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La Repubblica Rassegna Stampa
12.02.2022 Viaggio a Timbuctu: la jihad del deserto
Analisi di Pietro Del Re

Testata: La Repubblica
Data: 12 febbraio 2022
Pagina: 13
Autore: Pietro Del Re
Titolo: «Viaggio a Timbuctu la città impenetrabile circondata dalla Jihad»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/02/2022, a pag. 13, con il titolo "Viaggio a Timbuctu la città impenetrabile circondata dalla Jihad", la cronaca di Pietro Del Re.

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Pietro Del Re

Timbuctù - Wikipedia

La sola traccia dei mercenari di Mosca in città è una bandiera russa issata di recente in cima a una bettola che vende carne di capra. E, salvo il corpo dilaniato da un ordigno che mostra in rete un video islamista, nessuno li ha ancora visti i paramilitari vicini al Cremlino del gruppo Wagner sbarcati il mese scorso a Timbuctu. Non li hanno incrociati neanche i caschi blu della missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) che giorno e notte pattugliano a bordo dei loro blindati bianchi questa regione assediata dai tagliagole di Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Eppure, i miliziani di Mosca si sono acquartierati proprio accanto ai soldati Onu, nella base militare abbandonata dai francesi l’autunno scorso, dopo la decisione del presidente Macron di dimezzare il contingente dell’Operazione Barkhane. «Le poche decine di russi appena approdate mantengono ancora un profilo basso. Al momento, la loro è soltanto una presenza simbolica. Ma domani potrebbero arrivarne a centinaia, come a Bamako o Mopti. Dopo la Libia e il Centrafrica, Putin sta piantando una bandierina anche nel deserto del Sahel», dice Almoustapha Konate, direttore del Centre Culturel di Timbuctu e autore di saggi sulla storia millenaria della sua città, dichiarata patrimonio dell’umanità dell’Unesco per le sue antiche moschee. Tra i vicoli malconci e polverosi del centro, dove soffia un vento caldo che tutto disidrata, non si percepisce il cambio degli equilibri geopolitici che rischia di stravolgere l’intera regione: con Parigi pronta a lasciare il Mali e a trasferirsi nel vicino Niger da dove proseguire la sua guerra contro gli islamisti; e con Mosca e Pechino che intendono occuparne il posto, sia pure con altri mezzi e soprattutto con tutt’altre priorità. L’ultima delle quali è ovviamente il tentativo di arginare i sempre più nutriti flussi migratori dall’Africa sub-sahariana verso il Mediterraneo.

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L’attuale compresenza sul terreno di forze internazionali crea non poche difficoltà. Infatti, i soldati russi già operano al fianco dell’esercito maliano, soprattutto nelle zone dove i fondamentalisti sono più aggressivi. Ci sono poi i seicento uomini della task force europea Takuba e i duemilacinquecento soldati francesi della Barkhane, che pure combattono al fianco delle forze di Bamako e che continuano a compiere attacchi mirati con i droni contro i capi delle fazioni islamiste. C’è infine la Minusma che con truppe di Paesi poveri, spesso male addestrate, cerca come può di stabilizzare le zone dov’è presente. «Fatto sta che da quando sono arrivati i mercenari della Wagner siamo diventati una sorta di Far West delle relazioni internazionali », aggiunge Konate. Irritati dall’arrivo dei russi, i francesi hanno cominciato a spiarli sorvolando le loro basi. Il che ha provocato l’ira del governo di Bamako che il 14 gennaio scorso ha deciso di espellere l’ambasciatore di Parigi. Immediata la risposta del Quai d’Orsay, con il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, che ha definito «illegittima» la giunta di Bamako. Lunedì il primo ministro Choguel Maïga ha quindi accusato i legionari che prestano servizio in seno all’operazione Barkhane di essere «i veri mercenari». Peggio ancora, il premier maliano ha poi dichiarato che l’intervento militare francese iniziato nel 2013 per fermare l’offensiva jihadista s’è rivelata «un’operazione divisiva del Paese, perché ha permesso di creare un santuario dove i terroristi hanno potuto organizzarsi ». Ma secondo Aboubacrine Cissé, erudito locale e custode di una biblioteca che ospita alcuni dei preziosi manoscritti di Timbuctu, è un altro il problema che sovrasta questa querelle diplomatica dall’esito ancora incerto.

«Mentre i potenti litigano tra loro, in Mali hanno stravinto gli islamisti. Il che spiega perché negli ultimi mesi siano diminuiti gli attentati. Salvo nella capitale Bamako e in poche altre città, sono loro che governano e non con le baionette inastate. Anche i jihadisti hanno imparato a manipolare un soft-power fatto di tribunali che assicurano una giustizia sommaria ma immediata, di campagne contro la corruzione e di piccoli sussidi per i più poveri. In realtà è quello che chiede la maggior parte dei maliani, per la quale molti islamisti non sono terroristi ma solo fratelli un po’ troppo bigotti, e comunque migliori dei rapaci generali dell’esercito di Bamako». Accade anche a Timbuctu dove, secondo Cissé, il governo ha stipulato un patto con i fondamentalisti per cui è tollerata la presenza di funzionari dello stato, di poliziotti e di militari nel centro della città. Ma soltanto lì. «A pochi chilometri è già territorio loro. Eppure, negli ultimi decenni, Timbuctu era stata contaminata dalla cultura occidentale nell’accezione migliore del termine, anche grazie a un turismo colto e rispettoso. Qui è venuto a cantare perfino Bono degli U2. Ma tre anni fa i jihadisti hanno dato fuoco a tutti i bar che vendevano birra. Poco dopo è stata incendiata anche l’unica discoteca della città. Nessuno ha protestato perché a tutti andava bene così». Quando gli chiediamo delle bambine cedute a dodici anni in cambio di una mucca, delle madrase che sostituiscono le scuole, dell’alto tasso di mutilazioni genitali femminili o di altre cruente derive di un esasperato modello patriarcale, Cissé imputa ogni colpa all’analfabetismo. «Al di fuori dei centri urbani, solo in pochi sanno leggere e scrivere. E nessuno parla arabo, compresi gli imam che leggono il Corano senza capire ciò che dicono ».

Dalle torri di avvistamento della base della Minusma lo sguardo si perde tra le colline del Sahara che qui è colonizzato da acacie e arbusti con spine taglienti come bisturi. I tartari di questo deserto sono ovviamente i miliziani delle bande jihadiste, nascosti chissà dove e che negli ultimi anni hanno bersagliato il campo con tre sanguinosi attacchi. Da allora, l’italiano Riccardo Maia, direttore di questa base che tra militari e civili conta 4000 uomini, è riuscito a sventare altri attentati cercando di costruire un’inespugnabile roccaforte grazie a un sofisticato sistema radar, a decine di telecamere per scrutare oltre le recinzioni e a centinaia di grossi container disposti uno a fianco all’altro lungo il suo perimetro. È qui che incontriamo Youba Traoré, ventinove anni, laureato in economia all’università di Bamako ed esperto contabile. Non ama i colonnelli della giunta ma condivide parte di ciò che rinfacciano ai francesi. «L’arroganza dei militari di Parigi e la loro totale mancanza di empatia nei confronti dei maliani è il probabile retaggio del loro passato coloniale», spiega il contabile. Il risultato è un vasto sentimento anti-francese, diventato ormai anche anti-europeo, che sta producendo un revisionismo culturale africano e un nuovo orgoglio identitario, contrario ai valori occidentali. «In altre parole, per meglio oppormi ai francesi sto con i jihadisti», dice ancora Traoré, il quale spiega in questa chiave anche i colpi di Stato in Mali e Burkina Faso. «I militari di Bamako e Ouagadougou hanno destituito una classe politica che mandava a morire al fronte jihadista i propri soldati senza pallottole. Erano leader corrotti e violenti. Proprio come, prima di loro, lo erano stati gli ex coloni europei».

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