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Italia Oggi Rassegna Stampa
01.03.2022 I 'fatti d'Ungheria'
Da 'Mangia ananas, mastica fagiani', di Diego Gabutti

Testata: Italia Oggi
Data: 01 marzo 2022
Pagina: 1
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «I 'fatti d'Ungheria'»
I 'fatti d'Ungheria'
Da 'Mangia ananas, mastica fagiani', di Diego Gabutti

(da Italia Oggi)

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Diego Gabutti

Mangia ananas, mastica fagiani. Vol. 2: Dai Processi di Mosca al «disgelo» e  a Pol Pot. - Diego Gabutti - Libro - WriteUp - | IBS
Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani, vol. 2. Dai Processi di Mosca al disgelo e a Pol Pot, WriteUp, Roma 2022

Due giorni prima c’era stato un incidente in una birreria di Pest. Gli studenti che la frequentavano, nel veder entrare due agenti della polizia segreta insieme a due ufficiali russi, imposero all’orchestra di intonare l’inno di Kossuth, l’eroe nazionale magiaro, di cui il regime comunista ha cancellato il nome dai testi di storia. E lo ripresero in coro, fissando con aria provocatoria i nuovi arrivati. Uno di costoro, subito dopo, chiese che venisse intonato l’inno sovietico. Gli studenti vietarono ai suonatori di eseguirlo. I due ufficiali russi pagarono e uscirono dal locale. Gli agenti rimasero e gli studenti presero a beffeggiarli, chiedendo loro come mai non accompagnassero a casa i loro cari «compagni» e che cosa avrebbe detto la mamma nel vederli rientrare soli. Dopo uno scambio di contumelie, i due agenti vennero cacciati fuori a schiaffi e pedate. L’indomani, la saracinesca della birreria rimase abbassata, e dei proprietari non si riuscì ad avere altra notizia, se non che erano stati arrestati durante la notte.
Indro Montanelli, La sublime pazzia della rivolta

Sulla caserma era issata una grande bandiera ungherese. Ma era una bandiera come non ne avevo mai viste in vita mia. Nel punto in cui di solito era posto l’emblema della Democrazia popolare [...] era stato fatto un buco. Gli allievi ufficiali avevano ritagliato lo stemma con un paio di forbici. La bandiera era stata trasformata in un tricolore nazionale rosso bianco e verde.
Sándor Kopácsi, Abbiamo quaranta fucili, compagno colonnello

«Svelto. È urgente. Ti vuole Togliatti». […] Chiamai la Direzione del partito alle Botteghe Oscure dal telefono dietro la porta di sinistra che immette nell’aula di Montecitorio. «Cerca Pajetta. Ingrao è lì? Convoca il Direttivo» mi avvertì Togliatti. Poi, dopo una pausa, senz’attendere risposta, precisò: «Sono entrati a Budapest.» «Accidenti, la NATO!» mi scappò detto. «Quale NATO! Sono i nostri. Li comanda il generale d’armata Lascenko» tagliò corto Togliatti e troncò bruscamente la telefonata.
Massimo Caprara, L’inchiostro verde di Togliatti

Al mattino uscii in strada, dove un gruppo di uomini costruiva tetramente una barricata anticarro davanti all’ingresso dell’hotel e mi offrii di dare una mano. Intorno a noi, i rumori della battaglia si facevano più forti, l’artiglieria cedeva il passo alle esplosioni di armi da fuoco di piccolo calibro e delle bombe a mano, mentre la radio ungherese invitava i cittadini di Budapest a resistere agli invasori o a deporre le armi sotto pena di morte, a seconda della stazione che si ascoltava. Un gruppo di ragazze e giovanotti sedeva per terra intento a fabbricare bottiglie Molotov con le bottiglie vuote del bar e scomparvero perfino le code davanti alle panetterie.
Michael Korda, Vite stregate

E qui si pone la domanda: dov’erano le armi e chi le procurò? Sappiamo soltanto d’un colonnello della Honvéd [l’esercito ungherese] che, quando il figlio studente si presentò a chiederle con un gruppo di compagni, dopo un attimo di esitazione, gliele diede.
Indro Montanelli, La sublime pazzia della rivolta

