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Rifugiati di ieri e di oggi
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
Sono immagini strazianti quelle che circolano su tutti i canali televisivi occidentali, Russia esclusa. Centinaia di civili spaventati, sdraiati sulla nuda terra in rifugi improvvisati. Migliaia di altri stipati nei vagoni di treni che li portano verso l'esilio. File Interminabili di auto che cercano di raggiungere un confine, un confine qualunque. Donne, bambini, vecchi storditi che camminano nella neve e nel freddo, sobbalzando ad ogni colpo di cannone o all'avvicinarsi di un aeroplano. Un'intera umanità intrappolata in un conflitto con cui essa non ha nulla a che fare e milioni di civili costretti a fuggire per evitare i bombardamenti e l'avanzata del nemico. Qua e là, un luogo comune che coinvolge più di altri. La mamma esausta che tiene in braccio il bambino che ha appena messo al mondo in mezzo ad estranei profughi come lei, in una stazione della metropolitana. La bambina che serra sul cuore una bambola civettuola. La vecchissima signora che sussurra che questa è la terza volta che viene gettata sulla strada. E i commentatori che evocano altri rifugiati. Quelli di un'altra guerra. Soprattutto ebrei. Solo che non colgono la differenza.
Oggi, una volta varcato il confine, un incredibile movimento di solidarietà è lì ad accogliere gli ucraini. Bevande calde, cibo, vestiti, alloggio, ospedali da campo. E’ stata approntata una logistica impressionante per indirizzare i nuovi arrivati nei Paesi che si offrono di riceverli. Ci sono degli autobus per portarceli . Certo, non sarà tutto facile, ma sono al sicuro dai pericoli e possono mantenere la speranza di ritrovare un giorno il loro Paese, la loro casa. Non c’era nessuno ad attendere gli ebrei. Davanti a loro si chiudevano le frontiere. I loro vicini li denunciavano. Le loro proprietà venivano saccheggiate. Soprattutto, vagavano terrorizzati per un'Europa devastata dove non potevano aspettarsi alcuna pietà. Bisognava a tutti i costi evitare di essere catturati. Per coloro che erano riusciti a rimanere liberi fino alla pace, come per i sopravvissuti ai campi di sterminio, il futuro restava fosco. Gli Alleati avevano effettivamente allestito dei campi – ancora dei campi! – per quelli che chiamavano con un mirabile eufemismo “persone da trasferire”, ma non avevano nessun posto dove andare. Ritornare nei Paesi che così facilmente li avevano abbandonati ai nazisti? Sappiamo cosa è successo a coloro che hanno cercato di tornare in Polonia e sono dovuti fuggire prima di nuovi pogrom. Sì, c'era la Terra d'Israele, la loro Terra Promessa, ma la Marina britannica aveva fatto di tutto per impedire loro di raggiungerla. Per fortuna altri ebrei si erano mobilitati per aiutarli, per trovare i canali che li avrebbero resi cittadini liberi nel Paese dei loro antenati. Ciò non diminuisce in alcun modo la portata della tragedia che sta colpendo il popolo ucraino e la necessità di fare tutto il possibile per aiutarlo. Detto questo è inutile che si facciano paragoni che, mi sia concesso, definisco semplicemente indecenti.
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