Iran, Il filosofo francese Michel Foucault scrisse: “Forse si troverà il (suo) significato storico, non nella sua conformità a un modello “rivoluzionario” riconosciuto, bensì nella sua capacità di ribaltare la situazione politica esistente in Medio Oriente e quindi l’equilibrio strategico globale. La sua singolarità, che finora ne ha costituito la forza, minaccia di conseguenza di darle il potere di espandersi. E’ vero quindi che, in quanto movimento “islamico”, può incendiare l’intera regione, ribaltare i regimi più instabili e turbare quelli più solidi. L’Islam, che non è semplicemente una religione, ma un intero stile di vita, un’adesione a una storia e a una civiltà, rischia di diventare una gigantesca polveriera, a livello di centinaia di milioni di uomini. Da ieri ogni Stato musulmano può essere rivoluzionato dall’interno, sulla base delle sue antiche tradizioni.” All'epoca, come minimo, Foucault era un fan della rivoluzione iraniana. Ma non aveva torto. L'Iran degli ayatollah aspira a riaffermare il predominio sciita sul mondo sunnita, proprio come la Russia di Putin cerca di far risuscitare l'impero zarista. I mullah iraniani sperano di diventare il faro dell'Islam oltre i confini regionali, proprio come Putin sogna un risveglio panslavo; sperano di emergere come leader degli oppressi della terra, così come la Russia cerca di minare il dominio globale occidentale; e sperano di persuadere gli oppressi ad abbracciare la visione di Khomeini come una bandiera di resistenza contro l'ordine internazionale dominato dall'Occidente, proprio come Putin fa appello al cristianesimo, all'anticapitalismo e all'anti ideologia “woke” nella sua battaglia contro l'"Impero delle bugie" americano.
Eppure, anche dopo che Putin ha ribaltato tutte le nostre illusioni sul ripristino delle relazioni con Mosca e sulla risoluzione amichevole delle controversie; anche dopo aver scatenato una guerra di aggressione ingiustificata contro un vicino indifeso; anche dopo che ha dato il via libera allo stupro delle città e alla distruzione sfrenata di un'intera nazione; dopo tutto questo, Il dibattito politico di Washington sull'Iran rimane incentrato sulla convinzione fuorviante - che l'amministrazione Biden condivide con i suoi predecessori democratici - che misure di salvaguardia ben piazzate (che in ogni caso mancano al JCPOA ) in cambio di dividendi economici non solo limiteranno la ricerca nucleare iraniana, ma potrebbero anche cambiare il comportamento dell'Iran. Ci ripetiamo che l'Iran non è la Russia. Non è necessario che lo sia, per aspirare a una grandezza che sconvolgerà il nostro mondo. Eppure la nostra politica è ancora guidata dall'analisi costi-benefici su cui abbiamo basato ogni regime sanzionatorio adottato in passato e che ha anche guidato la politica occidentale della Russia dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo del blocco sovietico: di fronte a un crescente isolamento, costi e danni alle loro economie, gli avversari baratteranno le ricompense immaginate per un cattivo comportamento, con opportunità economiche. Anche quando agiscono in modo irrazionale, almeno secondo gli standard della razionalità occidentale del 21° secolo, noi confondiamo la loro follia con uno stratagemma, che possiamo sventare attraverso una calcolata miscela di lusinghe e punizioni. Abbiamo usato la stessa strategia del bastone e della carota con Mussolini in Etiopia e Hitler a Monaco. Salvo che a Hollywood, non ha mai funzionato, perché ciò che alla fine motiva Teheran (e Mosca) non sono i calcoli razionali dell'interesse nazionale, come aveva insistito Barack Obama nel 2015, ma il desiderio ardente di diffondere la sua ideologia rivoluzionaria e la determinazione a condurre instancabilmente una battaglia di idee per minare e distruggere l'ordine liberale internazionale basato sulle regole occidentali. Il conseguimento dello status di potenza nucleare garantisce che i vincoli esistenti su tali ambizioni, per quanto deboli, svaniranno.
Il regime iraniano nel suo insieme potrebbe non essere legato al tipo di politica apocalittica che la retorica di alcuni dei suoi leader spesso suggerisce, ma l'Iran rimane, in fondo, una potenza rivoluzionaria guidata da un'ideologia che fonde con successo il nazionalismo persiano, il revanscismo sciita, Il Terzo Mondismo e le teorie rivoluzionarie marxiste-leniniste. Il potenziale devastante della rivoluzione derivava sempre dalla combinazione esplosiva del sovversivo con il divino. Il desiderio di portare avanti questo programma in un modo più aggressivo e con più successo è ciò che guida la sua ricerca di armi nucleari. Il fatto che l'Iran non abbia la potenza, per esempio, dell'ex Unione Sovietica nella sua ricerca rivoluzionaria, non rende i suoi sforzi risibili o la sua posizione più vulnerabile alle pressioni. È quello che motiva l'Iran ad acquisire una possibilità di avere armi nucleari, indipendentemente dai sacrifici che questo sforzo comporta. Un arsenale nucleare, o anche solo il prestigio derivante dal diventare uno Stato sulla soglia del nucleare dopo aver sfidato a lungo e con successo la pressione economica occidentale, è un moltiplicatore di forza che sottovalutiamo a nostro rischio e pericolo. Consentire a Teheran di acquisire questa capacità, che il JCPOA è destinato a consentire sotto la protezione degli Stati Uniti, è l'equivalente diplomatico di lanciare una sigaretta accesa sulla paglia. Che l'attuale Iran sia una potenza rivoluzionaria i cui decisori sono virtualmente insensibili alle pressioni, dovrebbe ormai essere ovvio. Quarantatre anni dopo il rovesciamento dello Scià e dall'instaurazione della Repubblica Islamica, Teheran continua a investire risorse considerevoli, anche in condizioni di estrema ristrettezza economica, per esportare la sua rivoluzione in ogni angolo del globo. Gli impegni finanziari e militari necessari per salvare il regime di Bashar Assad in Siria, rafforzare l'egemonia di Hezbollah in Libano e far proliferare le milizie sciite filo-iraniane che alimentano le fiamme della violenza dallo Yemen all'Iraq, sono solo le notizie più interessanti, costose e gli esempi più recenti di come l'Iran dia la priorità all'esportazione della sua rivoluzione all'estero, piuttosto che al benessere della sua propria popolazione. L'Iran non condivide i suoi confini e non ha controversie territoriali con Israele, ma nutre un'ossessione patologica per distruggerlo, che coltiva attraverso il suo sostegno agli islamisti palestinesi, a complotti terroristici mondiali contro gli ebrei e un’incessante pressione diplomatica. L'Iran sostiene anche costi considerevoli per sostenere alleanze assai remote (vedi in Venezuela) che producono scarsi benefici finanziari e non portano utili all’interno. E poi c'è la portata mondiale dell'Iran per conquistare accoliti attraverso l’attività missionaria: un’impresa inutile forse, ma che l’Iran persegue con grande dispendio economico.
