Ucraina: la tensione sale Analisi di Gianluca Di Feo, Micol Flammini
Testata:La Repubblica - Il Foglio Autore: Gianluca Di Feo - Micol Flammini Titolo: «L’armata che pesa sul negoziato. La Russia sposta verso l’Ucraina incrociatori e pretoriani ceceni - La trappola»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/02/2022, a pag.9, con il titolo 'L’armata che pesa sul negoziato. La Russia sposta verso l’Ucraina incrociatori e pretoriani ceceni', il commento di Gianluca Di Feo; dal FOGLIO, a pag. 1-8, il commento di Micol Flammini dal titolo "La trappola".
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Gianluca Di Feo: "L’armata che pesa sul negoziato. La Russia sposta verso l’Ucraina incrociatori e pretoriani ceceni"
Gianluca Di Feo
L’incrociatore Ustinov è entrato l’altra notte nello Stretto di Gibilterra. Si pensava fosse diretto in Irlanda; invece ha cambiato rotta e si è infilato nel Mediterraneo con il suo carico di missili progettati per distruggere le portaerei. Subito il caccia americano Roosevelt si è messo all’inseguimento, per tenere sotto pressione l’equipaggio russo. Questa non è un’esercitazione. La frase più temuta, quella che gela il sangue anche agli ufficiali più esperti, comincia a circolare in tutti i comandi della Nato. Ogni giorno che passa, i movimenti dell’armata di Mosca rendono concreto il timore di essere davanti a qualcosa di molto più serio delle grandi manovre. Su una scacchiera che va dal Baltico alla Siria, il Cremlino sta schierando le sue pedine secondo uno schema che non lascia dubbi: non c’è soltanto la preparazione a un’invasione, ma pure il dispositivo per fronteggiare ogni possibile reazione. La spada e lo scudo, come nello stemma del Kgb: quello che ha segnato il potere di Vladimir Putin. Lo dimostrano le operazioni marittime nel Mediterraneo. Poche ore prima che apparisse l’Ustinov, da Suez è spuntato il Varjag, l’ammiraglia della flotta del Pacifico: i due incrociatori sono i pesi massimi della Marina russa, varati all’acme della Guerra Fredda e rimodernati di recente. Convergono sulle acque tra Cipro e la Siria, dove si uniranno a due caccia, tre corvette e tre sottomarini armati dei cruise ipersonici Kalibr. Una posizione strategica: in caso di conflitto, saranno lo scudo missilistico che sbarrerà il Bosforo. La spada sono invece le sei navi da sbarco giunte venerdì nel porto siriano di Tartus. La propaganda ha diffuso il video dell’approdo, evidenziando le scorte di uova e verdura fresca portate a bordo dopo tre settimane di burrasche: un messaggio rassicurante per le famiglie dei marinai. Ora sono salpate di nuovo: puntano sui Dardanelli. Secondo notizie non confermate, avrebbero chiesto alla Turchia il permesso di entrare nel Mar Nero. In Crimea le aspettano altre otto unità simili: insieme possono rovesciare sulle spiagge 140 veicoli corazzati e oltre quattromila fanti, creando una testa di ponte micidiale alle spalle delle difese ucraine. Questa non è un’esercitazione. E lo confermano gli ultimi schieramenti sulla frontiera ucraina, anche questi con la duplice valenza: forze d’attacco e altre per difendere le posizioni. Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di fare affluire le colonne della Rosgvardia, la guardia nazionale creata da Putin e da lui comandata. Sono i pretoriani del Cremlino, equipaggiati per soffocare rivolte e guerriglie: non servono per combattere in prima linea, ma per imporre l’ordine nelle città. Dalle foto sui social sono stati identificati persino due reparti della Rosgvardia venuti dalla Cecenia: i fedelissimi del despota filorusso Ramzan Kadyrov, noti per la loro ferocia. Contrariamente ai soldati regolari, non hanno tende: si stanno sistemando nelle scuole o negli edifici pubblici. Il massiccio afflusso di questi miliziani è un interrogativo inquietante, con una sola interpretazione plausibile: se ci sarà un’offensiva, avranno il compito di “pacificare” i territori occupati. Segnali altrettanto preoccupanti vengono dai trasferimenti dell’esercito. Intorno all’Ucraina si contano adesso 83 Btg, i gruppi tattici corazzati, mentre altri 14 sono in viaggio: costituiscono la massa d’urto dell’intera armata. Mosca da venerdì ha cominciato a spostare anche le unità dislocate nel Daghestan, considerato “il posto più pericoloso d’Europa” perché da secoli è il fulcro della resistenza musulmana: non verrebbe mai sguarnito per un normale addestramento. Ieri sono stati notati nell’area di crisi i parà della 76ma divisione, all’avanguardia in tutte le operazioni dell’ultimo decennio: Putin li ha premiati per il coraggio dimostrato in Crimea nel 2014; Kiev li ha accusati di essersi poi infiltrati nel Donbass. I semoventi della 47ma divisione della Guardia, che durante la Guerra Fredda vigilava sul Muro di Berlino, sono apparsi a Kursk. Un luogo altamente simbolico: è stato il terreno della più grande battaglia di tank della storia, che nell’estate 1943 segnò l’inizio della ritirata hitleriana e della vittoria sovietica. Lo hanno sottolineato i servizi televisivi, che cercano di trasmettere al popolo russo un parallelismo tra la guerra patriottica contro il nazismo e la necessità di opporsi all’espansione della Nato. Non tutti ne sono convinti. Secondo la Cnn, l’intelligence americana ha intercettato le discussioni tra ufficiali di Mosca, preoccupati perché un’invasione su larga scala dell’Ucraina sarebbe più difficile e costosa di quanto preventivato dal Cremlino. Ma la macchina bellica non si ferma. Putin vuole mostrare al mondo che la Russia è di nuovo una grande potenza. La domanda è: fino a che punto è disposto a spingersi?
