Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/03/2022, a pag.19 con il titolo 'Non ci può essere pace duratura finché Mosca non si libera di Putin' l'intervista di Raffaella Silipo.
Scott Turow
Vladimir Putin
L'invasione russa dell'Ucraina ha colpito profondamente Scott Turow. Il re americano del legal thriller, avvocato ed ex pubblico ministero a Chicago, parla in modo pacato e preciso. Ha 72 anni, i suoi nonni erano ebrei fuggiti dalla Russia e dall'Ucraina cent'anni fa, suo padre, medico, ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale ed è stato tra i liberatori dei lager nazisti, vicenda romanzata in Eroi Normali (Mondadori, 2005). «È spaventoso vedere che la storia si ripete - dice -. Davamo tutti per scontato che non ci sarebbe più stata guerra in Europa. L'Unione Sovietica è stata il Paese con più perdite umane nella Seconda Guerra mondiale, come pensare che avrebbe scatenato questa follia?».
Lei parla di rabbia: nei confronti di Putin? O della Russia in generale? «Naturalmente Vladimir Putin è il principale responsabile. Ma non credo che si possano assolvere del tutto i russi. Hanno avuto un'occasione di reale democrazia alla caduta dell'Urss e non hanno combattuto per difenderla. Se la sono lasciati scappare tra le dita, non sono davvero determinati ad ottenerla. Altrimenti non si spiegherebbe perché sono passati dallo Zar alla dittatura sovietica e poi a Putin. Evidentemente c'è qualcosa, nel loro carattere e nella loro cultura, che li predispone a scegliere questa forma di Stato».
Lei ha origini russe, qual è il suo atteggiamento nei confronti delle sue radici? «Tutti e quattro i miei nonni erano ebrei russi o dell'Europa dell'Est - uno veniva proprio dalla zona intorno a Kiev da cui arrivano i rifugiati di oggi. Sono tutti fuggiti in America prima della Rivoluzione d'Ottobre, a inizio Novecento, il padre di mia madre nel 1904, gli altri poco dopo. Io però mi sento totalmente americano, non soltanto perché gran parte degli americani in realtà viene da qualche altra parte, ma soprattutto perché i miei nonni, come tutti gli ebrei russi, erano degli emarginati, hanno subìto i pogrom, sono stati scacciati dalle loro case, quindi non hanno mai sentito quella terra veramente loro. Quando sono stato anni fa in Russia e Ucraina con mia moglie Adriane - anche lei di origini russo-ebraiche - avevamo pensato di andare a Kiev, poi non se n'è fatto nulla».
Suo padre ha combattuto nella II guerra mondiale e lei ne ha scritto un libro, Eroi Normali. Vede delle similitudini con la situazione attuale? «Purtroppo sì. Tra Putin e Hitler ci sono senz'altro delle similitudini, le vedo io come le vede la Casa Bianca. La differenza con il 1939 la sta facendo l'Ucraina, che sta combattendo davvero coraggiosamente e ha impedito la guerra lampo di Putin. Chiaramente dopo la guerra del 2014 si sono preparati. La Polonia di allora non era preparata né armata contro l'invasione di Hitler”.
Cosa possono fare in questa situazione i paesi occidentali? «Non parlo da esperto ma da persona comune. Io, e molti americani come me, fremiamo perché da una parte vorremmo scendere in campo per aiutare gli ucraini. La domanda che sorge spontanea è: abbiamo combattuto così tante stupide guerre, in Afghanistan, in Iraq, e adesso che c'è guerra in Europa contro una democrazia non facciamo nulla? È una tragica ironia, perché quando Saddam Hussein ha invaso il Kuwait non abbiamo avuto nessun dubbio e siamo intervenuti. D'altra parte la cautela è d'obbligo: qui c'è il reale timore che un Putin messo all'angolo usi le armi nucleari o chimiche».
Lei crede che lo farebbe? Teme l'escalation nucleare? «La temo senz'altro, tutti i giorni. Penso che il viaggio del presidente degli Stati Uniti Biden a Bruxelles, per parlare con i vertici Nato, sia proprio nel tentativo di scongiurare questo pericolo, mettendo una dead line molto chiara a Putin, ma anche preparandosi al peggio».
E invece lo scenario migliore quale sarebbe? Un accordo di pace è possibile? «Ho l'impressione che, per disinnescare Putin, sia necessario un accordo che gli permetta di salvare la faccia, di tornare a casa e riuscire a raccontare ai suoi che sono degli eroi. D'altra parte, gli ucraini non accetteranno certo un accordo senza un impegno chiaro da parte della Nato. In fondo avevano rinunciato al loro arsenale nucleare dietro promesse dell'Occidente, penso che stavolta senza assicurazioni molto più vincolanti non cederanno le armi».
Cosa ne pensa delle sanzioni economiche? «Non sono un economista e so soltanto quello che leggo - credo che nel lungo periodo le sanzioni metteranno la Russia in ginocchio. Il rublo è in caduta libera, la borsa ha chiuso. Nel lungo periodo, guerra e pace dipendono dalla possibilità della Russia di liberarsi di Putin. E l'unico modo in cui la Russia può liberarsi di Putin è se il suo popolo decide di farlo. Quindi il modo migliore per l'Occidente di influenzare la situazione è aiutare i russi a capire questo. Anche usando le sanzioni economiche».
Ha lodato il coraggio degli ucraini. Da dove nasce, secondo lei? «Intanto dal loro leader Zelensky, che ha dimostrato una personalità davvero notevole, capace di ispirarli. E poi da un fortissimo senso di identità e dal desiderio di proteggere le loro case. Putin ha un bel dire che sta salvando la minoranza russa in Ucraina, da questo punto di vista ha già perso. La maggior parte degli ucraini non lo vuole».
Putin è davvero l'arcicattivo come viene descritto nella narrativa occidentale? Penso a molte recenti spy stories in cui è il nemico. «Nessun autore di fiction può dare lezioni in malvagità a Putin. Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto. Lo abbiamo visto un'infinità di volte nella storia dell'uomo, chi ha potere vuole solo una cosa, più potere. Persone come Putin, Berlusconi, Trump, più potere accumulano, più perdono il senso del limite. Putin si nutre di attenzione, non importa se positiva o negativa. Renderlo protagonista in una narrativa, anche se nel ruolo del cattivo, è dargli più potere».
Lei è pessimista o ottimista? «Mi sono sempre riconosciuto nella frase di Martin Luther King "L'arco dell'universo morale è ampio ma tende alla giustizia". Ma negli ultimi anni alcuni eventi mi hanno fatto guardare le cose in modo più pessimistico, come l'elezione di Donald Trump. Adesso credo che ci sia un enorme potenziale per il male. Credo che il modo in cui finirà questa crisi influenzerà profondamente il mio modo di vedere la realtà».
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