Praga 1968 - Kiev 2022
Da 'Mangia ananas, mastica fagiani', di Diego Gabutti
(da Italia Oggi)
Diego Gabutti
Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani, vol. 2. Dai Processi di Mosca al disgelo e a Pol Pot, WriteUp, Roma 2022
Uno slogan cecoslovacco degli anni passati affermava: «Con l’Unione Sovietica per l’eternità». Il poeta Vladimír Holan soleva commentare: «Ma non un giorno di più».
Angelo Maria Ripellino, Non un giorno di più (ottobre 1968)
La primavera del 1968 ebbe l’intensità, l’ansia e l’irrealtà d’un sogno avverato. La gente si riversava nelle stradine della Città Vecchia e nei cortili del Castello e rimaneva in giro fino a tarda notte. […] Tutti ascoltavamo con sollievo l’eco delle risate fra le mura antiche. Anche parecchio tempo dopo che le porte del Castello s’erano chiuse, c’era sempre qualcuno che si fermava sui bastioni a guardare le luci tremolanti d’una città che non riusciva a dormire. Ogni mattina, sulla scalinata del palazzo del Comitato centrale che un tempo incuteva tanto terrore, le donne aspettavano il nuovo segretario generale, Alexander Dubček, per consegnargli una fetta di torta casalinga o un mazzo di fiori. I bambini gli regalavano i loro orsacchiotti come portafortuna. Nessuno perdeva l’occasione di guardarlo in TV: era una gioia rara vedere un funzionario di partito un po’ balbuziente, con gli occhiali che gli scivolavano sul naso.
Heda Margolius Kovály, Sotto una stella crudele
Sapevamo che l’abolizione della censura, lo splendore e la libertà della stampa, della tivù, della radio, gli arditi articoli di Literární Listy, l’inchiesta sulla morte di Jan Masaryk, il rinnovamento della vita parlamentare, il risveglio della classe operaia, il brulicare improvviso di gruppi e di associazioni, il Manifesto delle Duemila Parole, alieno da moine e da inchini servili: tutto questo non poteva piacere agli uccelli del malaugurio, che stavano intorno in agguato come esecutori testamentari, ai tutori stranieri, più torvi dei reggenti dipinti da Frans Hals. Eppure qualcuno di noi si faceva ancora illusioni, mentre il Supremo Concilio dei Filistei, nell’attesa del Giudizio Finale, [agitava] come una maschera di carnevale lo sconcio spauracchio della Controrivoluzione.
Angelo Maria Ripellino, Storie del bosco boemo
Verso le 23 squillò il telefono. Era Dušan Havlíček, capo del servizio per i mezzi di comunicazione al Comitato centrale: «Ti annuncio, che sovietici hanno attraversato la frontiera» disse. Per poco non mi arrabbiai: «Se hai voglia di farmi uno scherzo perché hai bevuto troppo, va bene, ma devo alzarmi domattina alle cinque, e per favore lasciami dormire!» «Non è uno scherzo. Ti consiglio di venire immediatamente al Comitato centrale». Mi rivestii e telefonai ad alcuni amici per informarli. La loro reazione fu incredula come la mia: «È uno scherzo?» Si cominciava a sentire nel cielo di Praga il rombo degli Antonov diretti verso l’aeroporto.
Jiri Pelikan, Il fuoco di Praga
Il Circo di stato sovietico è di nuovo a Praga. In programma gorilla ammaestrati. Si prega di non dar loro cibo e di non stuzzicarli.
Scritta sui muri di Praga, settembre 1968
Sorpresi, scorgiamo una folla silenziosa che d’improvviso, riconoscendo il segretario dietro una finestra illuminata, esplode al grido di «viva Dubček!» Un ufficiale russo ingiunge ai manifestanti di ritirarsi. La folla s’infittisce; l’ufficiale sfodera una rivoltella e dice che conterà fino a cinque prima di ordinare alla truppa di fare fuoco. [Al] «cinque!» abbassa la mano, si fa di lato e i militari aprono il fuoco dalle torrette dei cingolati, non con le mitragliatrici, bensì con fucili e pistole: Dubček, dalla finestra, vede cadere sotto i suoi occhi la prima vittima dell’occupazione. Uno studente. Il cadavere del giovane, insanguinato, verrà avvolto da altri giovani in una bandiera cecoslovacca e portato a spalla dalle rive della Moldava verso il centro della città. Nella sala delle irrompe gridando un funzionario del KGB seguito da agenti del servizio segreto cecoslovacco. [...] Puntano contro [Dubček] kalashnikov e rivoltelle, lo dichiarano in arresto insieme con i compagni più stretti che siedono allo stesso tavolo.
