Il mio giardino selvatico
Meir Shalev
Traduzione di Elena Loewenthal
Bompiani Euro 28
La copertina (Bompiani ed.)
Considerato uno dei principali esponenti della letteratura israeliana, Meir Shalev - la cui vena ironica e poetica è apprezzata in tutto il mondo – è autore di opere per ragazzi, di saggi e di romanzi di successo per adulti come “Il ragazzo e la colomba” (Frassinelli,2006) per il quale ha ricevuto il premio Brenner, il più alto riconoscimento letterario israeliano. Il suo ultimo lavoro “Il mio giardino selvatico” edito da Bompiani Overlook è un libro raffinato che coniuga in modo mirabile l’amore dell’autore per la natura e la sua passione per la scrittura. Tuttavia – come spiega Shalev nelle prime pagine – “questo non è un libro di botanica o di giardinaggio. E’ soltanto una raccolta di impressioni su un giardino senza pretese e su un giardiniere che se ne occupa perché a un’età piuttosto avanzata si è inventato un passatempo, fors’anche un nuovo amore”. Il giardino selvatico, popolato da una straordinaria varietà di fiori, insetti e alberi che l’autore descrive con accenti poetici, è un piccolo microcosmo che circonda la sua casa, piccola e modesta, “aggrappata a un pendio” nella valle di Jezreel da cui si può ammirare “la chiostra bluastra e familiare del Carmelo, lungo tutto l’orizzonte”. E’ un luogo che concilia l’incontro dell’uomo con la natura dove si perpetuano riti e consuetudini che richiede però cure, dedizione e lavoro nonostante la presenza di piante che crescono in modo spontaneo. In un costante colloquio con l’ambiente che lo circonda lo scrittore, che non è un botanico di professione ma si approccia all’arte del giardinaggio con umiltà e rispetto, racconta la storia delle piante che abitano il suo giardino con argute riflessioni sulle dinamiche che stanno alla base della crescita e dello sviluppo di quelle specie vegetali. Sono “storie la cui fonte sta nell’avvicendarsi delle stagioni, nell’appassire e rifiorire delle piante, nella fantasia creativa, nell’amore e nella consuetudine con la natura degli antichi”.
In questo giardino selvatico, dove oltre a quelle autoctone l’autore ha introdotto nuove specie, la fanno da padroni il ciclamino e la scilla marittima ma anche il corbezzolo la cui vita è assicurata dalla presenza di un fungo sulle sue radici e il papavero, al quale dedica un intero capitolo, “un fiore che adoro, ogni anno raccolgo i semi e li semino nel mio giardino” che rappresenta il “simbolo di giovani eroi che hanno dato il loro sangue da quelli della mitologia greca fino alle vittime di guerra della nostra era”. Di queste piante Shalev ci svela i segreti, le risorse, i meccanismi riproduttivi e di difesa, e ogni racconto diventa un’occasione per condividere esperienze, ricordi, aneddoti, spiegazioni di botanica o di zoologia. Perché questo luogo brulicante di vita è abitato anche da tanti insetti e animaletti che, come su un palcoscenico variopinto, diventano veri personaggi: ecco le api operaie di cui Shalev ascolta affascinato il canto, il pettirosso, l’assiolo con il suo richiamo d’amore, il picchio che, ostinato a voler occupare la casetta delle cince, tormenta il nostro scrittore con il suo martellare incessante, le tartarughe e la lucciola. Non mancano ragni grandi e pelosi, il ratto-talpa che procura disastri a non finire e al quale lo scrittore dedica un capitoletto divertentissimo, scorpioni neri e serpenti dagli intenti poco amichevoli e infine, compagni indiscussi del giardiniere provetto, gli utensili per alleviarne la fatica come la pala, il piccone, il falcetto e la mitica carriola che conserva il suo fascino perché “gli anni non hanno apportato grandi cambiamenti, l’hanno giusto perfezionata e, come ogni strumento di lavoro di vecchia data, ha un carattere, un equilibrio e una maturità che oltre a risultarmi utili mi procurano un gran piacere…” In queste pagine Shalev riflette sulla filosofia della lentezza e sulla pazienza di cui scrive “…non l’ho portata con me in giardino, è stato lui a darmela” e sui punti di somiglianza fra la scrittura e il giardinaggio. “In entrambi i casi i semi aspettano nella terra per anni e germogliano, se mai, solo dopo la pioggia giusta. Entrambi, se vengono bene, regalano bellezza, ma dietro questa bellezza c’è un sacco di lavoraccio monotono: diserbare, sradicare, setacciare, potare…”
Shalev osserva il suo giardino con la curiosità e lo stupore del bambino, ne percepisce i profumi, i rumori, i colori testimoni dello splendore del paesaggio israeliano con le sue piante storiche (il fico d’India, il melograno, l’ulivo), l’alternanza delle stagioni e la varietà del clima mediterraneo. Dal suo giardino spontaneo Shalev ricava non solo conoscenze, piacere e soddisfazione ma anche occasioni di pura felicità come i momenti della germinazione e della fioritura delle piante, il ritorno degli uccelli invernali o estivi, la comparsa delle foglie verdi della scilla, il canto delle api dalla quercia e dal ramno che lo sorprende e rallegra ogni volta. La lieve ironia che affiora tra le pagine, arricchite da racconti della tradizione ebraica, da numerosi riferimenti biblici e da un sapere antico, non cela la saggezza di un uomo che ha scelto di vivere in armonia con la natura rispettandone le creature. Questo affascinante itinerario nell’eden selvatico di Meir Shalev illustrato dai disegni dell’artista Refaella Shir, sorella dell’autore, si chiude con un nuovo albero di limone dalle radici ben piantate nel suolo quasi a protezione del giardino stesso e con la presenza di una nipotina che, nata in una terra antica, simboleggia il futuro e il legame dell’uomo con la natura e la madre terra perché ricorda Shalev “un bambino deve prendere parte alla piantumazione di un albero, così da crescerlo, crescerci accanto e in seguito saperlo fare da sé”.
Giorgia Greco