'Non abbiamo attaccato l'Ucraina': tutte le bugie di Sergey Lavrov Commento di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 11 marzo 2022 Pagina: 7 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Se Lavrov racconta un mondo inventato»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/03/2022, a pag. 7, con il titolo "Se Lavrov racconta un mondo inventato", l'analisi di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
“Non abbiamo attaccato l’Ucraina». La diplomazia muore ad Antalya, sotto gli occhi esterrefatti dei padroni di casa turchi che avevano sperato che il faccia a faccia tra i ministri degli Esteri dell'Ucraina e della Russia portasse almeno a un cessate-il-fuoco umanitario. Ma Sergey Lavrov distrugge subito le speranza: «Non siamo qui per questo, gli ucraini conoscono le nostre richieste». Il suo avversario ucraino Dmytro Kuleba conferma che i russi «da noi vogliono soltanto la resa», e ammette di non aver contato troppo sull'incontro, perché Lavrov «è venuto a parlare, non a decidere». Una conferma di quello che si sapeva già: la diplomazia russa è in mano a un solo uomo, che non è Sergey Lavrov, il quale ormai da anni si accontenta del ruolo di un portavoce della propaganda di Vladimir Putin. E ad ascoltare la conferenza stampa del ministro russo viene il dubbio che la visita in Turchia gli sia servita soprattutto per raccontare la propaganda russa. A cominciare dalla clamorosa negazione: la Russia «non ha attaccato l'Ucraina», ma ha solo reagito a una «minaccia alla sicurezza» che sarebbe venuta da Kiev. Una dichiarazione che contraddice la richiesta di resa: se non c'è attacco non si può parlare nemmeno delle condizioni alle quali fermarlo. Ma tutto questo non imbarazza Lavrov. Negare l'evidenza, un metodo collaudato. E poi, numerose domande sul bombardamento della maternità di Mariupol: il diplomatico russo sostiene che la clinica non ospitava più pazienti, sostituite dai «battaglioni nazionalisti» ucraini che avrebbero occupato l'edificio per farsi colpire dall'artiglieria russa e creare un caso umanitario. E le foto delle donne ferite sono ovviamente un fake, come sostengono le ambasciate russe in giro per il mondo, che twittano coordinate gli attacchi della propaganda ufficiale. Una storia identica a quella raccontata in Siria, e ancora prima in Donbass e in Cecenia, più di vent'anni fa. I russi non colpiscono mai obiettivi civili, nemmeno per errore, sono sempre false accuse del nemico, oppure trappole dei perfidi avversari che usano la popolazione come scudo umano. Chissà perché, allora, i militari russi ricascano in questi tranelli decennio dopo decennio, e perché dopo il loro passaggio non restano che macerie. Ma l'importante sostenere senza esitazione la propria tesi, per quanto assurda possa apparire. Lavrov conduce un negoziato, non parla all'opinione pubblica internazionale, si rivolge a un pubblico interno alla Russia e soprattutto a uno telespettatore privilegiato, unico destinatario del suo show propagandistico. E lui che esige sempre dagli interlocutori occidentali di vedere riconosciute le sue ragioni, che li sottopone a lezioni interminabili di storia secondo i manuali del Cremlino, che ha reso impossibile un negoziato già da quando, nel 2014, Angela Merkel sospirò esasperata che «Putin vive nel suo mondo». Ed è da quel mondo magico che arrivano i pipistrelli e gli uccelli che — racconta un altolocato ufficiale del ministero della Difesa russo in prima serata al tg della tv di Stato — avrebbero dovuto volare in Russia dai laboratori segreti americani situati in territorio ucraino. Animali contaminati con un virus geneticamente modificato in modo da contagiare «esclusivamente gli slavi».
Sergey Lavrov
Una teoria razziale che finora abitava nei bassifondi cospirazionisti dei blog su Internet e che ora viene riversata nei cervelli degli spettatori russi, molti ancora memori della propaganda sovietica che, all'epoca delle Olimpiadi di Mosca nel 1980, terrorizzava i bambini per non farli avvicinare ai turisti stranieri, che avrebbero offerto loro caramelle leccate da malati tubercolotici. È la leggenda metropolitana dello sterminio etnico, siamo ai «Protocolli dei savi del Sion», un fake reso famoso dai servizi segreti russi, ancora quelli degli zar. Potrebbe essere il segnale che il regime è a corto di munizioni ideologiche, se rovista in cassetti così impolverati. Ma il revisionismo putiniano ormai ha finito per ritenere un errore tutto quello che è successo da Gorbaciov in poi. L'unico aspetto del comunismo sovietico finora mai rimpianto era stata la proprietà pubblica sui mezzi di produzione, ma anche quello potrebbe essere un tabù superato con la «amministrazione esterna» che Putin vorrebbe imporre alle aziende occidentali che abbandonano la Russia per protesta contro la guerra. Che un marchio non sia solo un negozio, ma un know-how, una catena produttiva, una tecnologia, una reputazione è qualcosa di troppo complicato per la propaganda, che ormai resta l'unico vero prodotto di esportazione Made in Russia.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante