Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 07/02/2022, a pag.18, con il titolo " 'Niente studi senza velo'. Le ragazze musulmane sfidano l’India di Modi" l'analisi di Carlo Pizzati.
Carlo Pizzati
Da più di un mese sei adolescenti indiane stanno sedute sui gradini fuori dall’aula del loro college pre-universitario. Non possono entrare in classe per via dei loro abiti. Ma la fede proibisce loro di girare in pubblico senza quei vestiti. Così restano sedute a terra, a studiare, da sole. In altri college simili dello Stato del Karnataka, dozzine di ragazze con lo stesso abito affollano i cancelli per chiedere d’entrare. Ma se non si tolgono l’ hijab , vengono respinte. Lo ha deciso il governo di questo Stato nel sud dell’India, contraddicendo decisioni dell’Alta Corte e della Corte suprema del 2016. All’epoca i giudici, esaminando il Corano e gli Hadith gli insegnamenti di Maometto seguiti dal 15 per cento degli indiani, quelli di fede islamica - decretarono che l’ hijab è un «dovere religioso» e in quanto tale «non è offensivo».
Sul rischio di nascondere bigliettini per copiare agli esami, si autorizzò alle perquisizioni. Ora invece il Karnataka vira per l’opzione francese, un laicismo che cancella i simboli religiosi, visto che dal 2011 oltralpe il burqa e ogni altro velo che coprono totalmente viso e corpo sono proibiti in pubblico. Ma qui siamo nell’India delle religioni, “la casa madre dell’Assoluto”, come la definiva Giorgio Manganelli. Qui, i Sikh vogliono il diritto di indossare il patka (una sorta di bandana per la testa) sotto al turbante, i cristiani hanno il crocefisso, le indù la collana mangalsutra e il bindi rosso sulla fronte. I simboli abbondano. Per questo la deriva anti- hijab ha un sapore oppressivo che tutti sanno dove nasce: da una cultura di fondamentalismo anti-islamico che ribolle da decenni, ma che, da quando il partito del premier Narendra Modi, il Bharatiya Janata Party (Bjp), è al potere, sta cambiando i connotati dell’India. Dietro a questa anti-islamizzazione c’è un’organizzazione bandita già tre volte dal 1947 agli anni ‘90. Ma che dal 2014, da quando Modi è al potere, si è trasformata nel vero burattinaio clandestino. Da lì proviene il 75 per cento dei ministri degli ultimi due governi. La sigla è Rss, Rashtriya Swayamsevak Sangh, ovvero Organizzazione nazionale di volontari. È una sorta di associazione fondamentalista che ha sette milioni di iscritti, ma che in campagna elettorale mobilita oltre cento milioni di volontari: «Più di qualsiasi movimento al mondo», come recitano orgogliose le Rss.
Se l’acronimo richiama una notoria sigla nazista non è un caso. I fondatori del movimento furono ammiratori, e alcuni frequentatori, di Benito Mussolini e delle SS di Adolf Hitler. Difatti, il fondatore della Repubblica indiana, Jawaharlal Nehru, li criticò aspramente: «È una milizia privata che agisce secondo principi prettamente nazisti». Nel 1993, lo psicologo Ashis Nandy definì il movimento come appartenente alla categoria diagnostica «fascista». Considerato che Modi è stato militante Rss dall’età di otto anni, ed è stato pracharak (predicatore) per anni, è utile conoscere questa versione induista dei Fratelli musulmani, braccio intellettuale del Bjp e forse molto di più, visto che è una lobby che influenza i programmi di governo e la cui longa manus raggiunge i ministeri più strumentali alla riscrittura della Storia in chiave indù. I loro avversari sono i musulmani, i cristiani, gli intellettuali e i giornalisti critici e soprattutto il laicismo che, pur essendo pietra fondante dell’India indipendente, soffre oggi di critiche, violenze e limitazioni. Tanto che le Rss chiamano i laici sickulars , unendo sick , malato, con secula r, laico, cioè malati di laicismo, così come chiamano presstitutes i giornalisti, unendo press con prostitute, cioè giornalisti puttane. Le Rss gestiscono dodicimila scuole private in India, istituti in stile missionario dediti ai testi religiosi. Lì, i volontari studiano per almeno tre anni, imparando l’ortodossia, forgiando il carattere, apprendendo a organizzare i quadri, oltre a recitare i mantra sacri, giurare sulla bandiera arancione, fare yoga ed esercizi ginnici. Questo movimento paramilitare nacque nel 1925 sotto la guida di Keshav Baliram Hedgewar, ammiratore e apologo di Mussolini e Hitler.
Con la scusa dell’unità culturale indù, oltre a promuovere “forza, valore e coraggio,” le Rss danno sostegno morale a quelle organizzazioni che linciano musulmani e Dalit (gli intoccabili), accusati di macellare vacche. Dal 2014 a oggi, in 82 attacchi sono stati uccisi 43 indiani, e feriti 108, perché accusati di trasportare carne di vacca. La maggior parte erano musulmani. In questo clima, sempre più Stati dell’India hanno approvato la proibizione totale di macello e vendita della carne di manzo, difesa spesso con metodi violenti dai vigilantes della vacca sacra. Togliendo al Kashmir, a maggioranza musulmana, il diritto di essere Stato. Tanto da aver fatto commentare al parlamentare del Congress Party, Shashi Tharoor: «Di questi tempi, in India, è meno pericoloso essere una vacca che essere musulmano ». Ora lo stanno scoprendo anche le studentesse del Karnataka che chiedono di poter continuare a indossare l’hijab anche in aula.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante