Su Putin, gli ebrei e il futuro del mondo
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Vladimir Putin
Ebrei e dittatori di solito non vanno d'accordo. La storia è piena di esempi di uomini forti che hanno odiato le comunità ebraiche che vivevano in mezzo a loro. Molti dei loro nomi vengono facilmente in mente, come ad esempio Hitler, Stalin e Mussolini, insieme con gli Assad, i Saddam Hussein ed i Gheddafi del Medio Oriente, ognuno dei quali considerava gli ebrei al centro di cospirazioni diaboliche contro le loro distopie totalitarie. Ma ancora più fondamentale, è il fatto che le società governate da politici poco trasparenti e irresponsabili si salvaguardano trovando nemici dove non esistono. Questo è un altro motivo per cui gli ebrei, immediatamente individuabili e praticamente impotenti, sono troppo facilmente presi di mira, sebbene anche altri gruppi minoritari si siano dimostrati vulnerabili a questa strategia. Tuttavia, non tutti i dittatori sono antisemiti o odiano gli ebrei. Probabilmente il primo dittatore moderno fu Oliver Cromwell, il “Lord Protettore” dell’Inghilterra, dopo il rovesciamento della monarchia degli Stuart durante la Guerra Civile Inglese del 17° secolo. Una volta al potere, il feroce anticattolico Cromwell invase l'Irlanda, compiendo orribili massacri di civili, mentre in patria istituì un'austera regola puritana che includeva il divieto di balli e delle celebrazioni natalizie.
Ma come protestante timorato di Dio che venerava la Bibbia ebraica, Cromwell fu ben disposto verso gli ebrei, invitando la comunità a tornare in Inghilterra quasi 400 anni dopo la sua espulsione per decreto del re Edoardo I. Il dittatore russo Vladimir Putin ha tutta la spietatezza di Cromwell - assieme alla spietatezza esibita da autocrati più contemporanei - ed ha un atteggiamento altrettanto benevolo nei confronti degli ebrei, nonostante abbia governato la nazione che ci ha dato le “zone di residenza” (si estendevano su quella superficie territoriale dell'Impero russo che oggi comprende l’Ucraina , senza la città di Kiev, la Bielorussia, parte delle province baltiche (Estonia esclusa) e la Novorussia. NdT), ci ha dato i Cento Neri (proprietari terrieri, ricchi contadini, burocrati , mercanti, funzionari di polizia e sacerdoti, che sostenevano i principi dell'ortodossia, dell'autocrazia e del nazionalismo russo. Particolarmente attivi dal 1906 al 1914, condussero incursioni, con l'approvazione ufficiosa del governo, contro vari gruppi rivoluzionari e pogrom contro gli ebrei, NdT), ci ha dato il falso storico dei “Protocolli dei Savi di Sion”, il “complotto dei medici” e numerosi altri episodi di odio violento e pericoloso per gli ebrei. Al contrario, invece di copiare quella strategia, Putin è andato nella direzione opposta, disapprovando ufficialmente l'antisemitismo mentre coltivava strette relazioni sia con Israele che con i leali leader ebrei in tutta la Russia. Ciò che colpisce è che questo approccio coesiste con la sua politica estera imperialista e aggressiva, simboleggiata dalla brutale invasione dell’Ucraina e dall’attivo utilizzo di stridule teorie del complotto occidentale, condizioni in cui normalmente prospera l’antisemitismo.
