In fuga dalla guerra civile, gli ebrei yemeniti in salvo negli Emirati Cronaca di Benedetta Paravia
Testata: La Repubblica Data: 10 febbraio 2022 Pagina: 15 Autore: Benedetta Paravia Titolo: «In fuga dalla guerra, Abu Dhabi salva gli ebrei yemeniti»
Riprendiamo daREPUBBLICAdi oggi, 10/02/2022, a pag.15 con il titolo "In fuga dalla guerra, Abu Dhabi salva gli ebrei yemeniti", l'analisi di Benedetta Paravia.
È il 27 luglio 2020 quando Yousef Khamdi, ebreo sefardita yemenita, all’alba di un nuovo giorno di guerra, capisce che il momento della liberazione dalle sofferenze è arrivato. In tutta fretta sveglia la moglie, veste i figli e lascia la sua casa in Yemen per volare verso Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti. Il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al Nahyan, intercettando la richiesta d’aiuto che da anni Yousef tentava di inoltrare a Israele, ha messo a disposizione un volo per i 22 membri della famiglia ebraica-yemenita che viene così accolta negli Emirati, ospite del governo. «Qui negli Emirati ho una casa e il vitto per tutta la famiglia; i miei figli vanno a scuola in serenità e possono seguire la religione ebraica senza essere giudicati», ci racconta Yousef, che andiamo a visitare accompagnati dal presidente della Comunità ebraica negli Emirati, Solly Wolf, primo ebreo a stabilirsi a Dubai 20 anni fa. Se si pensa che gli Accordi di Abramo sono stati firmati il mese successivo all’arrivo della famiglia Khamdi nella capitale emiratense, si comprende il valore della vicenda. Quel 15 settembre 2020, a Washington, con Donald Trump a fare da anfitrione alla Casa Bianca, l’allora premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro degli Esteri degli Emirati, Abdullah bin Zayed al Nahyan, sancivano la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi con la sigla di uno storico patto. L’inizio di una nuova fase i cui frutti si vedono ogni giorno ad Abu Dhabi anche nei rapporti sempre più intensi con la comunità ebraica. Nello Yemen, al contrario, ad oggi sono 6 in tutto gli ebrei rimasti: sono anziani e vivono in povertà. «Sono stato arrestato, torturato e segnato su tutto il corpo», dice Yousef. «Privato di acqua e cibo ho perso i sensi e sono stato incosciente per quasi un mese. A casa con i miei figli vivevamo il terrore delle bombe. Un giorno una è caduta a pochi metri da casa nostra, siamo vivi per miracolo». Yousef è davvero fortunato, sono infatti centinaia di migliaia i morti nel conflitto in Yemen, che dal 2015 ha prodotto 4 milioni di sfollati e nel quale duemila bambini soldato sono morti combattendo. Nonostante la famiglia Khamdi si sia lasciata alle spalle l’orrore, un mese fa lo spettro della guerra si è ripresentato minaccioso quando i ribelli Houthi dello Yemen hanno colpito con droni Abu Dhabi, causando tre vittime. Dopo pochi giorni altri missili sono stati puntati sulla capitale degli Emirati Arabi, causando l’immediata reazione della coalizione araba.
«Mio fratello - prosegue il racconto di Yousef - parlò della nostra situazione con il rabbino capo a Mosca Berel Lazar, egli a sua volta chiese aiuto all’imprenditore emiratense Mohammed al Abbar che si rivolse subito a Mohammed bin Zayed. Per me la gratitudine è un valore e non dimenticherò mai nelle mie preghiere le persone coinvolte nella salvezza della mia famiglia. In questo Paese c’è umanità e rispetto del prossimo e la società emiratense è davvero tollerante: anche i nostri vicini sono molto amichevoli, abbiamo subito legato ». La villetta di Yousef ad Abu Dhabi è lontana dalla sinagoga e la famiglia non può guidare il sabato, è dunque difficile recarsi in preghiera nel giorno sacro agli ebrei. «Mi mancano la Torah e alcuni libri di preghiera yemeniti, per il resto abbiamo davvero tutto, anche il vino kosher per lo Shabbat. Il nostro unico dispiacere è non poter avere una Torah in casa con noi per dedicarci alla preghiera del sabato », si rammarica Yousef. «Vorrei che i miei figli imparassero tante cose, non soltanto la Bibbia e il resto dei libri religiosi, ma la tecnologia e una professione che garantisca loro indipendenza economica ». I suoi figli, educatissimi, bisbigliano tra loro e sorridono mentre ascoltano il padre. Per Efrahim, il maggiore dei quattro, la gioia più grande è andare a scuola senza il rumore delle bombe e giocare con i suoi amici, già legge perfettamente la Torah e il Talmud. Per Liam, la secondogenita, la felicità è incontrarsi ogni giorno a scuola con la sua migliore amica: Eline, palestinese. Per Liam, il terzo, la gioia è il parco a tema Ferrari World. La piccola Adina ama invece la sua bicicletta dalla quale cerca di non separarsi mai. Sono felicissimi di essere tornati a scuola a gennaio, dopo mesi di studio a casa. Per i bambini in Yemen, invece, tutto è molto diverso.
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