Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/03/2022, a pag.4 con il titolo "Odessa, minaccia dal mare" il commento di Domenico Quirico.
Domenico Quirico
Odessa
Dopo la seconda guerra mondiale tutti i bambini di Odessa imparavano a memoria due date: 16 ottobre 1941 e 10 aprile 1944. Era quel lungo periodo ciò che separava la tragedia dalla resurrezione, l'ennesima, l'ultima si sperava. Nel 1941 le truppe rumene, alleate dei tedeschi, avanzando dalla Transnistria entrarono nel grande porto del Mar Nero. La cavalleria del maresciallo Antonescu, uno dei tanti mussolini balcanici, trotterellava soddisfatta per la via Richelieu accuratamente vuota. Molti abitanti pensarono che tutto sommato erano stati fortunati: i rumeni erano meno feroci dei tedeschi, forse per l'ennesima volta la città sarebbe sopravvissuta alla violenza della Storia. Come avrebbe potuto essere sopraffatta questa città dei sogni, questa città fatta di sogno, letteraria e concreta, impossibile e umana, rumorosa chic ed estenuante, che aveva sgranato gli occhi per l'arrivo delle carovane e per l'armata a cavallo di Budjonni, ammirato fragili baronesse zariste e energiche bolsceviche? Qui la storia non procede in linea retta e neppure completa cerchi, disegna arabeschi. Invece il lato oscuro di Odessa era lì: delazioni denunce, ai comandi rumeni la gente era in fila per saldare i conti con i comunisti e gli ebrei. Si ammucchiavano i verbali, si registrava si arrestava, si affollavano i campi senza ritorno. Un'altra volta i morti senza nome della storia, con la bocca spalancata, gli occhi sbarrati. Sì. Questa è una città di splendori e di ombre. C'era folla in via Richilieu il 10 aprile quando l'armata rossa prese di nuovo il controllo della città. I sopravvissuti a quei tre interminabili anni potevano guardarsi indietro: loro ce l'avevano fatta, avevano messo in atto i trucchi, le accortezze, i silenzi con cui mille altre volte nei secoli avevano resistito a invasori poi scomparsi come polvere nella steppa e agli eterni poteri dispotici, zar, i rossi e i bianchi, Stalin. Piegarsi per evitare di essere spazzati via essendo, lo sapevano bene, spesso le rivoluzioni solo di parole che in fondo lasciano le cose come prima. Ora ci sarà un'altra data da imparare a memoria, da non dimenticare: 24 febbraio 2022, l'inizio della invasione russa, un altro assedio della città miracolosamente in bilico tra il mare e la steppa.
Chi può dire oggi se sarà tragedia o resurrezione? La guerra si è avvicinata a passi felpati a Odessa, non dalla steppa dove le distanze e lo spazio sono ancor più enigmatici del tempo. E arrivata dal mare. le prime bombe hanno devastato il villaggio di Dachne a 15 chilometri dalla città. Gli assalitori questa volta sono i russi, l'armata anfibia di Putin. Parlavo nel pomeriggio con una giovane ucraina: «Non farai a tempo a venire qui, loro si preparano, li aspettiamo a ore...». E mi racconta la notte che inghiotte la città e le scogliere, una notte cupa perché cupa è la terra. Odessa ancora una volta è stretta nella morsa di quanto è scuro, cattivo, sporco che si è risvegliato da quando è iniziata questa guerra. Dietro l'attacco c'è un freddo calcolo e questa è la sua terribile forza: che il buio in queste terre tormentate risorga! «Chissà se domani il sole sorgerà ancora - dice - le tenebre son lì per restare. Loro conoscono ogni cosa di noi. È l'ora dei lupi». Sembra che abbia il desiderio di levarsi da questo mondo così come è, di scivolare via, di evaporare. Eppure sono certo che resterà a Odessa. Questa non è una città, è una piega dell'anima. Non la puoi tradire. Odessa è sulla linea costiera che Putin vuole occupare: per ora? Per sempre? Così infuriando isola l'Ucraina dal mar nero, che forse ancor più di Kiev e del nord è il vero obbiettivo. Cherson già conquistata, Mariupol che muore ogni giorno di fame, per l'assedio spietato. Ora è la volta di Odessa. Lentamente, implacabilmente il piano di guerra si dispiega, eccolo il rullo compressore russo come si diceva un tempo. La Crimea, Sebastopoli afferrati quasi in silenzio tra mediocri, inutili strepiti di sanzioni light nel 2014 non sono più un avamposto isolato e fragile. Li coprono una tela di porti e città che allontano nello spazio i sogni di «revanche» ucraina e legano saldamente la prima preda alla Russia. Quaggiù già leggiamo, dopo appena pochi giorni di guerra, la nuova geografia di Putin, si colmano i vuoti della disintegrazione sovietica. Nelle guerre di rivincita ogni pietra, ogni metro vale una promessa. Ieri un mercantile estone è stato affondato dai russi davanti al porto delle città. Una prima piccola battaglia navale. La flotta incrocia oltre il promontorio che copre la baia, le voci di uno sbarco si moltiplicano. Si guarda al mare con angoscia. Eppure fino a ieri era di lì che bisognava arrivare per veder sorgere Odessa dal nulla tanto che ti chiedevi se era sogno: cosi diversa da una città reale perché moltiplica la tua energia visiva, ti impregna di emozione: i palazzi gli alberi le basse scogliere di calcare il mare che sembra completare la steppa zeppa di misteri, di silenzi, di popoli duri, prolungarla all'infinito.
Nel 1796 la Grande Caterina, la zarina che voleva aggiungere anche le utopie illuministe alla catena del suo dispotismo ordinò di creare la città dal nulla, miracolo visibile della autocrazia. Secoli dopo i soldati di un altro despota si presentano davanti alla città per cambiarne la storia, ancora a colpi di knut, di bastone. Un altro gioco di prestigio dell'assolutismo. Odessa porta i segni del suo passato, per sopravvivere ha avuto bisogno di compromessi, anche di bugie come una fiala troppo fragile viaggia circondata da bambagia. Un punto di transito per vite cariche di tensione. Dopo la fine dell'Urss gli ucraini son diventati maggioranza, due terzi della popolazione. Ma qui la rivoluzione di Maidan sembra sia stata vissuta più tiepidamente che a Kiev. Vicino alla scalinata del celebre film di Ejzeinstein la statua che commemorava l'ammutinamento della corazzata Potemkin è stata rimossa. L'ha sostituita la statua della Grande Caterina che indica non più il porto ma il nord, la Russia. I monumenti sono così vulnerabili. Restano incagliati per le derive della storia. A chi ha modi duri sempre la fine si rivela, purtroppo, come un possibile inizio.
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