Testata: La Repubblica Data: 22 febbraio 2022 Pagina: 2 Autore: Paolo Brera Titolo: «Putin riconosce il Donbass. Nella notte le sue truppe entrano in territorio ucraino»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/02/2022, a pag. 2, con il titolo "Putin riconosce il Donbass. Nella notte le sue truppe entrano in territorio ucraino", l'analisi di Paolo Brera.
Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il riconoscimento delle “Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk”, e ha ordinato l’ingresso di forze armate russe nel Donbas occupato per «un’operazione di mantenimento della pace» che è di fatto «un’invasione nei confini ucraini », denuncia l’Onu. Segnalati nella notte movimenti di truppe. Putin ha firmato dopo un lungo discorso infarcito di retorica e manipolazioni storiche in diretta tv tra le boiserie del Cremlino: da Stalin a Lenin, dal «governo ucraino fantoccio dell’Occidente » all’allargamento Nato con «missili nucleari che colpirebbero Mosca in 30 secondi». Dopo settimane di arrocco militare al confine, dunque, il presidente russo ha rotto gli indugi: «I Territori occupati » dai «terroristi filorussi» e «dalle Forze armate della Federazione Russa», come il governo di Kiev chiama il moncone del Donbass amputato nel 2014 dopo la rivoluzione del Majdan, per la Russia diventano due entità politiche indipendenti da Kiev. E protette da Mosca: «Ogni aggressione militare deve cessare immediatamente: non possiamo continuare a sopportare questo continuo spargimento di sangue», ha detto Putin prima di firmare l’atto formale del riconoscimento. «Troveranno o costruiranno il modo di imporci sanzioni, tanto ce le avrebbero imposte comunque», ha detto riconoscendo il peso di questa decisione presa dopo giorni di tensione crescente nel Donbass.
Joe Biden, Vladimir Putin
Una mossa che seppellisce il trattato di Minsk e i negoziati del formato Normandia, e rende ancora più stretta la via per scongiurare l’invasione russa e la guerra in Ucraina. Dura la reazione del presidente ucraino Volodymir Zelensky: “Non abbiamo paura di niente e di nessuno, gli ucraini non cederanno un solo pezzo del Paese. I confini riconosciuti a livello internazionale rimarranno tali”. La decisione finale di riconoscere le due Repubbliche popolari è arrivata al termine di una giornata convulsa, iniziata con uno spiraglio diplomatico per il possibile incontro tra Putin e il presidente Usa, Joe Biden. Giovedì i ministri degli Esteri Sergej Lavrov e Antony Blinken lo avrebbero dovuto preparare. Ma il clima è subito degradato: i russi hanno denunciato sconfinamenti di sabotatori ucraini in territorio russo e la «distruzione di un check point 150 metri all’interno della Russia a Rostov». Accuse che Kiev aveva respinto bollandole come «fake news» mentre bombardamenti più intensi del solito costavano la vita di due soldati, un miliziano e due civili uccisi tra i due lati del fronte, secondo informazioni sempre più difficili da verificare. Dopo giorni di provocazioni, Putin nel pomeriggio aveva diretto un inedito Consiglio di sicurezza nazionale in diretta tv, navigando a vista tra falchi e colombe chiamati a riferire: colombe come il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, che avrebbe dovuto fare da sherpa con Blinken all’incontro tra i presidenti; come il capo dei Servizi esterni Sergej Naryshkin e il segretario del Consiglio di sicureza Nikolaj Patrushev. Ma quando Naryshkin ha di fatto proposto di dare un’ultima possibilità all’Occidente, Putin lo ha gelato: «Cosa vuoi dire, esattamente?». Non era quella la linea del presidente. Putin ha ribadito di non aver ricevuto le garanzie di sicurezza chieste all’Occidente, e ha affossato gli accordi di Minsk. Così ha vinto la linea dei falchi come il capo del Fsb, Aleksandr Partnikov. E ora? Secondo le intelligence occidentali, la Russia ha 50 battaglioni pronti a entrare nel Donbass. Una richiesta d’aiuto dai leader delle Repubbliche popolari potrebbe scatenare l’invasione. Il disegno di Putin, annunciato l’anno scorso quando sostenne che Russia e Ucraina sono un solo popolo e un sola nazione, fa un balzo avanti e abbraccia il sogno di ricostruire la Rus’ di Jaroslav il Saggio, il re venerato dai due popoli. Ma la guerra è più vicina? «Non in forma di invasione», dice Maksak, direttore del think tank Prisma: «Il suo discorso che decreta la morte degli accordi di Minsk serve a preparare i russi a inevitabili sanzioni. E ci dobbiamo aspettare più provocazioni nel Donbass».
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