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La Repubblica Rassegna Stampa
13.03.2022 La difesa di Kiev e l’eccezione ucraina
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 13 marzo 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La difesa di Kiev e l’eccezione ucraina»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/03/2022, a pag. 1, con il titolo "La difesa di Kiev e l’eccezione ucraina", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

La Germania nazista non ebbe alcuna difficoltà a rimilitarizzare la Renania nel 1936, annettersi l’Austria nel 1938 e smembrare la Cecoslovacchia sempre nel 1938 così come per l’Urss non fu troppo difficile reprimere i moti della Germania Est nel 1953 e della Polonia nel 1956, la rivolta d’Ungheria nello stesso 1956 e la Primavera di Praga nel 1968. Per non parlare della Russia di Vladimir Putin che, quasi con analoga facilità, si impossessò di metà Georgia nel 2008 e annesse la Crimea nel 2014 senza colpo ferire. È importante dunque tentare di comprendere da dove nasce l’eccezione ucraina perché si tratta di un episodio non comune nella Storia delle democrazie europee: una piccola o media nazione aggredita da un potente vicino non soccombe o si arrende ma sceglie di battersi per difendere sovranità e libertà.

Russia-Italia, Trani:
Vladimir Putin

Da quanto è possibile dedurre osservando l’andamento dei combattimenti sul terreno, la capacità degli ucraini di opporsi all’avanzata di almeno 200 mila soldati dell’Armata russa, il secondo esercito più potente del mondo, ha tre componenti fondamentali: la motivazione popolare, la conoscenza dell’avversario e le forniture militari da parte della Nato. La motivazione popolare è descritta dal fatto che la resistenza è omogenea sul territorio, anche nelle regioni dell’Est abitate in prevalenza da russofoni. Se Putin si aspettava che almeno una parte della popolazione ad Est del Dnepr, ovvero gli slavi ortodossi, avrebbero accolto i suoi carri armati come liberatori in nome della comune identità etnico-nazionale, è invece avvenuto il contrario perché a pesare di più è stata l’identificazione con una giovane democrazia indipendente da appena 30 anni, con un governo liberamente eletto e con un presidente votato dal 73 per cento degli aventi diritto. Dunque, la volontà di difendere l’indipendenza dell’Ucraina ha prevalso sul richiamo di Putin alla comune russofonia. Trasformando ogni villaggio, casa e famiglia in un ostacolo con l’effetto di rivoluzionare la mappa russa delle operazioni perché le truppe di Mosca hanno capito che nessuno li avrebbe accolti a braccia aperte, ed avrebbero dunque avuto bisogno di più armi, soldati e rifornimenti rispetto a quanto previsto. A questo bisogna aggiungere che, numeri alla mano, migliaia di civili addestrati dall’esercito ucraino stanno combattendo nelle strade e nei boschi, dando vita ad una sorta di milizia popolare che l’esercito russo non era preparato a sfidare. Il secondo elemento è invece più tattico. I militari ucraini stanno dimostrando di conoscere assai bene l’avversario. Non solo perché le informazioni di intelligence filtrate da Mosca gli hanno permesso di sventare almeno tre piani di eliminazione del presidente Zelensky e di mettere al sicuro l’antiaerea nelle prime notti di raid, ma soprattutto in quanto gran parte degli ufficiali ucraini si è formato nelle scuole di guerra e sui manuali dell’ex Urss. E combatte i russi con le loro stesse tattiche. Come ad esempio far avanzare il nemico in profondità per poi aggredirlo alle spalle e tagliargli i rifornimenti. Proprio come i russi sconfissero Napoleone e travolsero la Wehrmacht. I cannoni ucraini che spuntano dalle foreste, fanno fuoco e si ritirano sparendo nel nulla per farsi inseguire dai reparti russi che poi cadono in trappola su campi coperti di fango sono un esempio, quasi da manuale, di tattica dell’ex Armata Rossa adoperata contro le unità di Putin. Per non parlare degli attacchi alle retrovie dei lunghi convogli russi al fine di eliminare i camion con a bordo il carburante, senza il quale carri armati e blindati si fermano o sono obbligati a chiedere benzina alle stazioni di polizia ucraina. O dell’uso massiccio dei cecchini a Kharkiv per impedire ai russi di controllare la città oramai occupata, proprio come i sovietici facevano durante il lungo assedio di Leningrado. Insomma, è la conoscenza del nemico l’arma in più della resistenza ucraina ed obbliga il Cremlino a rivedere i piani. Ultimo, ma non per importanza, le forniture militari della Nato. Se nel 1956 e nel 1968 l’Alleanza fece cadere nel vuoto gli appelli radio degli insorti di Budapest e Praga — rispettando in maniera spietata la divisione dell’Europa imposta dagli accordi di Yalta — ora le armi invece sono arrivate, probabilmente a partire dalle settimane precedenti all’invasione, e ciò consente agli ucraini di usare missili anticarro ed antiaereo contro i quali tank, blindati e Mig non hanno buone difese. Se a questo aggiungiamo le dettagliate rivelazioni dell’intelligence Usa sui piani d’invasione russi — iniziate a trapelare da novembre — diventa evidente che le democrazie stanno concretamente aiutando Kiev a difendersi. Dimostrando con i fatti di non voler accettare che Mosca usi le armi per far calare una nuova Cortina di Ferro sull’Europa, limitando sovranità e libertà di interi popoli e nazioni. Insomma, se la volontà popolare di battersi per le proprie libertà è il motore della resistenza ucraina, la capacità di farlo viene dalla miscela fra le competenze “sovietiche” dei militari di Kiev e gli aiuti in arrivo dai Paesi democratici, che sembrano aver compreso la lezione di Georgia 2008 e Crimea 2014: accettare passivamente l’espansionismo panrusso di Vladimir Putin non garantisce la pace ma lo spinge a compiere nuove aggressioni contro i vicini. Fermarlo a Kiev significa dunque provare a scongiurare un conflitto ancora più ampio.

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