Afghanistan tra Isis e Al Qaeda Commento di Stefano Pontecorvo
Testata: La Repubblica Data: 19 febbraio 2022 Pagina: 21 Autore: Stefano Pontecorvo Titolo: «Il ritorno di Isis e Al-Qaeda»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/02/2022, a pag.29, con il titolo "Il ritorno di Isis e Al-Qaeda", il commento di Stefano Pontecorvo.
Stefano Pontecorvo
Mentre l’attenzione mondiale è rivolta all’Ucraina e alle ricadute della pandemia, quella di buona parte della comunità d’intelligence resta concentrata sull’Afghanistan e sugli sviluppi nel Paese. Sotto osservazione sono i gruppi terroristici che sembrano aver trovato nuova vita nell’Emirato, Isis e Al-Qaeda in testa. La valutazione data dal Dipartimento della Difesa americano e riecheggiata dall’Onu (significativamente, da funzionari russi e cinesi dell’Organizzazione) è di una rivitalizzazione dell’Isis che, nei sei mesi dalla uscita occidentale dal Paese, ha raddoppiato i propri aderenti arrivando a circa quattromila terroristi, mentre più sfumato nei numeri ma altrettanto significativo è il rafforzamento di Al-Qaeda. Entrambe approfittano della relativa debolezza del movimento talebano non in grado di controllare il territorio afghano nonostante il notevole sforzo che esso sta mettendo nel ricostruire una parvenza di esercito e di polizia. Le situazioni in cui si trovano le due organizzazioni terroristiche sono peraltro radicalmente diverse. Al-Qaeda ha legami organici con i talebani, specie con gli Haqqani (i talebani dell’Est) che ne facilitano l’esistenza in cambio dell’assicurazione che il gruppo terrà un basso profilo nel Paese, mentre Isis è in una guerra cruenta con i nuovi padroni di Kabul essendosi stabilito in pianta stabile in alcune regioni orientali dell’Afghanistan. Isis ed Al-Qaeda sono per ora impegnate a rafforzarsi e riorganizzarsi al meglio, sfruttando la relativa libertà di manovra offerta dalle deteriorate condizioni interne ed attingendo al notevole serbatoio di giovani afghani marginalizzati, in costante crescita data la mancanza di prospettive economiche. Fonti interne all’Afghanistan confermano che le file dell’Isis si stanno gonfiando anche grazie agli ex appartenenti alle forze di sicurezza afghane (con le ex-forze speciali in prima linea) ai quali i talebani, nonostante le smentite quotidiane, stanno dando la caccia. Senza possibilità di lasciare il Paese né protezione di altro tipo Isis sembra essere l’approdo più sicuro per un numero crescente di ex militari e di ex funzionari dell’intelligence afghana, braccati e senza stipendio da mesi. Si tratta di gente che, tra l’altro, ci conosce bene per essere stata addestrata da noi, spesso all’estero, ed avrebbe quindi un’arma in più nelle conoscenze acquisite sul funzionamento del sistema occidentale. Nessuno si illude che la riorganizzazione in atto, favorita da disponibilità finanziarie derivanti da attività criminali e da accresciute donazioni esterne, sia fine a sé stessa; anzi, una volta rafforzate, Isis ed Al-Qaeda rivolgeranno l’attenzione ad obiettivi occidentali in giro per il mondo, nessun bersaglio escluso. Forse non nelle prossime settimane, ma la minaccia è seria e prossima. Nel frattempo, si muove anche il fronte politico e militare interno, con qualche notevole rientro a Kabul di esponenti del vecchio regime, tra cui un paio di personalità particolarmente vicine all’ex presidente Ghani il quale, si dice, vorrebbe farsi passare la nostalgia e la depressione di cui sembra soffrire lasciando la sua attuale dimora a Dubai per tornare a Kabul. Talebani permettendo naturalmente. Nonostante le voci che circolano nella capitale afghana, non mi sembra una ipotesi verosimile. A tener banco è comunque il giovane Massoud, figlio del “Leone del Panshjir”, il quale il 10 gennaio ha incontrato a Teheran, assieme al settantaseienne signore della guerra tagiko Ismail Khan ed altri transfughi afghani il ministro degli Esteri dell’Emirato talebano Mullah Muttaqi. La riconciliazione nazionale è uno degli obiettivi tattici, ma apparentemente poco sentiti, della dirigenza talebana che non sembra disposta a pagarne il prezzo sotto forma di un governo realmente inclusivo. A sei mesi dalla presa di Kabul l’emiro talebano, Akhunzada, non è mai apparso in pubblico, segno di perduranti frizioni all’interno della composita dirigenza talebana non ancora in grado di prendere decisioni unitarie su questioni fondamentali come quella di un governo che apra a non-talebani. Massoud e gli altri non pashtun non si fidano, e fanno bene visti i precedenti. E fanno bene anche i talebani a preoccuparsi di Massoud e dei suoi, che con il loro Fronte Nazionale della Resistenza, formato poche settimane dopo la caduta di Kabul, minaccia di avviare una “offensiva di primavera” per riprendersi una parte del Panshjir, dando del filo da torcere ai talebani che si ritroverebbero presi in mezzo tra Isis da un lato e Fronte Nazionale dall’altro. Girano sui social media afghani filmati che mostrano combattenti panshjiri ben armati ed equipaggiati, anch’essi rafforzati da militari delle ex forze regolari che si erano uniti al Fronte all’indomani della caduta di Kabul. Nulla di tutto ciò rischia di far cadere militarmente l’emirato, ma insuccessi anche parziali intaccherebbero la solidità e la percezione pubblica di un movimento già in oggettiva difficoltà per la situazione economica nella quale si trova il Paese ed il diffuso malcontento di una popolazione tenuta a freno dal timore di rappresaglie. Le prossime settimane ci diranno se il Fronte è pronto ad intraprendere una significativa offensiva militare anti-talebana come sostengono alcuni dei suoi aderenti. Accanto alla crisi umanitaria che ha colpito il Paese e al dibattito sulle restrizioni imposte alla popolazione femminile, molto altro si muove in Afghanistan. Ciò che sta avvenendo era largamente prevedibile e previsto. Percepire il lontano Afghanistan attraverso il solo prisma umanitario e sociale sarebbe un altro errore.
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