IL FOGLIO - Micol Flammini: "La trappola"
Micol Flammini
Roma. C'è sempre una frase che salta fuori quando qualche funzionario russo parla di come risolvere il conflitto con l'Ucraina: il ritorno agli accordi di Minsk. Anche il presidente Vladimir Putin li menziona spesso e come lui il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Parlare di accordi mette la Russia nella condizione di mostrarsi disponibile a trattare, anzi a scendere a compromessi, e anche di puntare il dito contro Kiev, che di questi protocolli non vuole sentire parlare perché sono molto sbilanciati a favore di Mosca. Gli accordi di Minsk prevedono l'assegnazione di uno status speciale a Donetsk e Lugansk, che si sono autoproclamate repubbliche popolari. Kiev dovrebbe apportare delle modifiche costituzionali che garantirebbero ai filorussi alleati di Mosca delle leve di influenza importanti e anche se ad alcuni leader occidentali l'adempimento degli accordi può sembrare la soluzione di questo conflitto, il punto di arrivo, per il Cremlino è esattamente l'opposto: è il punto di partenza. Gli ucraini non accettano la soluzione offerta dagli accordi di Minsk innanzitutto perché hanno combattuto per otto anni nel Donbass, la guerra va avanti, è lenta ma imperterrita, le vittime sono più di tredicimila, egli accordi vanificherebbero gli sforzi compiuti finora da Kiev per recuperare la parte del suo territorio finito sotto l'influenza dei russi. L'Ucraina ha fatto molto per migliorare il suo esercito e ai cittadini desistere ora sembra inaccettabile. La maggior parte degli ucraini vuole una soluzione decisa nei confronti della Russia. Soltanto il 26 per cento della popolazione approverebbe la modifica della Costituzione e il 59 percento la rifiuta (sondaggio della Ilko Kucheriv Democratic Initiatives Foundation). Per gli ucraini il Donbass non è negoziabile e un qualsiasi accordo tra il loro governo e Mosca potrebbe causare disordini e proteste che fornirebbero al Cremlino il pretesto per intervenire. Di fronte a un'Ucraina divisa, per il governo sarebbe complicato mantenere il suo posto e per Putin sarebbe semplice instaurarne uno fantoccio. Mosca si attiverebbe con la scusa di proteggere i cittadini di lingua russa dai nazionalisti di estrema destra di Kiev. Qualora le manifestazioni non fossero così forti e divisive da giustificare un intervento da parte della Russia, concedere uno status speciale a Donetsk e Lugansk creerebbe comunque un precedente. Da alcuni anni i delegati di Mosca cercano di promuovere una soluzione simile in altre città, ma la popolazione per quanto di lingua russa non ha mostrato interesse. L'obiettivo finale di Mosca potrebbe essere arrivare a Odessa e privare l'Ucraina dell'accesso al mar Nero e al mare di Azov. Per Kiev gli accordi di Minsk sono sempre stati un patto che non tiene in considerazione chi è l'aggredito e chi l'aggressore e se era poco pensabile attuarli sette anni fa, oggi, con otto anni di guerra e sacrifici alle spalle è insensato. Kiev dovrebbe riconoscere che la guerra non è stata un'aggressione da parte di Mosca ma un conflitto civile; dovrebbe consentire che i governi fantoccio di Donetsk e Lugansk vengano considerati legittimi, concedere autonomia al Donbass occupato, concedere l'amnistia ai collaboratori di Mosca e ai mercenari. Per la Russia invece gli accordi sono molto vantaggiosi, le sono stati cuciti su misura, non soltanto perché potrebbe sfruttare le conseguenze che ne deriverebbero ma le scrollerebbero anche di dosso ogni responsabilità riguardo all'occupazione della regione orientale dell'Ucraina iniziata otto anni fa.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante