Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/03/2022, a pag.21 con il titolo 'Ieri Hitler e adesso Putin, Europa e Usa reagiscono insieme' l'intervista di Adriano Riccomagno.
David Leavitt
Vladimir Putin
“Non ho nessuna autorità - dice David Leavitt -. Ho un tipo di reazione emotiva, di cuore e pancia. Mi sento vicino al popolo ucraino. E ho paura: ogni giorno, quando apro il giornale, lo faccio con il timore di quel che potrei leggere». Lui è uno scrittore americano che è un classico contemporaneo e c'è un libro del 1986, La lingua perduta delle gru, che torna più fresco che mai nella nuova traduzione di Fabio Cremonesi per Sem, l'editore che sta ripubblicando le sue opere. Perfetto, perché l'autore ha un obiettivo: scrivere qualcosa che resti. Oggi sarà protagonista di una lectio, alla Scuola Holden di Torino, dal titolo La fiction è risorta. In questi giorni è in Italia per una serie di incontri e ovunque al sessantenne scrittore di Pittsburgh c'è chi porge la stessa domanda: cosa prova un cittadino dell'Occidente a trovarsi nuovamente una guerra vicino all'uscio di casa? E lui risponde di avere paura.
Aveva dichiarato di riporre molte speranze nel presidente Biden. La pensa ancora così o ha cambiato idea? «Nessuno è perfetto e non lo è nemmeno Biden, me proviamo a immaginare come sarebbe la situazione se al suo posto ci fosse Donald Trump. Sarebbe un vero incubo. Di più: oggi saremmo senz'altro già immersi nella Terza guerra mondiale. Biden è un uomo posato, non è una persona che prende decisioni affrettate. Già a suo tempo lo preferivo a Bernie Sanders e ai democratici più radicali. Ha un'ottica pragmatica, è quel che ci vuole in momenti come questo».
Crede che la guerra in Ucraina possa avere un'evoluzione pacifica? «Ho imparato a non fare previsioni. Viviamo un momento in cui non è possibile. Ogni mattina, quando mi alzo, non so se il mondo sarà lo stesso quando andrò a letto e da quando è arrivata la pandemia mi sono abituato a vivere così. Credo che sia importante farlo per tutelare la mia salute mentale, perché tutto ciò che potrei pronosticare si rivela sistematicamente sbagliato. Però mi ha molto colpito l'unità che la situazione ha risvegliato fra la gente, non solo in Europa ma anche in America. È una lezione che arriva dalla Seconda guerra mondiale: di fronte a un nemico davvero pericoloso tutti i Paesi dell'Occidente, Europa e Stati Uniti, reagiscono insieme. Ieri il nemico si chiama Hitler, oggi è Putin. Ma la reazione è la stessa».
Però il mondo scivola verso una nuova epoca di conflitti. «Sono preoccupato per i miei studenti, per i giovani: crescere in questo mondo è terribile. Pensi che un amico scrittore nigeriano mi ha raccontato che in Ucraina ci sono 4 mila giovani studenti nigeriani che non possono lasciare il Paese. Alla frontiera con la Polonia non li fanno passare».
Due anni fa si diceva che dalla pandemia saremmo usciti migliori. «Psicologicamente è stato molto difficile per tutti. Ci siamo abituati a vivere in una costante incertezza e questo non rende di certo migliori. Io in quel periodo sono stato fortunato, rispetto ad esempio ai newyorchesi, perché vivo in una piccola città della Florida, dove insegno all'università, Kenansville, in una casa con giardino e in un quartiere dove è sempre stato possibile e facile passeggiare. Ma le persone sono state segnate nel profondo».
Si diceva anche che il mondo, almeno quello occidentale, sarebbe diventato un luogo più tollerante. Invece razzismo, omofobia e discriminazioni persistono. «Il razzismo è un problema enorme. Io ho sperimentato il pregiudizio perché sono gay ed ebreo: ho avuto qualche brutta esperienza. Ma, almeno, nel mio caso non bastava uno sguardo perché mi odiassero. Agli afroamericani, invece, basta il colore della pelle per suscitare odio. Spero, e penso, che l'omicidio di George Floyd sia stato una sveglia, un momento di cambiamento, ma allo stesso tempo ha dato la stura al razzismo della destra estrema. Non dobbiamo dimenticare che ci sono anche afroamericani o discendenti di immigrati nell'estrema destra, come il nuovo governatore della Florida, Ron De Santis: lo detesto ancora più di Trump e mi fa una gran paura. Se è lui il prossimo presidente, scappo».
La lingua perduta delle gru racconta il «coming out» di un ragazzo. Cosa è cambiato da quando l'ha scritto? «Tanto è cambiato, ma da un certo punto di vista niente è cambiato. Forse il passaggio più importante è stato la possibilità del matrimonio egualitario. Io mi sono sposato con l'uomo che è il mio compagno da trent'anni nel 2016, quattro giorni dopo l'elezione di Trump, come segno di protesta. Se qualcuno mi avesse detto che sarebbe stato possibile quando ero bambino, non ci avrei creduto».
A Torino parlerà di fiction, intesa come narrativa. È tornata in vita? «Per me è sempre stata viva. Sono un grande lettore soprattutto della letteratura del passato. Ci sono tanti libri che ritengo molto importanti oggi: ad esempio Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, per riflettere sulla situazione dei rifugiati. Ci sono romanzi che sono troppo legati al momento in cui sono stati scritti e a rileggerli risultano datati, ma altri sono per sempre. E lo scopo che mi pongo quando scrivo ed è il messaggio che voglio lanciare agli studenti».
Su che cosa sta lavorando adesso? «Per due anni, durante la pandemia, ho avuto problemi a scrivere. Alla fine ho deciso di tornare al passato e sto scrivendo un testo ambientato nel 1800 che parla di parapsicologia, medium e premonizioni. Al centro c'è la teosofia e il grande scandalo avvenuto in India intorno alla figura di Elena Blavatsky».
È appassionato di spiritismo? «Per niente. Mi è capitato. Sono nato e ho vissuto a Palo Alto e avevo in mente di scrivere qualcosa sul rapporto fra tecnologia e New Age. Così mi sono imbattuto nella teosofia, alla base delle teorie New Age del XX secolo, e quindi nella controversa figura di Madame Blavatsky, che mi ha conquistato».
Che legame ha con la tecnologia? «Sono dipendente dallo smartphone, purtroppo. Ma evito i social network, perché sono consapevole che se li avessi non avrei più una vita».
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