Torniamo all’ostello degli studenti lungo strade ingombre di macerie. Non troviamo nulla da mangiare. Decidiamo di installare la trasmittente nella stazione della metropolitana di piazza Szena. […]Intercettiamo un messaggio di un’altra trasmittente da Pest che raccomanda agli studenti di non deporre le armi. La polizia segreta ha giustiziato sedici giovani nel nono distretto e ha abbandonato i loro corpi in mezzo alla strada. Due giorni dopo vengo a sapere da altri studenti che molti combattenti sono riusciti a salvarsi fuggendo attraverso gallerie segrete.
Laszlo Beke, Il diario d’uno studente

Budapest, nel tardo pomeriggio, era una vista deprimente. Erano stati formati dei blocchi stradali sorvegliati da civili armati che si stavano facendo una meritata fama d’avere il grilletto facile. Nei parchi e nelle piazze alla periferia della città le artiglierie sovietiche facevano fuoco di tanto in tanto nelle tenebre che si addensavano. Mentre percorrevamo la strada che scendeva al Danubio, potevamo scorgere i segni d’una furiosa battaglia, carri armati in fiamme, tram capovolti, pezzi di artiglieria da campagna smembrati, alcune case qua e là ridotte a rovine fumanti. Quanto più ci avvicinavamo ai ponti sul Danubio, tanto più aumentava il numero dei cadaveri, per lo più deposti ordinatamente sui marciapiedi, un pezzo di carta scura sul viso, già spruzzato da uno spesso strato di fango. Era facile individuare quelli degli ungheresi, poiché indossavano scarpe borghesi e avevano un mazzolino di fiori vicino. I cadaveri dei russi indossavano pesanti scarpe chiodate da fanteria e non avevano fiori accanto.
Michael Korda, Vite stregate

Lo pseudocomunista, il kulak e traditore Imre Nagy, camuffato con la maschera del comunismo, divenne il portabandiera del titismo e della lotta contro Rakosi [segretario generale del Pc ungherese fino al 1956, si definiva «il miglior allievo di Stalin»]. Quest’ultimo, avvedutosi del pericolo che minacciava il partito e il paese, aveva preso misure contro Imre Nagy, cacciandolo dal partito verso la fine del 1955. Ma era troppo tardi. Il ragno della controrivoluzione aveva impigliato nella sua rete l’Ungheria e questa era in procinto di perdere la partita. [...] Il Circolo Petőfi divenne il centro della reazione. Si pretendeva che fosse un circolo culturale dell’Unione della Gioventù, ma in realtà si trattava d’un covo dove gli intellettuali reazionari non solo parlavano contro il socialismo e la dittatura del proletariato, ma anche si preparavano ad avanzare con arroganza le loro richieste al partito e al governo.
Enver Hoxha, I kruscioviani

[Era tutto finito.] Gli insorti che difendevano la barricata ormai vuotavano le bottiglie prima di trasformarle in bombe Molotov. Che fosse per questo o perché avevano terminato le munizioni, la barricata a un certo punto crollò e ci ritirammo; chi intendeva continuare a combattere teneva le armi, chi non intendeva farlo le abbandonava nelle cabine telefoniche. […] Fuggimmo per le strade, correndo di porta in porta, fino alla legazione britannica, sventolammo i nostri passaporti sotto il naso del maestoso portiere e salimmo al piano di sopra dove ci aspettava una tazza di tè.
Michael Korda, Vite stregate

Come affermai una volta in un comizio di partito, ripagammo all’Ungheria un debito che incombeva su di noi fin dal 1848. In quell’anno a Budapest ci fu una rivoluzione vittoriosa, ma Nicola I fece intervenire le sue legioni, schiacciò la rivoluzione e contribuì a restaurare nel paese la dominazione austriaca. Fu un atto vergognoso. Naturalmente quella nera azione fu commessa da Nicola I e da coloro che lo circondavano; l’onta non contagiò la classe operaia e i contadini dell’ex impero russo. Ciò nonostante il nostro paese aveva un debito storico col popolo ungherese. Nel 1956 l’abbiamo finalmente pagato. Adesso siamo pari.
Nikita S. Chruščëv, Chruščëv ricorda

italiaoggi@class.it

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