Le democrazie liberali potrebbero considerare tutto questo come uno sperpero irresponsabile di preziose risorse nazionali; l'Iran lo considera un dovere sacro. Che l'analisi dei costi-benefici stimolati dalle sanzioni non stia andando come ha fatto, per esempio, con l'apartheid in Sud Africa, dovrebbe essere ormai ovvio. L'Iran non si comporta come un debitore insolvente che cerca di ripristinare la propria affidabilità, ma come un ladro impenitente che preferisce migliorare costantemente la propria capacità di violare sistemi di sicurezza sempre più sofisticati. Con l'esempio della Russia di Putin davanti agli occhi, l'amministrazione Biden ha bisogno di ripensare radicalmente al lungo gioco dell'America nei confronti dell'Iran. È del tutto ragionevole presumere che l'Iran stia cercando la protezione che le armi nucleari forniscono chiaramente alla Russia, per imporre la sua volontà al suo vicino e per farlo impunemente. E il nuovo mondo che l'Iran cerca di creare sarà dominato da Teheran: sarà caratterizzato da una forte concorrenza con gli Stati Uniti per l'egemonia sul Golfo Persico e dagli sforzi per rinsaldare alleanze per affrontare gli antagonisti ideologici e geopolitici dell'Iran a Riyadh, Ankara, Gerusalemme e Il Cairo. Ciò si applicherà a una serie di problematiche, inclusa l'ostilità totalizzante dell'Iran nei confronti dell'esistenza di Israele o a qualsiasi accordo politico con esso. Ma difficilmente si fermerà allo Stato ebraico. Incoraggiata dal suo sblocco nucleare, la leadership rivoluzionaria iraniana cercherà di cementare partenariati, dipendenze e stabilire il suo dominio ben oltre il Medio Oriente, usando un nuovo potere e prestigio per ribaltare la situazione contro le potenze occidentali. Le conseguenze saranno gravi e difficilmente può essere esclusa la possibilità di un conflitto molto più mortale di quello che stiamo vedendo in Ucraina. Teheran non fa mistero della sua aspirazione a diventare il nodo di tutti i movimenti anti-occidentali e anti-globalizzazione. L'Iran di oggi sogna di trasformarsi in una copia dell'Unione Sovietica, correndo in aiuto dei rivoluzionari anti-occidentali. L'Iran nucleare di domani sarà in grado di realizzare quel sogno. Sosterrà una rete di gruppi radicali e violenti che si precipiteranno a Teheran in cerca di un potente mecenate. Teheran sarà quindi solo a un piccolo passo dal diventare un potente sponsor della sovversione in tutto il mondo come la Russia di Putin. Questo scenario non è così inverosimile come potrebbe sembrare. L' Iran ha già importanti amici in Europa e suscita fantasie rivoluzionarie tra i marxisti occidentali più accaniti. I legami tra l'estrema sinistra europea e il tipo di islam radicale iraniano sono ben consolidati . Il loro disprezzo reciproco per il capitalismo occidentale e la democrazia supera le differenze che potrebbero avere su questioni come il genere e l'omosessualità.
All'estremo opposto dello spettro politico, espressioni di simpatia e sostegno all'Iran sono evidenti anche tra l' estrema destra, soprattutto dall'inizio della guerra civile in Siria, che ha stimolato numerose organizzazioni di estrema destra in Europa per idolatrare Russia, Hezbollah e Iran come presunti difensori delle minoranze cristiane e baluardi contro i salafiti sunniti. Da allora l'Iran ha coltivato questa immagine attraverso canali di propaganda all’estero. Un Iran imbaldanzito e dotato di capacità nucleare non si fermerebbe a sostenere le forze politiche anti-globali agli estremi dei nostri sistemi politici. Consoliderebbe una coalizione internazionale già esistente di Stati che condividono l'antagonismo ideologico dell'Iran verso l'Occidente. Le alleanze dell'Iran con Bolivia, Venezuela, Nicaragua e Cuba in America Latina si sono rafforzate negli ultimi dieci anni. Ogni volta che le elezioni capovolgono i governi filo-occidentali in tutto il mondo in via di sviluppo, per l'Iran sarà più facile offrirsi come loro paladino: investire nelle loro economie, riempire i conti bancari di leader compiacenti, addestrare e rifornire i loro eserciti e fornire supporto politico nelle sedi internazionali. Mentre osserviamo la Russia di Putin distruggere l'Ucraina, dovremmo renderci conto che stiamo per varcare una soglia simile con l'Iran.
Emanuele Ottolenghi