I media italiani e quell'insopportabile equidistanza tra aggressore e aggrediti Analisi di Daniele Raineri
Testata: Il Foglio Data: 22 marzo 2022 Pagina: 1 Autore: Daniele Raineri Titolo: «I falsi amici di Kyiv»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/03/2022, a pag.1, con il titolo "I falsi amici di Kyiv", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Kiev (Kyiv)
Roma. C'è questa opinione, che nello scenario migliore è confusa e nel caso peggiore è in malafede: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è un ostacolo alla pace, tolto lui ci sarebbe la pace in Ucraina. Zelensky - che oggi parlerà in collegamento al Parlamento italiano - secondo alcuni sarebbe una presenza maligna che alimenta la tensione. Se lasciasse l'incarico i russi risparmierebbero il paese e finalmente si arriverebbe a un cessate il fuoco (il cantante Povia ospite di Giletti dice: "Zelensky deve abdicare"). Questa opinione, che ha un aroma di propaganda russa, è discussa nei talk-show italiani, che tutte le settimane sono costretti a creare in studio una finta tensione anche con argomenti deboli. Tuttavia si tratta di un equivoco. Non è vero che se Zelensky lasciasse oggi il suo incarico allora gli ucraini smetterebbero di fare la guerra. E' fondato sostenere il contrario: la guerra continuerebbe anche senza Zelensky, perché in queste settimane il presidente obbedisce a un mandato popolare che gli chiede di guidare la resistenza all'invasione russa. 0 forse si vuole sostenere che gli ucraini dal minuto dopo si scorderebbero l'aggressione a sangue freddo dell'esercito russo, il bombardamento delle città, le vittime civili e i milioni di sfollati? Ieri la Komsomolskaya Pravda, un tabloid che simpatizza con il Cremlino, ha pubblicato forse per sbaglio il numero dei soldati russi uccisi in Ucraina: 9.861. Se fosse confermato, sarebbe la spia di un disastro militare per la Russia - ma la cifra sarebbe straordinaria anche se fosse dimezzata. Davvero si può pensare che i soldati ucraini avrebbero montato questa difesa così efficace e rabbiosa soltanto perché glielo ha chiesto Zelensky? E infatti ieri il primo ministro israeliano Naftali Bennett, che ha il ruolo di mediatore nei fitti negoziati sottobanco fra Russia e Ucraina, ha detto che i russi non chiedono più la rimozione di Zelensky - che in Italia invece è boicottato da una parte del Parlamento ed è accusato di essere un guerrafondaio nei talk-show. A febbraio il Foglio intervistò Andrii Levus, leader di un movimento politico che si chiama "No alla capitolazione" e raccoglie gli ucraini che si oppongono a un compromesso con la Russia. Levus disse in modo esplicito che se Zelensky avesse ceduto il Donbas ai russi allora "lo cacceremo ancora più in fretta di quanto ci abbiamo messo con Yanukovich" (il leader filorusso che fuggì nel 2014 durante la rivolta del Maidan). Levus parla a nome di una frangia di oltranzisti, ma adesso che è scoppiata la guerra è difficile pensare che gli ucraini siano diventati di colpo più benevolenti verso i russi. Si sono invece induriti.
A marzo il Foglio ha intervistato persone comuni che nella capitale Kyiv promettevano di combattere casa per casa contro gli invasori. Non erano estremisti di destra, non erano supporter di Zelensky, ed erano invece ispirati dal potente sentimento popolare di reazione che è condiviso da milioni di ucraini. E se questo sentimento è così forte non è colpa - o merito - di Zelensky, ma del presidente russo Vladimir Putin, che ha compattato gli avversari con la storia scandalosa dell"operazione speciale di denazificazione". Agli ucraini rabbiosi che promettono di uccidere gli occupanti russi a coltellate non potrebbe importare di meno se fra qualche mese ci sarà ancora Zelensky oppure no alla guida del paese. Il presidente ucraino è un ex attore comico ebreo che fu eletto a sorpresa nell'aprile 2019 grazie a un programma populista che prevedeva una lotta spietata alla corruzione e un'intesa ritrovata con la Russia, per superare lo stallo nel Donbas. Scambiarlo per un guerrafondaio organico a qualche piano di egemonia regionale e filonazista è sintomo di disorientamento. Domenica a Kherson, la prima città occupata dai soldati russi, qualcuno ha sparato raffiche di fucile d'assalto contro la macchina di Pavel Slobodchikov e lo ha ucciso. L'uomo era un politico locale, braccio destro del sindaco filorusso Vladimir Saldo, ed era appena entrato nel cosiddetto "Comitato di salvezza nella regione di Kherson per la pace e l'ordine", che è un organo formato dai russi per dare un'idea di rappresentanza ai cittadini. Potrebbe essere il primo segnale di quello che succederà nei territori conquistati dalla Russia: guerriglia contro i soldati e contro i collaborazionisti. La capacità di Zelensky di influire su queste cose è - almeno in Italia - molto sopravvalutata.
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