Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi, 19/02/2022, a pag.5, con il titolo "Gli ebrei vennero saccheggiati", la recensione di Cesare Maffi.
La copertina (Il Mulino ed.)
Se uno stereotipo sugli ebrei permane attraverso i secoli, esso riguarda la ricchezza. L'ebreo è rappresentato quale uomo stracolmo di denaro, se proprio non ridonante almeno benestante, inoltre è effigiato con alcuni tratti fisici sarcasticamente deformati. La realtà ridimensiona sovente questo preconcetto. Basta leggere queste poche righe di preteso benessere ebraico: «Due paia di calze usate, un bidè, una maglia di lana fuori uso, un paio di ciabatte usate, un paio di pattini a rotelle, una cinghia per pantaloni rotta, una forma per pasticcini, una caffettiera in alluminio, un cappottino per bambino...» Sono righe pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale d'Italia, negli anni della Repubblica sociale, attestanti beni (si fa per dire) confiscati a ebrei. Soltanto dopo ripetute pubblicazioni di simili miserevoli notizie, indice di povertà e non di benessere, a Salò si capì quanto negativo fosse diffondere tali notizie. Per chiarire non pochi eventi, ma altresì costumi, provocati dall'avvento della legislazione discriminatrice in Italia nel 1938, giunge il volume della contemporaneista Ilaria Pavan Le conseguenze economiche delle leggi razziali, pubblicato dal Mulino.
Contro il diffuso sentire della contrarietà, o almeno dell'indifferenza, espressa dalla popolazione italiana verso le disposizioni che emarginavano gli ebrei (per giungere, col manifesto di Verona del Partito fascista repubblicano, alla loro connotazione quale «nazionalità nemica»), emerge l'esteriore ossequio a norme che potevano giungere aberranti rispetto al sentimento di eguaglianza fra i cittadini, per gli ebrei introdotto già da Carlo Alberto. Richiedono meditazione alcuni sgradevoli affreschi: «Da parte dell'apparato statale, tanto centrale che locale, non sembrò manifestarsi alcun cedimento nell'applicazione solerte e rigorosa della legislazione antiebraica» e «centinaia di carte e documenti esaminati non riportano nessuna voce, neppure sommessa, di dissenso o solo di dubbio o esitazione». C'è di peggio, perché si documenta più di un «segno indelebile della miseria morale di chi sequestrava e arraffava». Quando si liberava un posto per allontanamento di un ebreo, era ordinariamente sostituito senza che chi sfruttava l'altrui disgrazia si ponesse alcuna riflessione etica. Difatti destò stupore la rinuncia di Massimo Bontempelli alla prestigio- sa cattedra fiorentina di letteratura italiana, già retta da uno studioso ineguagliabile quale Attilio Momigliano: un giudeo, per dirla con un termine sprezzante e corrente. All'impoverimento ebraico non corrispose un pieno ristoro successivo, non giunse un totale ritorno alle precedenti condizioni professionali, economiche, di vita. Non è un caso che molti ebrei non tornassero in Italia, aderendo invece, per esempio, al sionismo e stabilendosi quindi nella neonata Israele. Il commento è amaro: «Troppi morti, troppi sopravvissuti emigrati senza voler più aver niente a che fare con la vecchia patria che li aveva traditi, troppi eredi sovrastati dalle difficoltà burocratiche e troppi altri che non avevano manco l'idea di essere eredi». Talvolta non furono sufficienti decenni, addirittura ben più di mezzo secolo, per recuperare depositi bancari: «Finì com'era scritto che finisse: quanti cercarono d'avere giustizia furono nella maggioranza dei casi inevitabilmente sconfitti». Si potrebbe in sintesi asserire che all'impoverimento causato dallo Stato agli ebrei corrispose un arricchimento degli «ariani». Non che mancassero esempi, anche insigni, per l'impegno di persone e famiglie in favore degli emarginati, in ultimo dei perseguitati. Accanto a questa minoranza, e a un'altra di profittatori disposti alla delazione, si potrebbe sostenere quel che Renzo de Felice annotava sull'atteggiamento degli italiani nell'ultima fase della guerra: dominava la zona grigia, che non stava né di qua né di là, ma (guardando l'aspetto bellico) odiava chiunque causasse la prosecuzione di un conflitto odiato. Si comprende così perché il regime riuscisse a imporre, già prima della guerra, espropri di molti beni, perdite d'impieghi, espulsioni di professionisti, promuovendo altresì confische dopo l'8 settembre. Gli archivi rimandano infine a episodi di saccheggio e interessenza addebitabili a qualche gerarca.
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