Bérénice Levet: 'L'ecologismo politico non vuole salvare la Terra, ma cancellare l'occidente' Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 23 marzo 2022 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «'L'ecologismo politico non vuole salvare la Terra, ma cancellare l'occidente'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/03/2022, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo 'L'ecologismo politico non vuole salvare la Terra, ma cancellare l'occidente'.
Giulio Meotti
Il libro di Bérénice Levet
Roma. "Questo significa che dove un'ideologia crolla, inevitabilmente ne deve sorgere una nuova? Quello che avremmo potuto dare per scontato per la fine dello spettacolo nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, era, per parafrasare Tocqueville, solo la fine di un atto. Sulle rovine del marxismo si sarebbero formati i nuovi messaggeri di un mondo radicalmente nuovo". Si apre così L'Écologie ou l'ivresse de la table rase (Editions de l'Observatoire), il nuovo libro della filosofa francese Bérénice Levet, studiosa di Hannah Arendt, dedica all'ecologismo politico. "Insieme al femminismo e all'antirazzismo, è una delle grandi macchine per generare dogmi, slogan, hashtag, questi hallali digitali del XXI secolo, imprecazioni adatte a terrorizzare, incruente, incolori, insapori, senza profumo, che brontolano catechismo verde e sentenze". Una "gioventù igienista" resa incapace di meraviglia davanti ai tesori della civiltà. Pentiti! Questa, la parola d'ordine. "La formidabile parola davanti alla quale tutto deve inchinarsi". Film, mostre, festival, la requisizione è perpetua. Prendi la rete ferroviaria e alla fine del tuo viaggio l'agente a bordo si trasforma in un sommo sacerdote: "Il pianeta ti ringrazia per aver preso il treno". Si assiste a un vero e proprio "lisenkoismo delle menti" e gli scienziati che rischiano di complicare il quadro vengono delegittimati. Intimiditi dalla vulgata ecologista radicale e dalla sua visione da fine del mondo, i "nostri pensieri sono prigionieri di questa litania di catastrofi e delle imprecazioni e dei grandi proclami all'ombra dei quali stanno avvenendo i cambiamenti di civiltà". Levet parla di una bambina che accusa l'occidente, tuona contro una civiltà di cui non sa nulla se non che è colpevole e noi avanziamo, come penitenti, con il laccio al collo. "Greta Thunberg, l'adolescente che fa lezione agli adulti, è la perfetta incarnazione dell'atteggiamento consumistico che rivendica, in modo incontinente, la soddisfazione dei suoi desideri eretti a diritti". Essere un ambientalista oggi è prima di tutto essere in guerra con tutte le forme di dominio. Il salvataggio del pianeta si configura come un assoluto, una frittata che giustifica tutte le uova rotte, secondo il principio dei regimi totalitari, e le uova siamo noi, una certa comprensione della vita e una certa idea dell'uomo. L'ecologismo e quella che oggi viene chiamata la "sinistra woke" condividono la grande storia di un occidente la cui intera storia sarebbe stata scritta e avrebbe continuato a essere scritta, secondo la loro tristemente semplice trama, dal "bianco eterosessuale cristiano o ebreo, che non avrebbe altra passione che il dominio, nessun'altra molla d'azione che la predazione e dell'asservimento di donne, neri, minoranze, musulmani e ora, natura, animali e piante". "Quale legame possiamo stabilire tra la crisi ecologica e la società patriarcale? Tra il riscaldamento globale e il colonialismo? Tra la scomparsa di specie viventi e la schiavitù o il razzismo? Tuttavia, è inestricabile nella mente degli ambientalisti". L'uomo degli ambientalisti è senza storia, senza profondità temporale, senza sedimentazione storica; "una creatura naturale appiattita nel presente, un viaggiatore senza bagaglio". Da qui la loro difesa di una politica migratoria di accoglienza incondizionata e di una società cosiddetta "inclusiva". "Deoccidentalizzare" sarebbe la salvezza per la Terra. La natura, gli animali, le donne, le minoranze sono tutte vittime dell'uomo occidentale. Femministe, indigenisti, decolonialisti, lgbt e ambientalisti si uniscono nella Grande narrativa dell'intersezionalità; "quella di un occidente considerato come una vasta fabbrica di vittime".
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