Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/03/2022, a pag. 9, con il titolo "La paura dei polacchi che ricordano Hitler: 'Ora impariamo a usare le armi' ", la cronaca di Tonia Mastrobuoni.
Tonia Mastrobuoni
Si è svegliato nel cuore della notte perché le finestre tintinnavano: da allora Edward Glowacki non dorme più. A distanza di due giorni dal pesante attacco missilistico russo che ha raso al suolo la base di addestramento ucraina di Yavoriv, a venti chilometri dal confine polacco, Glowacki è certo che Putin «non lo fermerà più nessuno». Il sessantaduenne vive a Korczowa, la sua casa è appoggiata sulla frontiera, e quando il cielo si è illuminato dei bagliori delle esplosioni, sapere di vivere in un Paese della Nato non lo ha tranquillizzato affatto. Qui il ricordo è vivo del tradimento – lo chiamano così – del 1939. Del blitzkrieg di Hitler che precipitò la Polonia e il mondo intero nel terrore dopo anni di appeasement dell’Occidente. Ora che Putin è tornato a spezzare la promessa della sovranità Ucraina, i confini dell’Europa bruciano di rabbia. Qualcuno ha già cominciato a reagire – e ben prima dell’attacco a Yavoriv. Già quando Putin ha iniziato ad ammassare le truppe intorno all’Ucraina. Przemyzl, un pugno di chilometri più a sud di Korczowa, è rimbalzata sulle prime pagine per la figuraccia di Matteo Salvini, sbeffeggiato dal sindaco per le sue magliette pro-Putin. Ma anche qui la paura dei russi cresce da mesi. Al poligono di tiro, un edificio basso nascosto dietro a una scuola elementare, quattro ragazzi si esercitano con le cuffie antirumore. Olga prende la mira a lungo, poi centra in pieno la sagoma di cartone. Il suo istruttore, Piotr Warcszakowski, le aggiusta le spalle per il tiro successivo. «Ci chiamano in tanti, vogliono iscriversi al poligono, vogliono imparare a usare le armi», racconta. Il 52enne fa la guardia carceraria e dedica il suo tempo libero a Lok, un’organizzazione nata ai tempi del comunismo per affiancare l’esercito, abbandonata a se stessa dopo la fine del Patto di Varsavia e trasformata in una gigantesca rete privata, dichiaratamente “patriottica”, una sorta di organizzazione paramilitare che offre corsi di sopravvivenza e di addestramento militare. Un circuito dai contorni oscuri, che in questo periodo aiuta le amministrazioni locali ad affrontare la titanica sfida del milione e mezzo di profughi che sono già passati per la Polonia. «Ma continuiamo anche ad andare nelle scuole a offrire campi di “survival”», sorride Warcszakowski. Certo, l’impennata di iscrizioni a Lok provocata dalla guerra di Putin è problematica, rivela, perché «al momento non abbiamo abbastanza istruttori».
Ma il boom dei polacchi desiderosi di impugnare un’arma è confermata da uno dei capi di Lok, Wieslaw Karpiuk. Lo raggiungiamo al telefono, guida i quaranta circoli di Lok nella regione dei Carpazi. «La paura è aumentata, e con la paura vengono tutti da noi», dice. In questa terra martoriata da secoli di appetiti di re prussiani, zar russi e imperatori asburgici, nessuno dimentica. Proprio in questi giorni cade l’anniversario dell’“Operazione Reinhard”: ottant’anni fa Hitler accelerò il genocidio degli ebrei trasformando la Polonia nell’inferno sulla terra. Un milione e ottocentomila ebrei, in gran parte polacchi, furono sterminati a Treblinka, Sobibor e Belzec nel giro di soli due anni. E su Putin, il premier Mateusz Morawiecki continua a ripetere da giorni che «fa male ammettere che avevamo ragione».
Da qualche ora sui siti polacchi è rimbalzata la notizia di un drone russo “Forpost” che avrebbe violato lo spazio aereo della Nato nei pressi di Korczowa. Secondo Jurij Ihnat, portavoce delle forze armate ucraine, il drone avrebbe sorvolato Yavoriv dopo il bombardamento e si sarebbe diretto a ovest, penetrando il confine polacco. Voci che contribuiscono al nervosismo generale. Persino a Jaroslaw, cittadina dell’entroterra, a trenta chilometri dalla frontiera, i polacchi hanno cominciato a comprare farina, latte in polvere, conserve, raccontano le cassiere dei Lidl. Sulla via principale incontriamo Barbara Kolsovska, tanti anni passati in Italia a fare la badante, felice che il figlio sia ripartito per l’Irlanda ieri mattina. «Almeno lui è al sicuro». Sul confine c’è anche chi è scappato dall’assedio di Kiev. Lisa Kukhar è arrivata due giorni dopo i bombardamenti che stanno devastando la sua città e aiuta i suoi concittadini che arrivano esausti nella piccola stazione dei pompieri di Korczowa. La notte dell’attacco a Yavoriv era lì. «Ho sentito la porta che tremava. Come se qualcuno stesse bussando. E ho capito che la guerra mi ha seguito fino a qui».
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