Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/02/2022, a pag. 1, con il titolo "Salvini stregato da Mosca" il commento di Sebastiano Messina.
Matteo Salvini con Vladimir Putin
Salvini rompe il fronte italiano e avverte Draghi: non voglio che siano inviate «armi letali» all’Ucraina, «e comunque non in mio nome». Ricordando le teatrali scenate del capo leghista sul lockdown, sulle mascherine, sui vaccini e sul Green Pass, nessuno oggi si stupisce davvero. Conosciamo il personaggio. Sappiamo anche come vanno a finire i suoi ultimatum. Ma quella di ieri non è una delle tante mosse acchiappavoti di un leader nazionalpopulista. È una scelta di campo, in quello che Ursula von der Leyen ha giustamente definito «un momento spartiacque» per il mondo libero. Ed è, purtroppo, la scelta sbagliata. Che fino a ieri Salvini sia stato - dopo Berlusconi - il più fedele e appassionato sostenitore di Vladimir Putin in Italia, lo ricordiamo tutti. Non abbiamo dimenticato i suoi viaggi della speranza a Mosca, le sue sperticate lodi all’amico russo («Scambierei due Mattarella con mezzo Putin», «Preferisco Putin all’Europa», «Con Putin in Italia staremmo meglio», eccetera), la sua imbarazzante resistenza alle sanzioni dopo l’invasione («Sono l’ultima delle soluzioni») e la sua difesa d’ufficio della Russia contro l’esclusione dal sistema Swift, perché «rischiamo di lasciare milioni di italiani al freddo e al buio». Ma oggi, con il suo no a ogni aiuto concreto a un Paese che rischia di essere schiacciato da un invasore terribilmente più forte, il segretario della Lega rivela di non essere un leader affidabile nella difesa dei due valori sacri per l’Occidente, la libertà e la democrazia, e perde sulla scena internazionale la sua residua credibilità di aspirante premier.
L’invasione russa di una nazione sovrana è infatti, come ha detto Mario Draghi dopo il vertice Nato di venerdì, «la più grave minaccia alla sicurezza euro-atlantica da decenni e soprattutto alla nostra democrazia e alla nostra libertà». Una provocazione così inquietante da convincere all’invio di lanciarazzi anticarro e missili antiaerei la Francia di Macron e la Germania del socialdemocratico Scholz, e poi l’Olanda, il Belgio, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e persino la Svezia, che non inviava armamenti a un Paese in guerra dal 1939, quando Stalin invase la Finlandia. L’Italia ha fatto la sua scelta.
«Siamo pronti a fare la nostra parte», ha detto Draghi al vertice Nato, informando il coraggioso presidente Zelensky che il nostro Paese fornirà all’Ucraina «assistenza per difendersi». E purtroppo in una guerra l’«assistenza» si può dare in un solo modo: con le armi. Ma ora Salvini dice che no, non bisogna inviare armamenti. I carri armati del suo amico Putin sono alle porte di Kiev, i missili piovono sulle case degli ucraini e lui il leader di uno dei maggiori partiti italiani - se la cava dicendo che «è fondamentale non smettere di pregare», anche se poi precisa con un’ambigua dichiarazione di avere «piena fiducia in Draghi per fermare con ogni intervento e aiuto necessario, l’aggressione russa». Ma questo è davvero «un momento spartiacque». Oggi il governo approverà il decreto legge sugli aiuti all’Ucraina: se i suoi ministri seguiranno Sal vini sulla sciagurata linea del no alle armi, la Lega porterà la responsabilità di una rottura non con Draghi ma con l’Europa e con l’Occidente. Una rottura che la porterà inequivocabilmente dalla parte sbagliata. E stavolta nessuno lo dimenticherà.
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