Jiri Pelikan (cit. in E. Bettiza, La primavera di Praga)
Praga resistette in ogni maniera possibile. I cartelli stradali scomparvero, oppure vennero girati per impedire agli invasori d’orientarsi in città. I numeri di targa delle auto della Sicurezza sovietica vennero dipinti sui muri a caratteri cubitali. Programmi radio e televisivi venivano trasmessi da stazioni improvvisate, spostate di continuo per sfuggire ai russi. [I] soldati russi affamati non riuscivano a farsi dare una briciola di pane né un bicchiere d’acqua dalla popolazione. Vagavano per le vie della città, dove tutti i cartelli indicavano una sola direzione: Mosca.
Heda Margolius Kovály, Sotto una stella crudele
Dinanzi alla casa natale di Kafka il rospo catafratto d’un tank si acquattava, non certo per rendere omaggio alla sua memoria, ma per vigilare l’ufficio affitti nel casamento di fronte. Ambiguità per un certo verso kafkiana e assai più sottile comunque dell’iperbole di quei dodici tank che attorniavano il monumento a Jan Hus.
Angelo Maria Ripellino, Storie del bosco boemo
Černík, primo ministro, fu arrestato nella sede del governo: avevano dovuto trascinarlo per i piedi e le mani perché si dibatteva. Su automezzi blindati sovietici erano stati tutti trasportati all’aeroporto di Praga e fatti salire su aerei militari sovietici con destinazione sconosciuta. Sapemmo in seguito che erano stati dapprima condotti a Glivice, aeroporto del patto di Varsavia, in Polonia, poi in Ucraina, prima di essere inviati a Mosca.
Jiri Pelikan, Il fuoco di Praga
C’era nell’aria un aroma di operetta balcanica. Brežnev che scende festoso dal treno, impugna come una spada i gladioli che gli sono offerti e alza il braccio del presidente Svoboda, come un arbitro sul ring, in segno di fratellanza. E Ulbricht che scende dall’aereo vispo e allegro, come se nulla fosse mai successo, come se i suoi giornali e le sue radio non avessero fino a ieri proclamato al mondo che in Cecoslovacchia imperversava la controrivoluzione, appoggiata dalla Germania federale. E il bulgaro Zivkov, anche lui tutto un sorriso. Qualche giorno prima a Sofia i suoi agenti non avevano avuto ritegno, per imbastire una provocazione, a far spuntare un cartello con croce uncinata in mezzo a un corteo di giovani cecoslovacchi. Un vero happening della riconciliazione.
Angelo Maria Ripellino, L’ora di Praga
Nella nostra coscienza l’«idiota» di Hašek [il soldato Švejk] ha ormai un posto contiguo al protagonista del Processo kafkiano. Nascono entrambi dalla sostanza di Praga, entrambi si muovono in un labirinto di assurdità giudiziarie: Švejk passa da una guardina a un commissariato, da un manicomio a una prigione, e Josef K. si aggira in uffici muffiti, in topaie avvocatesche, fra siepi di incartamenti. Sarebbe curioso seguire gli itinerari dell’uno e dell’altro per le strade di Praga: due soldati melensi con baionette, un mattino, conducono Josef Švejk dal carcere del Castello, giú per il ponte Carlo, verso la Città vecchia; e in senso contrario, una notte, alla luce lunare, due nere figure in cilindro, con passo d’automi, accompagnano Josef K. per lo stesso ponte, su verso la cava di Strahov, al supplizio.
Angelo Maria Ripellino, Un clown tra i carri armati (L’Espresso, 15 settembre 1968)