Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/02/2022, a pag. 10, con il titolo "In fuga dalle trincee bombardate dai ribelli: 'Qui siamo già in guerra' ", l'analisi di Paolo Brera.
Ti escono parolacce che non sapevi di conoscere, quando ti sparano addosso. Piovono pezzi d’artiglieria, si leva il fumo a sinistra, ecco un boato a destra, «cavolo questo era proprio vicino ». La botta squassa la terra, la terra fa tremare le gambe e il tremore risale da qualche parte nel profondo dei polmoni. «Oggi ci è andata molto bene», dice il ministro degli Interni ucraino, Denis Monastirskij, quando finalmente mettiamo i piedi al sicuro nel quartier generale delle forze armate a Kramatorsk, a tre quarti d’ora di macchina dalla prima linea del Donbass. È andata bene anche alla gente di Novolugansk, un paese ucraino alla frontiera con la terra di nessuno, 1.500 anime sul confine della polveriera del Donbass.
È lì che il ministro era finito sotto tiro insieme a decine di giornalisti di tutto il mondo, accompagnati in prima linea a vedere lo scempio della steppa: otto anni di logorio al fronte, quasi 14mila morti, ieri gli ultimi due. Duemila violazioni del cessate il fuoco, ieri. Si sta ravvivando, il fuoco sotto alla pentola a pressione. Era già così vivo, ieri, che all’improvviso ha iniziato a scoppiettare. Metà pomeriggio. Nella terra rossa delle trincee del Donbass, le foglie finte svolazzano appese ai fili per mimetizzare il tetto che non c’è. I pulmini sono parcheggiati alla fine della strada. «Da qui si va a piedi». La carcassa di un vecchio pickup arrugginito, quella più recente di un camioncino morto in un letto di voragini scavate nell’asfalto. Sulla terra fresca, il peso degli elmetti e dei giubbotti antiproiettile ti affonda nella malta. Laggiù ecco una baracca, la casamatta. Dentro, il ministro degli interni fa un briefing coi soldati. Calma piatta, sole, non fa neppure freddo. «Ci vediamo poi a Kramatorsk per il punto stampa». I giornalisti entrano. C’è il soldato con le mimetiche appese ad asciugare, il fuoco acceso, carabattole di vita quotidiana; i disegni dei figli alla parete con le tigri e i lupi, e «bravo papà» che difendi la patria. Le trincee diventano un dedalo, ecco la finestra col treppiede e il periscopio per dare un’occhiata ai filorussi. Per terra un letto di bossoli. Trincee fresche in costruzione, i monitor sulle postazioni nemiche «non li potete riprendere», segreto militare.
C’è un soldato con la canna del fucile nella feritoia. Ma il colpo lo sparano verso di noi. Non fai in tempo a capire, «pare lontano dai», ma eccone un altro più forte, giù con la testa, su con il cuore che pare una mitraglietta. «Indietro, indietro!», urla un soldato. Si torna a testa bassa nella casamatta, altre esplosioni, altra adrenalina: «Purtroppo questi non vi servono con i colpi di mortaio», dice un soldato che non ha studiato psicologia indicando elmetti e giubbotti. Ordinano di uscire e correre a perdifiato, e maledetti elmetto e corpetto che non serviranno ma quanto diavolo pesano. Fuori, il ministro si è preso il bombardamento «a poche decine di metri», prima di raggiungere le auto. «Giù, a terra», su e correre, ancora «giù!», mostra un video. Sono i colpi che avevamo sentito, vicini, nelle tr incee. Altri arrivano mentre rifacciamo la strada all’indietro, «guarda il fumo lì sotto», sì ma senti che botto dall’altra parte. Ci voleva il coraggio di Ruslan, forse. Ha 9 anni, tiene al guinzaglio un lupo che pesa tre volte più di lui: «Ho sentito le esplosioni stamattina ma mica mi fanno paura. Era dall’estate scorsa che ci lasciavano in pace: vabbè abbiamo da mangiare, e la maestra ha detto che possiamo stare molto tranquilli». È per questi attacchi piovuti dal cielo ieri mattina che, nel pomeriggio, avevano scelto di portare la stampa qui a Novolugansk, sulle rive del Luhan che si apre in un lago. Il capitano “Vitamin” mostra strani oggetti di metallo sporchi di terra «di produzione russa», sembrano giocattoli. Sono ogive, invece. «Colpi proibiti — dice — questo lo abbiano raccolto qui il 17, è di mortaio, 120 millimetri, artiglieria pesante vietata da Minsk. Quest’altro del 18 è un missile anticarro telecomandato. Sparano a dieci chilometri dal fronte». Ruslan e Olena ci vivono, sotto questa minaccia dal cielo. «Eravamo 4mila — dice Olena — e siamo rimasti 1.500: chi se ne voleva andare lo ha fatto, noi speriamo la smettano». Ma l’aria che tira è un’altra, la tensione è alle stelle e qualcuno cerca il pretesto. Un consulente del ministero degli Interni posta sui social: «I giornalisti hanno potuto vedere coi propri occhi chi stava preparando un attacco alla pacifica Ucraina». Ma la propaganda incrociata è così violenta, in questi giorni difficili, che non si crede più a nessuno.
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