Ma come è nata questa situazione? A livello personale, Putin non è certamente influenzato dal fervore biblico che ha spinto Oliver Cromwell ad accogliere gli ebrei nella società inglese. Nel corso degli anni, sono emerse varie storie sull'influenza positiva degli ebrei con cui Putin ha stretto amicizia durante la sua carriera, insieme a teorie più stravaganti che sostengono che lui stesso sia ebreo, ma queste forniscono una comprensione molto limitata e tendenziosa del perché apparentemente lui considera gli ebrei con favore . Nell’ottobre del 2019, sulla rivista accademica “Antisemitism Studies” , viene pubblicato questo articolo: “Teorie anti-ebraica di cospirazione nella Russia di Putin”, che offre numerosi spunti interessanti sulla trasformazione di quella che i russi chiamavano la loro “politica ebraica.” Il suo autore, Ilya Yablokov ha scritto: “Sotto l'attuale regime politico, diffondere teorie del complotto antisemita è fuori moda.” Esaminando i tre decenni che seguirono alla dissoluzione dell'URSS nel 1991, Yablokov giunse a una constatazione critica. Durante gli anni '90, quando la Russia era in caduta libera dal punto di vista economico ma la democrazia liberale sembrava essere in ascesa, erano diffusi sia il discorso antisemita che i crimini d'odio contro gli ebrei. Invece all'inizio degli anni 2000, con Putin già insediato e il governo autoritario in crescita, l'invettiva antisemita dei vari neopagani, ultranazionalisti e comunisti di cui era pieno il decennio precedente è stata sostituita da uno spostamento verso teorie del complotto incentrate sull'Occidente.
Nel giro di 20 anni, ha scritto Yablokov, “le teorie anti-occidentali del complotto erano un tropo popolare usato per spiegare gli eventi sia in Russia che nel mondo, per giustificare l'azione contro l'opposizione politica e per scaricare la colpa delle politiche impopolari del Cremlino.” L'utilità politica di attaccare ossessivamente l'Occidente insieme all'impegno del Cremlino, come dice Yablokov, di “preservare l'immagine della Russia come nazione che ha a cuore il suo carattere multietnico”, rende inutile qualsiasi necessità di antisemitismo come strumento di mobilitazione nell'era di Putin. Come sostiene Yablokov, ciò equivale a una delle”rare buone notizie dalla Russia.” Eppure non ne consegue che gli ebrei (a meno che non risiedano in Russia) debbano essere nei loro atteggiamenti verso Putin neutrali o timidamente positivi. Dopo la sconfitta della Germania nazista nel 1945, gli ebrei godettero finalmente di una prosperità senza precedenti, consolidata dall'istituzione di uno Stato democratico ebraico e dalla convinta partecipazione delle comunità ebraiche della diaspora alla vita politica, culturale e commerciale dei loro Paesi. Una tale prosperità era - e rimane - possibile solo nell'ambito di democrazie liberali come gli Stati Uniti e l'Europa Occidentale per una buona ragione. La democrazia liberale consente agli ebrei di organizzarsi come comunità e di parlare senza timori, senza il bisogno di un protettore autoritario che li tiranneggi. Invece, quel che gli oltre 200.000 ebrei che vivono in Russia hanno in Putin, è proprio un protettore. Per questo motivo, la loro posizione è molto più precaria della nostra in America. Come sottolinea Yablokov, anche se l'antisemitismo in Russia è passato in secondo piano sotto Putin, esso è ancora presente e se fa comodo in alcune condizioni, potrebbe essere evocato. Inoltre, Putin ha già la brutta abitudine di citare il nazismo e la Shoah per giustificare la sua aggressione contro l'Ucraina, e ha cinicamente sottolineato lo storico antisemitismo in Ucraina per rafforzare la sua campagna di delegittimazione nei confronti del suo vicino. Quella retorica si intensificherà sicuramente e qualsiasi disagio ebraico per l'appropriazione della Shoah da parte di Putin per la sua strategia di guerra, non sarà considerato con simpatia al Cremlino.
Come ebrei che vivono in Occidente, dobbiamo a noi stessi e ai nostri concittadini opporci al progetto imperialistico di Putin con ogni fibra del nostro essere. Questa è un'occasione in cui non possiamo guardare a Israele come guida, perché lo Stato ebraico ha i suoi interessi da bilanciare con i russi; la dura realpolitik che ha spesso caratterizzato la politica estera israeliana non è meno appropriata in questo scenario, dopotutto. Le comunità della diaspora invece conoscono bene i benefici dell'ordine democratico liberale che la Russia e il suo alleato cinese si stanno impegnando a distruggere. Quando entriamo in una nuova fase di grande conflitto di potere, dobbiamo fare tesoro di questa consapevolezza sia nel cuore che nella mente, e agire di conseguenza.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate