Il paragone indecente tra Green Pass e Shoah Analisi di Mirella Serri
Testata: La Repubblica Data: 10 febbraio 2022 Pagina: 29 Autore: Mirella Serri Titolo: «Il paragone indecente tra Green Pass e Shoah»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 10/02/2021, a pag.29 con il titolo 'Il paragone indecente tra Green Pass e Shoah' l'analisi di Mirella Serri.
Mirella Serri
Il paragone indecente
Divise dei deportati nei campi di concentramento stese a terra. L’esposizione della stella di David con sopra applicata la scritta «No Green Pass»: esibizioni simili a quelle di Perugia si sono verificate a Sesto Fiorentino e a Belluno, sempre per equiparare il Green Pass alle leggi razziali. Questo è accaduto nel Giorno della memoria. Ma solo poco tempo fa a stabilire un’analogia tra i provvedimenti anti-Covid e le leggi naziste è stato un assessore leghista con un post su Facebook (poi ritirato). I primi a lanciare uno sconvolgente richiamo all’equivalenza tra la normativa riguardante l’emergenza sanitaria e le leggi liberticide di Hitler e Mussolini erano stati, invece, gli ultrà di Novara che hanno sfilato con casacche a strisce e filo spinato e proclamando «Noi come gli ebrei ad Auschwitz». Da allora si sono moltiplicati i messaggi che suggeriscono un parallelismo tra la nostra democrazia, il nazismo e il fascismo. Il popolo dei No Vax e dei No Green Pass cerca di accreditarsi sia come l’erede delle vittime dei lager sia dei partigiani. La similitudine con il passato ha suscitato proteste ma a volte viene sottovalutata, stimata un vaneggiamento o un eccesso di folklore. E a questo punto è lecito chiedersi: queste analogie con i prigionieri dei lager o con partigiani- eroi stabilite dal popolo dei No Vax in rivolta, oltre a essere una mancanza di rispetto verso la memoria delle vittime e dei martiri, non finiscono per incentivare sia le ragioni di coloro che sono restii a vaccinarsi ma anche forme di antisemitismo che banalizza e minimizza la Shoah, restituendocela come una dei tanti tipi di persecuzioni del secolo passato? Non dimentichiamo che una sia pur minoritaria parte dell’intellighenzia, degli scienziati e dei politici sta svolgendo un ruolo importante nelle varie forme di “resistenza” alle leggi anti-Covid, offrendo, a volte magari con le migliori intenzioni, supporti ideologici e culturali determinanti all’autolegittimazione del popolo No Vax. Questo popolo ha una sua cultura e la somiglianza con gli anni Trenta del Novecento non è poi così bislacca. Solo che ha una valenza del tutto opposta a quella suggerita dalle piazze e dai “pensatori” antivaccini. Spesso si dimentica che a giustificare e ad accompagnare l’edificazione dei lager nei territori del Reich, e l’emanazione delle leggi razziali in Italia, non furono solo i politici ma anche un esteso ceto intellettuale, pronto a dare credibilità e a far diventare patrimonio collettivo le leggi varate «per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio» (parole di Himmler nel 1933, all’apertura del campo di concentramento di Dachau). Un discreto numero di medici, filosofi, docenti, antropologi e psichiatri aderirono al totalitarismo in Germania, in opposizione al sapere e al potere delle élite e dei governi della socialdemocrazia tedesca e in nome di una scienza nuova e alternativa. Il loro nuovo referente era “la comunità del popolo” e la scienza si doveva rinnovare in polemica contro le accademie, i seminari, gli istituti e i centri di ricerca scientifici ufficiali del Reich. Il primo tema a essere studiato fu la prevenzione delle malattie ereditarie. Venne declinato avallando esperimenti come quello della clinica di Hadamar, dove venne praticato il programma di eutanasia dei disabili fisici e mentali che anticipò e sperimentò le tecniche dello sterminio di massa praticate durante la Shoah. Un discorso analogo vale per l’Italia dove, dopo le leggi razziali, si misero al servizio del regime non tanto i migliori docenti — molti dei quali in quanto ebrei furono anzi costretti a emigrare — ma scienziati, filosofi e pensatori che cercarono di sistematizzare nuovi discutibilissimi studi per prevenire le infezioni che minacciavano il “corpo della nazione”, come il virus ebraico. La storia delle teste d’uovo che si muovono in sintonia con le pulsioni “popolari” affonda quindi le sue radici nel pensiero totalitario del Novecento. Oggi di certo non ci sono i “campi” né un fiorire di tesi sulle razze superiori e inferiori. Rimane però il fatto che un manipolo di intellettuali cerca di dare basi ideologiche e culturali alla diffidenza istintiva del “popolo” delle fake news contro le élite della politica e delle scienze, e dunque contro i vaccini. Questa riappropriazione ideologica e culturale della parola contestatrice spiega l’aggressività e la violenza che i ribelli alle norme Covid manifestano nelle piazze e nei salotti tv. Si sentono messaggeri di un nuovo verbo scientifico, ancorché privo di evidenze. E delegittimano al contempo tutto il lavoro di anni per raccontare la terribile verità della Shoah e della persecuzione antisemita. Questi «induttori di morte», come ha ben detto Umberto Galimberti, falsificano la storia del razzismo e dell’antisemitismo.
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