Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 07/02/2022, a pag. 1, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo "Così Rayan ha unito mondi divisi".
Fiamma Nirenstein
Rayan
Il mondo non è stato salvato. Intorno alla terra marrone e fangosa, nei palazzi adornati dai tappeti colorati di tutto il mondo arabo, fino nella mitica casa del re, e molto molto più in là, sui nostri teleschermi squadrati, crudeli di luce azzurrina, negli uffici dei governanti europei, americani, e nelle redazioni affollate e formicolanti di notizie, per alcuni giorni ha contato solo la quintessenza della speranza, quella di salvare il bambino Rayan. Quella provincia abbandonata del Nord Marocco in breve sarà di nuovo un luogo periferico, sconosciuto ai più, i poveri genitori disperati e poveri resteranno soli: per alcuni giorni quel villaggio è stato la capitale del mondo. Per un bambino, si è percepito almeno nell'universo della comunicazione, ed è all'improvviso accaduto almeno virtualmente, si deve fermare il mondo: troppo spesso invece non è successo, non succede.
I bambini che muoiono di fame in Africa e di guerra in Siria, i piccoli che salgono in braccio ai genitori su una barca e vengono ripescati o inghiottiti fra i flutti, quelli che vengono usati come kamikaze o scudi umani dai terroristi, quelli che sono stati oggetti di genocidio per mano di mostri civilizzati, come i bambini ebrei nella Shoah... hanno trovato per cinque inutili giorni il loro riscatto nel martirio di Rayan. La vita di un bambino vale tutto. D'un tratto i non pochi conflitti del mondo musulmano sono spariti nel niente, una amorosa solidarietà fatta di preghiere comuni ad Allah fra Paesi spesso antagonisti si è fatta largo, e non solo. L'ardua, impossibile comunanza fra musulmani, ebrei, cristiani, si è improvvisamente realizzata nelle piccolo mani, sempre più deboli, del bambino. Il Bambino. Al Arabyia dava continue notizie al mondo su quanti centimetri, quanti minuti, quanto miracolo ci si potesse aspettare da Ali El Jajaoui, il mago dei pozzi del deserto arrivato da Erfoud; proprio come fu per Angelo Licheri a Vermicino, l'eroe purtroppo inutile anche lui, di Alfredino. Anche Ali, come Angelo, adesso per tutta la vita dovrà sentire il peso sull'anima di chi ha provato per un momento l'ebbrezza di salvare il mondo e poi invece è stato castigato dalla ferocia della sorte umana.
Qui poi la folla aveva già inneggiato alla vita, è impazzita di gioia e ha lodato Dio quanto il piccolo corpo è stato estratto dalla terra, senza sapere che era troppo tardi. Uno strappo che lascia muti. Intorno a Rayan si era compiuto il miracolo che è ovvio a ogni genitore quando guarda suo figlio, e che invece si frammenta, si sbriciola inaspettatamente nella miseria della realtà politica, sociale, religiosa: un bambino è una luce candida, perfetta, non ha religione né nazionalità. Tanto più crudele, come accade anche a Vermicino, è quindi su di lui l'accanirsi improvviso insieme alla disgrazia del definitivo meccanismo devastante del tempo: un secondo in più, due, tre, il mondo davanti al teleschermo, i fedeli nei loro luoghi di culto, i genitori nella devastazione dell'ansia, hanno contato i minuti della corsa contro il tempo che non è stata vinta. Anche le persone più occupate, più lontane, hanno trovato il tempo di chiedere l'una all'altra nelle lingue più diverse per cinque giorni: “Sai che cosa sta succedendo?", e poi, ieri notte, di sentire una gioia pura e lontana quando il piccolo è stato estratto alla luce, e non si sapeva ancora che non ce l'aveva fatta. Molti, io fra questi, si sono curati di avvertirne i propri cari: Rayan e stato estratto dal pozzo. E poi il buio, la sconfitta collettiva: era il bambino di tutto il mondo, come lo fu Alfredino. Si è dovuto scoprire che la sublimazione, il desiderio, l'intuizione della perfezione, non basta per salvare la persona. Non è mai bastato.
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